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Il Fu Mattia Pascal: realtà e illusione in un capolavoro senza tempo

Il romanzo di Pirandello ci mette davanti a due temi che da sempre assillano l'uomo: la voglia di evasione e la forza della realtà.

Ne Il fu Mattia Pascal Pirandello narra in prima persona la storia della vita di un ipotetico bibliotecario in un immaginario paesino ligure. La monotonia quotidiana del complesso personaggio verrà inseguito sconvolta da un fatto straordinario e inaspettato. Ma andiamo con ordine. Mattia Pascal è una persona mite e gentile e fino all’adolescenza era abituato a vivere in uno stato di agio e serenità. Il padre lasciò alla moglie e ai due fratelli una buona somma che venne poi prosciugata senza alcuno scrupoli da Batta Malagna, amico del padre, al quale la vedova, incapace di gestire il patrimonio, aveva affidato l’amministrazione dell’eredità. I due fratelli, Mattia e Roberto, si ritroveranno, quindi, alla morte di Malagna a dover colmare questi grossi debiti. Il protagonista nel frattempo si sposa con Romilda, ma l’amore fra i due non scoccherà mai e il rapporto già difficile verrà reso ancora più travagliato dalla fastidiosa presenza della suocera che considera Mattia un povero inetto e dalla morte prematura delle due piccole figliolette. A cause delle ingenti complicanze economiche Mattia sarà costretto a trovarsi per la prima volta un lavoro e in poco tempo grazie all’amico Pomino riesce a ottenere di bibliotecario presso la chiesa sconsacrata del paese. Il lavoro lo annoia, il rapporto familiare con moglie e suocera è sempre più ingestibile e alle tragiche perdite delle due neonate si aggiunge quella dell’ amata madre. Queste scoraggianti situazione private finiscono inesorabilmente per soffocarlo e l’unica soluzione al peggio risulta essere solo una: la fuga.

Il protagonista decide quindi di recarsi a Montecarlo, destinazione poco distante dalla Liguria dove tentare la fortuna al casinò. Qui Mattia si imbatte in un’adrenalinica notte di gioco alla roulette russa magistralmente descritta dal Pirandello: “Chiusi gli occhi, dovevo essere pallidissimo. Si fece un gran silenzio, e mi parve che si facesse per me solo, come se tutti fossero sospesi nell’ansia mia terribile. La boule girò, girò un’eternità con una lentezza che esasperava il punto in punto l’insostenibile tortura. Alfine cadde... Presi il denaro e dovetti allontanarmi, come un ubriaco.” La fortuna sembra essere dalla parte di Pascal e la roulette trasforma in soldi la buona sorte dell’esordiente che all’alba si reca in albergo con una buona vincita. Decide, quindi, di rimanere ancora a Montecarlo e dopo qualche giorno di mirabolanti vittorie seguite da coraggiosissime puntate, come sempre in questi casi, la fortuna del gioco inizia a voltargli le spalle: “In nove giorni arrivai a mettere su una somma veramente enorme giocando alla disperata: dopo il nono giorno cominciai perdere e fu un precipizio. L’estro prodigioso, come se non avesse più trovato alimento nella mia esausta energia nervosa, venne a mancarmi.” Il bibliotecario riesce comunque a fermarsi poco prima perdere tutto quello che aveva vinto e con ottanta duemila lire decide di fare ritorno a casa. Ma è proprio durante il viaggio in treno che la sorte gli riserva il regalo apparentemente più bello e sicuramente più inaspettato.

Leggendo infatti un quotidiano locale, il Foglietto, scorre un piccolo trafiletto che titola: Mattia Pascal. Qui si parla della sua morte, probabilmente un suicidio, e del ritrovamento del cadavere presso il mulino. In questo frammento l’autore sottolinea l’incredulità e lo sgomento del protagonista davanti a una notizia del genere: “ma debbo innanzitutto confessare che la vista del mio nome stampato lì, sotto quella striscia nera per quanto me l’aspettassi, non solo non mi rallegrò affatto, ma mi accelerò talmente il battito del cuore che dopo alcune righe dovetti interrompere la lettura. “In un primo momento quindi la reazione di mattia non fu positiva e pensava al destino irrisorio del povero forestiero, che avevano scambio per lui, il quale non riceverà mai l’affetto dei parenti e degli amici e scompare nell’anonimato più oscuro. Riflettendoci ancora un po’ capisce, invece, che non si tratta solo di un male: infatti l’uomo non era certo morto per causa sua e il morto in questione era Mattia e non il forestiero. Quest’intricati ragionamenti portarono Mattia ad un’unica conclusione: questo concatenarsi di strani avvenimenti gli avevano regalato la possibilità di costruirsi una nuova identità e di vivere una nuova vita lontano dalla desolante e frustrante quotidianità ligure.

