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Il Regno Unito blocca i fondi di Gheddafi, l’Italia no

Ancora nessuna notizia del congelamento dei beni posseduti in Italia dal fondo sovrano libico gestito dalla Libyan Investment Autorithy (LIA), malgrado nelle ultime 24 ore alcuni importanti paesi si siano mossi in questa direzione.

Il Regno Unito ha bloccato gli asset della LIA, pari a 2 miliardi di sterline, dopo che il Segretario al Tesoro statunitense, Timothy Geitnher, ha annunciato un blocco sulla stessa entità per 32 miliardi di dollari. Nel frattempo, l’Austria ha congelato quelli di un plenipotenziario del fondo sovrano libico. Come ricorderete, nei giorni scorsi il ministro dell’Interno italiano, Roberto Maroni, ha dichiarato che il blocco degli asset del fondo sovrano e delle altre agenzie d’investimento libiche si presenta complesso e problematico, rimandando bizzarramente la palla nel campo della Consob.

Il punto del contendere è l’apparente (più formale che sostanziale) difficoltà ad identificare legami organici e permanenti tra le persone del clan Gheddafi che sono state oggetto della risoluzione Onu numero 1970 (che ne blocca i beni personali), e le entità d’investimento del paese nordafricano. Ora pare che stia prendendo piede la proprietà transitiva, anche dopo le dichiarazioni di alcuni banchieri libici, che hanno confermato che la LIA altro non è che il giocattolo di Saif al-Islam Gheddafi, il cosmopolita figlio finanziere della famiglia del Colonnello, vera mente di numerose demenziali operazioni da essa attuate, adottate al termine di processi d’investimento molto strutturati:

“I’ve seen the Godfather. This is the closest thing in real life,” commented a Libyan investment banker familiar with how the LIA was run.

“It is as if it is his own private farm. This was almost like a mafia operation.”

Ora, la domanda sorge spontanea: perché il governo italiano, anche alla luce di questi sviluppi internazionali, mantiene quella che il Financial Times definisce “posizione rilassata” in merito al blocco dei beni della LIA nel nostro paese? Peraltro, la situazione di Unicredit rischia di non essere piacevole: il titolo resta sotto la spada di Damocle di vendite d’emergenza da parte della famiglia Gheddafi, e una quota del 7,5 per cento nella banca di Piazza Cordusio in mano alla LIA potrebbe nuocere (e non poco) alla quotazione.

Quindi, che vogliamo fare, Cavaliere? Aspettiamo la Consob, oggi guidata da un uomo di fiducia di Giulio Tremonti? E provare a prendere qualche decisione, ogni tanto? Anche perché, su questa problematica, abbiamo un’elevata probabilità di non ingerenza da parte dell’odiato Fini, o della magistratura sovversiva o, più in generale, dei comunisti. Sarebbe un peccato non cogliere l’opportunità.

P.S. Ma soprattutto, c’è qualche pennivendolo che scrive su questa vicenda, in Italia?

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