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 Home page > Attualità > Economia > Il Fondo monetario cambia idea: l’austerity non serve

Il Fondo monetario cambia idea: l’austerity non serve

Non più tardi di un anno e mezzo fa il Fondo Monetario Internazionale suggeriva l’impellente necessità di procedere ad un consolidamento dei conti pubblici nazionali per sostenere a rafforzare la crescita. Come è finita lo abbiamo visto: la stretta fiscale è arrivata un po’ ovunque, ed ora i giornali sono pieni di titoli sui rischi di ricaduta in recessione. Anche per questo, oggi, il FMI cambia registro, e scopre (ohibò!) che non esiste una cosa chiamata “contrazione fiscale espansiva”.

Ed ecco, quindi, la constatazione che forse il consolidamento fiscale è opportuno nel celeberrimo medio-lungo termine, e non subito. Tre economisti del FMI ne parlano in un loro lavoro, pubblicato su Finance & Development, il sito del trimestrale del FMI che si occupa di problematiche dell’economia globale. Il punto, scrivono i tre, è che un consolidamento simultaneo attuato da più paesi ha effetti ancor più negativi se le banche centrali non ne alleviano il peso con uno stimolo di politica monetaria. Alla fine, si scopre che molte contrazioni fiscali del passato si sono rivelate espansive solo perché agevolate da altre situazioni, quali deprezzamento del cambio, boom dei maggiori partner commerciali dei paesi in stretta fiscale, espansione monetaria di questi ultimi.

I tre autori della ricerca citano gli esempi dell’Irlanda nel 1987 e dell’Italia nel 1992, paesi che attuarono una contrazione fiscale ma che furono aiutati da ampi deprezzamenti del cambio, che fornirono una spinta all’export. Oggi, in molte economie le banche centrali possono fornire solo limitati stimoli monetari, perché i tassi sono già in prossimità dello zero. Servirebbero misure monetarie non convenzionali, ma sono frenate o impedite da resistenze politiche o vincoli statutari all’operato delle banche centrali. Inoltre (non una sorpresa) se molti paesi perseguono contemporaneamente l’austerità fiscale, la riduzione nei redditi che ciò determina è probabile essere maggiore, notano i tre economisti, visto che non tutti i paesi possono deprezzare la propria valuta ed aumentare le proprie esportazioni (qualcuno informi i tedeschi, già che ci siamo).

Che dire, quindi? Un paio di cose. La prima è che quanti hanno finora messo in guardia dalla favola della “contrazione espansiva”, primo fra tutti Paul Krugman, hanno avuto ragione. In secondo luogo che, se i paesi dell’Eurozona stanno attuando una forte stretta fiscale e la Bce non compensa con una espansione monetaria, magari spingendosi ad una forma di easing quantitativo simile a quelli adottati dalla Fed, il rischio di finire male è piuttosto elevato.

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