In tale direzione decide appunto di crearsi una nuova identità: di nome farà Adriano e di cognome Meis, figlio unico, vedovo di madre, discendente di Polo Meis immigrato in America e residente a Buenos Aires. Mattia soddisfatto di questa sua nuova realtà fittizia che gli consentiva di viaggiare e fare ciò a cui aveva sempre dovuto rinunciare, visita Milano, Padova, Venezia, Ravenna, Firenze e Perugia per poi fermarsi a Roma dove trova soggiorno in un piccolo locale nelle vicinanze del Tevere. In breve tempo stringe amicizia con l’affittuario del locale Anselmo e si innamora della figlia Adriana. La vita romana, però, lo pone davanti al dramma di non possedere una vera esistenza registrata regolarmente all’anagrafe e dei suoi desideri come quello forte di sposare Adriana e cominciare una nuova vita con lei dovrà presto rinunciare. Adriano Meis infatti non esiste: non ha alcuna realtà sociale e non ha nessuno dei diritti che hanno i cittadini ragione per cui non può acquistare nulla, non può denunciare un furto se derubato e tanto meno può contrarre matrimonio. Non può fare nessuna di quelle semplici cose della vita quotidiana che necessitano di una identità. Capisce dunque l’impraticabilità di vivere fuori dalle leggi e dalle convenzioni che gli uomini si sono dati. La sua libertà finisce per divenire solo pura illusione e come dice l’autore scopre che fare il morto non è una bella professione”. L’unica soluzione per liberarsi di Adriano e andare via da Roma è ancora quella di fingere il suicidio e così lasciando i panni presso il fiume Tevere lascia la Capitale.

Dopo due anni in cui vaga "come un’ombra, in quell’illusione di vita oltre la morte” il nostro protagonista decide di ritornare in Liguria, al paesino d’origine. Mattia muta idea sul suo futuro: capisce che il vagare nell’oblio di una non esistenza è diventato insostenibile e che le vere artefici della sua morte erano la moglie e la suocera. “Mi avevano ucciso davvero! Ed esse sole si erano liberate di me… Un fremito di ribellione mi scosse… E non potevo io vendicarmi di loro, invece d’uccidermi? Chi stavo io per uccidere? Un morto… nessuno… Restai come abbagliato da una strana luce improvvisa… Vedicarmi!”

Ritornato scopre che la moglie Romilda era rimasta vedova per pocotempo. Si era infatti risposata proprio con il suo amico Pomino ed aveva avuto una bambina. Lui, che aveva pensato di essere rinato e finalmente libero di fare ciò che desiderava, non aveva potuto vivere pienamente la sua nuova vita, ma era chiaro che gli altri lo avevano fatto. Gli altri erano andati avanti anche senza di lui. In paese a stento lo riconobbero e il suo ritorno non aveva, per lo meno inizialmente, causato lo scompiglio che si era immaginato, creando in lui una nuovo abbaglio. Mattia, ritornato con propositi di vendetta, ben presto li abbandona e lascia che la moglie e l’amico continuino a vivere in tranquillità senza interferire in questo loro connubio. Capisce infine, nonostante l’illusione temporanea di una nuova vita, che la realtà, alla fine dei conti, dominerà sempre su qualunque sogno di evasione. Ragion per cui torna alla sua vecchia vita di bibliotecario nell’umida parrocchia sconsacrata e di tanto in tanto fa una fugace visita alla sua tomba.

Mattia è la figura di un uomo completamente incatenato alle “maschere” sociali di una vita che lo annoia e deprime. Un uomo che trova come unico rifugio a questa straziante identità la fuga e l’invenzione di un’altra vita lontana dal paesino natale. Nonostante l’idillio a cui porta la libertà e le sue gioie, ben presto Pascal realizza come la realtà sia un peso troppo grande da cancellare e l’unica possibilità è dunque tornare a dove il suo viaggio era cominciato, come fosse stato soltanto un lungo sogno. 

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