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Il Movimento VetëVendosja e il processo contro Kurti

Il Movimento VetëVendosja e il processo contro Kurti

Lunedì è iniziato il processo contro Albin Kurti per i fatti della manifestazione pacifica di febbraio 2007, organizzato dal Movimento Vetëvendosja, in cui persero la vita due manifestanti e altri 82 rimasero feriti a causa della risposta violenta delle forze dell’ordine internazionali di stanza in Kosovo. L’articolo ricostruisce le tappe di fondazione del Movimento e riporta le reazioni delle parti coinvolte nel processo.
 
Il principio di autodeterminazione

La Carta delle Nazioni Unite, firmata a San Francisco il 26 giugno 1945, è la garante dei diritti e dei principi fondamentali dell’individuo e dei popoli e raccoglie in sé praticamente in modo unanime il riconoscimento e l’approvazione di questi principi da parte degli Stati membri.
Infatti, questo si evince sin dal suo primo articolo: “I fini delle Nazioni Unite sono: 1. Mantenere la pace e la sicurezza internazionale ...2. Sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto del principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’autodecisione dei popoli, ...”. Un ruolo importante viene riconosciuto alla cooperazione internazionale economica e sociale nel capitolo IX, articolo 55: “al fine di creare le condizioni di stabilità e di benessere che sono necessarie per avere rapporti pacifici ed amichevoli tra le nazioni, basati sul rispetto del principio dell’uguaglianza dei diritti o dell’autodecisione dei popoli, ...”.

Il principio di autodeterminazione dei popoli è uno dei pilastri della Carta e viene studiato da molte discipline quali la politica, la filosofia del diritto, il diritto costituzionale, il diritto internazionale, la sociologia, l’antropologia. Le comunità di persone e di cittadini all’interno di uno Stato sovrano giustamente vogliono e mirano sempre ad avere il diritto di libera espressione, vivere secondo le proprie convinzioni, i propri usi e costumi, preservare la propria lingua, identità, integrità territoriale, ecc. In altre parole, mirano alla loro autodeterminazione tramite l’autogoverno. Ed è proprio sul filone dell’autodeterminazione che si muove l’attività pacifica dell’movimento Vetëvendosja (Autodeterminazione) in Kosova.

Il Movimento Vetëvendosja

Gli obiettivi di Vetëvendosja vengono enunciati già nelle prime righe del suo manifesto: “La libertà non viene concessa. Essa è un diritto immediato e un necessario bisogno. La libertà non è negoziabile. E’ un’opportunità di sviluppo senza ostacoli. Una nazione è la sua possibilità. La libertà è auto sviluppo, scelta libera di modi per costruire un destino collettivo: l’Autodeterminazione dei popoli e la libertà degli individui. L’opposto è la negazione dell’essenza dell’esistenza umana in quanto esseri sociali.”
 
La genesi di questo movimento inizia nelle numerosissime attività di KAN (Kosova Action Network) finalizzato a creare una cittadinanza attiva in Kosovo attraverso la promozione dei valori universali nelle aree del diritto, libertà, uguaglianza e giustizia sociale. Fondata nel 1997 da un gruppo di attivisti internazionali, con a capo la scrittrice americana Alice Mead (ora Alice W. James), il movimento KAN ha sostenuto inizialmente le iniziative civiche contro l’occupazione e la dittatura serba in Kosovo, offrendo supporto all’Unione Indipendente degli Studenti dell’Università di Prishtina (UPSUP) nelle loro proteste non violente per la liberazione delle strutture e degli spazi universitari.

Inoltre KAN si è impegnato nella documentazione dei crimini durante la guerra e ha realizzato tra il 1999 e il 2000 la campagna A-PAL (Albanian Prisoner Advocacy List) per la liberazione degli ostaggi di guerra. Altre attività importanti di KAN sono state: la petizione con 236.311 firme per far luce sul destino delle persone rapite in Kosova e le accuse sollevate, in collaborazione con i parenti delle persone scomparse, nei confronti dei responsabili delle uccisioni e dei massacri in Krushe e Vogël, Djakovica e Racak, ecc.
Il 10 giugno 2004, in occasione del 5 ° anniversario della risoluzione 1244, oltre 1000 cittadini protestarono di fronte alla sede dell’UNMIK, la Missione delle Nazioni Unite, dichiarandosi attivisti volontari per l’autodeterminazione e contro le politiche dell’UNMIK applicate in Kosova. Questa protesta rappresenta le origini concettuali di ciò che oggi è noto come Movimento Vetëvendosja. Negli incontri aperti alla cittadinanza, gli attivisti divulgarono i principi, i concetti e la visione del movimento, argomentando le ragioni che contestano la decentralizzazione del Kosova e i negoziati con la Serbia. Per il movimento, attraverso la decentralizzazione del Kosova si sta agendo contro la volontà del popolo, poiché l’ampliamento delle enclave e il loro allacciamento territoriale andrà a legittimare le strutture dello Stato serbo dentro il territorio di quello kosovaro e dividerà i cittadini in base all’appartenenza etnica.
 

