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Il Btp e il patriottismo non assicurabile

Il ministro Urso chiede alle assicurazioni di comprare più titoli di Stato domestici, ma ci sono precisi vincoli europei. Forse serve prendere atto che la domanda interna più o meno spontanea non basta comunque

Intervenendo durante i lavori dell’Insurance Summit 2023, organizzato dal Sole 24 Ore, il ministro delle Imprese e del Made in Italy (per gli amici, Mimit), Adolfo Urso, ha pensato di invitare le compagnie assicurative italiane a rimpinzarsi patriotticamente di titoli del nostro debito sovrano, vista la difficile congiuntura dei mercati e il venir meno del poderoso supporto degli ultimi anni da parte della Banca centrale europea. Se solo il mondo fosse così semplice.

BTP PER LA PATRIA

Urso ha scolpito, pedagogicamente:

Il sostegno del sistema assicurativo al debito pubblico in Italia è più importante di quanto accada in altri Paesi e lo sarà ancora di più nei prossimi due anni, quando dovremo rinnovare il debito dello Stato. Invito il sistema assicurativo a continuare a fare, e se è possibile a incrementare, la loro azione.

A stretto giro, i vertici delle maggiori compagnie nazionali hanno fatto presente che sarebbe bello e patriottico ma, ahimè, ci sono regole europee che impediscono questa grande abbuffata. Concetto ribadito anche dell’a.d. di Unipol, Carlo Cimbri, che pure in passato si era distinto per un approccio sovrano agli investimenti delle compagnie, con l’attacco di ordinanza “al Nord Europa e alla Germania”, che ostacolerebbero con ogni mezzo il finanziamento del nostro debito pubblico.

Anche il Ceo di Generali, il francese Philippe Donnet, ha detto “non si può fare” ma ha pure colto l’occasione per togliersi qualche sassolino dalla scarpa rammentando al governo che “non ci si può ricordare delle assicurazioni solo quando fa comodo”, che è una sorta di invito al do ut des, considerato che il settore ritiene di aver fatto la propria parte salvando Eurovita ed evitando (a sé e al paese) un episodio di rischio sistemico che avrebbe potuto avere conseguenze molto gravi.

La situazione del settore assicurativo italiano è delicata e vive una fase di passaggio: dopo il rialzo dei tassi, forti riscatti dal ramo Vita e dalle sue polizze di Ramo I, magari per investire i soldi direttamente in titoli di stato ma con rendimenti oggi più elevati (e non falcidiati da commissioni); il Ramo Danni, con eventi atmosferici vieppiù estremi. Il settore spinge per introdurre forme di assicurazione obbligatoria in questo ambito, ma il rischio (scusate la battuta) è quello di finire nel rischio non assicurabile o assicurabile solo dietro robusta integrazione pubblica dei premi (sta già accadendo). E così via.

IL DEBITO PUBBLICO NON SI NAZIONALIZZA

Tornando all’invito di Urso, e più in generale all’azione del governo volta a stendere una rete di protezione al collocamento dei Btp, credo si debba fare una considerazione generale e brutale: lo stock di debito pubblico italiano non può essere “nazionalizzato”, cioè sottoscritto in modo decisivo da soggetti residenti. Lo stesso strombazzato aumento della quota di possesso diretto da parte delle famiglie, sulla spinta dell’esigenza di smuovere i soldi da conti correnti pressoché infruttiferi, oltre ad essere spesso una sostituzione di possesso indiretto con quello diretto (vedasi riscatti dalle Ramo I), non è tale da garantire volumi elevati e crescenti di capacità di assorbimento. La riduzione delle dimensioni del bilancio della Bce, con i titoli in scadenza che non saranno riacquistati, va in questa direzione.

La stessa porcata (scusate il tecnicismo) di introdurre l’esenzione sino a 50.000 euro di possesso di Btp e strumenti postali nel calcolo dell’Isee, non può garantire flussi elevati, oltre alle demenziali iniquità che produrrà in un welfare che già di suo tende ad essere regressivo. Attendendo rilievi europei e ricorsi interni.

E quindi, che fare? Forse arrivare all’unica conclusione che serve: il debito pubblico italiano si colloca a chi vuole sottoscriverlo, indigeni e stranieri, retail e istituzionali. E per renderlo appetibile, serve che tale debito sia espressione di un’economia sana e in grado di sostenerlo. Tutto lì. Toglietevi dalla testolina idiozie del tipo “facciamo come il Giappone”. E smettete anche di guardare ai bei tempi andati dei vincoli di portafoglio e controlli di capitale, quelli che regalavano titoli di stato con rendimenti reali costantemente e ferocemente negativi. Quei tempi sono passati.

Torneranno? Non lo so. Magari, un giorno qualche governo in grado di fare l’andatura mondiale (quello americano), scoprirà che il debito è troppo e che servono misure di repressione finanziaria, per garantirne il collocamento e calmierarne l’onerosità come scorciatoia per non voler mettere mano al deficit. Ecco, magari allora suonerà il “liberi tutti” e anche il nostro piccolo paese dal debito enorme potrà tornare a mettere controlli sui capitali e vincoli di portafoglio.

Ma se una cosa del genere accadesse, temo che un paese come il nostro avrebbe ben altri problemi, che quello di collocare tutti i Btp. Ma posso certamente sbagliarmi. Quindi, al solito: attenti a quello che desiderate, potrebbe avverarsi.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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