La questione diventerebbe ancora più pericolosa in virtù del fatto che la Serbia non solo non ha riconosciuto lo stato del Kosova, ma si trova di fronte ai vecchi problemi irrisolti delle minoranze etno-linguistiche degli albanesi, croati, ungheresi, ecc., che vivono sul suo territorio da secoli. Secondo il diritto internazionale ed europeo il popolo del Kosova ha il pieno diritto legittimo e storico di chiedere la realizzazione della propria autonomia territoriale, politica e culturale proclamando la sua autodeterminazione. Il principio base del movimento Vetëvendosja si fonda sul concetto che se uno Stato non garantisce agli individui e al popolo le libertà principali, i diritti civili, politici, economici, sociali e culturali, violando i loro diritti fondamentali di autodecisione, allora non può essere identificato come la massima espressione della volontà popolare.
 

Gli attivisti del movimento svolgono incontri anche con gli studenti dell’Università di Prishtina e delle altre scuole del Paese, che generalmente si caratterizzano dalle discussioni e scambi di idee volti a dare soluzioni concrete ai problemi attuali. Il loro giornale, dallo stesso nome, viene pubblicato in 10.000 copie e distribuito in Kosova e all’estero sia in formato cartaceo che on line nel loro sito web. Con una notevole partecipazione di attivisti provenienti da tutto il mondo e dal Kosova, Vetëvendosja ha organizzato una vasta attività di servizio alla cittadinanza per la creazione di una società dinamica sia rappresentativa che partecipativa.

Albin Kurti, il leader

Albin Kurti, classe 1975, nato a Prishtina, è uno degli attivisti leader di Vetëvendosja. Kurti è venuto alla ribalta nel 1997 come Vice-presidente dell’Unione degli Studenti dell’Università di Prishtina (UPSUP), ed è stato il principale organizzatore delle manifestazioni non violente nell’autunno 1997 e nella primavera 1998. Inoltre ha organizzato proteste pacifiche a sostegno delle famiglie con parenti scomparsi durante la guerra del 1999, e in favore dell’auto-determinazione del popolo kosovaro. Nell’aprile del 1999, durante gli bombardamenti NATO nella ex-Jugoslavia, è stato arrestato e picchiato dalle forze serbe. Nello stesso anno è stato accusato dal governo serbo “di mettere in pericolo l’integrità territoriale della Jugoslavia e di aver cospirato per commettere attività eversive legate al terrorismo”, un’accusa che nella ex-Jugoslavia comportava la pena massima di 20 anni di carcere.

«Non riconosco questa Corte, posso essere giudicato solo da un tribunale del mio popolo. Io non riconosco questo tribunale come non riconosco né la Serbia né la Jugoslavia. Questo tribunale è al servizio della politica del regime fascista di Slobodan Milosevic», ha dichiarato Albin nella sua audizione presso la corte distrettuale di Nish. Egli rifiutò di farsi assistere da un avvocato, consapevole del fatto che non avrebbe ricevuto un processo equo. «Non mi importa per quanto tempo mi condannate», ha provocatoriamente detto al giudice. Fu condannato a 15 anni di carcere ed è stato liberato nel 2000 dal governo post-Milosevic. Dal 2000, Albin Kurti è rimasto volutamente fuori delle politiche di partito in Kosovo, ma è stato un critico severo dell’UNMIK e della corruzione dilagante nel paese.

Il processo in corso contro Kurti
Il 10 febbraio del 2007, il Movimento Vetëvendosja ha organizzato una protesta per esprimere il malcontento popolare contro il pacchetto Ahtisaari, che prevedeva – secondo gli attivisti – la divisione territoriale, etnica, religiosa e istituzionale del Kosova. La polizia dell’UNMIK ha ostacolato la libera circolazione dei manifestanti, bloccando le strade della città. In questa occasione, sono stati uccisi Arben Xheladin e Mon Balaj, due manifestanti disarmati e feriti altri 82 da parte delle forze d’ordine internazionali, invece il leader Albin Kurti è stato arrestato e tenuto in detenzione fino a luglio 2007, e poi messo agli arresti domiciliari per circa 6 mesi. In seguito all’accaduto, il capo della polizia dell’UNMIK ha dovuto rassegnare le dimissioni, invece l’unità romena di polizia responsabile della morte dei due ragazzi è rientrata in Romania senza divenire oggetto di indagini ulteriori.

Lunedì, 15 febbraio, a due anni di distanza dalla manifestazione, è iniziato il processo contro Kurti presso il Tribunale di Prishtina. Secondo Karin Limdal, portavoce dell’EULEX, questo processo è la continuazione delle indagini avviate nel 2007 e le sedute si terranno nei mesi di febbraio e marzo. La Limdal ha specificato che sarà una giuria mista a sentenziare su Kurti, mentre il Presidente della Corte sarà un giudice dell’EULEX visto che le competenze nell’ambito giudiziario sono state trasferite dall’UNMIK all’EULEX. Durante questo periodo, l’azione legale si era fermata perché, in segno di protesta contro il processo, nessun avvocato intendeva difendere Kurti davanti alla corte.

Le reazioni delle parti

Da parte sua, Kurti sostiene che: «EULEX non si impegna contro i crimini di guerra commessi dalla Serbia e la corruzione delle attuali strutture parallele, ma si comporta come l’UNMIK, occupandosi dei sostenitori e degli attivisti del Movimento Vetëvendosja. È la dimostrazione palese che non abbiamo a che fare con un sistema politico basato sui valori europei, ma con un regime di polizia».

L’Ufficio del Difensore Civico del Kosova ha continuamente criticato l’eccessiva violenza della polizia dell’UNMIK contro le proteste pacifiche e gli atti di disobbedienza civile organizzata da Albin Kurti e dai suoi colleghi di Vetëvendosja.

Altresì Amnesty International ha criticato e ha denunciato le irregolarità riguardo la persecuzione e il processo contro Kurti, che si svolgerà il 15 febbraio 2010 e che è ancora da concludere. In una loro nota del Dicembre 2007, intitolata “A politically motivated prosecution?” (http://news.amnesty.org.au/news/com...) si legge: «… il processo contro Albin Kurti non viene condotto in conformità alla legge applicabile in Kosova e gli standard internazionali per un processo equo. Albin Kurti è stato giudicato da una giuria internazionale di giudici a Prishtina (Kosova). Amnesty International teme che questa azione penale, il processo e i lavori svolti finora siano politicizzati, e che procedano in mancanza del criterio di indipendenza del potere giudiziario.

Albin Kurti è stato incriminato il 31 maggio 2007 per tre reati di ordine pubblico relativi alla manifestazione del 10 febbraio. Tra questi: “la partecipazione in una folla commettendo il reato di oltraggio a pubblico ufficiale” e la “partecipazione a un gruppo per ostacolare gli ufficiali [polizia]”. E’ stato inoltre accusato di “aver chiamato [il popolo] alla resistenza”; nessun altro membro del gruppo organizzatore è stato accusato di tale crimine. Le accuse connesse per aver “attaccato persone ufficiali” che inizialmente erano previste contro di lui, sono cadute tutte nel mese di giugno…».

A maggio, la Federazione Internazionale di Helsinki (International Helsinki Federation), che ha monitorato il processo, ha riferito le sue preoccupazioni riguardo l’indipendenza del potere giudiziario nelle decisioni relative alla detenzione di Albin Kurti. Il giudice internazionale si era avvicinato al pubblico ministero, dopo esser venuto a conoscenza dell’assenza sia di Albin Kurti che del difensore nominatogli dal tribunale, per chiarire ciò che l’accusa avrebbe raccomandato in relazione alla sua detenzione. Inoltre, all’IHF gli è stato rifiutato la possibilità di incontrare Albin Kurti mentre era in custodia cautelare da parte dei funzionari del ministero della giustizia del Kosova, sulla base del fatto che lui era un detenuto di “categoria A”, trattenuto esclusivamente sotto la giurisdizione dell’UNMIK. Il Direttore del Dipartimento di Giustizia UNMIK non è stato in grado di fornire all’Amnesty International, alcun documento che definisse i prigionieri di “categoria A”.

Il 3 febbraio scorso, Halim Sylejmani, rappresentante legale delle famiglie di Mon Balaj e Arben Xheladini, ha reso pubblica una lettera dell’UNMIK aggiungendo che: «L’anno scorso l’UNMIK è intervenuto costantemente per impedirci un’audizione pubblica. Inoltre, ha insultato le famiglie dei due ragazzi uccisi, offrendo loro un indennizzo economico a condizione che rinunciassero al proprio diritto di considerare responsabile l’UNMIK. Dopo il loro fallimento di bloccare il nostro caso con questi metodi, il Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite (SRSG) ha sfruttato il suo potere esecutivo per emanare una circolare amministrativa, il cui unico obiettivo è quello di invalidare il nostro caso.

L’UNMIK sta facendo tutto il possibile per bloccare lo sforzo fiero delle famiglie di chiedere giustizia per l’assassinio dei loro figli durante una manifestazione pacifica, così come per i feriti gravi Zenel Zeneli e Mustaf Nerjovajt. Noi non rinunceremo alla nostra lotta per aver giustizia e alla nostra richiesta di avere una indagine penale indipendente.»

http://www.albanianews.it/home/koso...

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