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Ici, Stato e Chiesa: storia di un’esenzione

In questi giorni la Chiesa è nell'occhio del ciclone, a causa della discussa esenzione Ici sugli immobili commerciali spacciati per luoghi di culto, grazie a cavilli legislativi. Le norme salva Vaticano, difatti, emanate da vari governi e nel tempo, sono diverse e confuse. Cerchiamo di fare chiarezza.

L’approvazione della manovra del governo Monti, che infligge ulteriori pene agli italiani e reintroduce l'Ici sulla prima casa, ha sollevato un polverone mediatico sul'esenzione agli immobili commerciali del Vaticano. Privilegi che il neo Premier ha dimenticato di prendere totalmente in considerazione.
 
Gli animi, ormai esacerbati dal continuo salasso, chiedono giustamente sacrifici a tutti. In particolare al ricchissimo Stato Pontificio, spesso esentasse. Si pretende, insomma, che il Vaticano faccia la sua parte, contribuisca realmente al risanamento delle finanze italiane, anzichè sottrarre milioni di euro alle casse erariali. 
 
Sappiamo che la Chiesa possiede patrimoni e attività di vario genere, sul territorio nazionale, dei quali non paga il dovuto, e su questo non ci piove. Ovviamente, le nuove restrizioni al portafoglio del cittadino già impoverito hanno scatenato la guerra sul web e sui quotidiani: petizioni, articoli di ogni sorta, discussioni sui forum, impazzano. Anche i partiti battagliano con mozioni parlamentari e dichiarazioni di protesta. Ciononstante, le norme che permettono alla Chiesa, ancora oggi, di usufruire di tale agevolazione, non sono molto chiare. Vediamo di capire.
 
Attingendo a varie fonti ho ricavato quanto segue:
 
il Concordato tra Stato e Vaticano del 1984 stabilisce che siano soggette al regime tributario ordinario le attività svolte da enti ecclesiastici diverse da quelle di religione e di culto. Ma nel 1992, viene varato un decreto che esenta dall'Ici le strutture ecclesiastiche che svolgono attività legate al culto, effettivamente meritevoli di agevolazioni fiscali.
 
Il trucchetto ha funzionato fino al 2004, quando, un ricorso dei Comuni alla Cassazione mette fine all'imbroglio: "Il beneficio dell'esenzione dall'ICI non spetta in relazione agli immobili, appartenenti ad un ente ecclesiastico, che siano destinati allo svolgimento di attività oggettivamente commerciali." 
 
Purtroppo, ciò che aveva sentenziato la Corte è stato velocemente annullato con l'emanazione di un decreto interpretativo del governo Berlusconi (2005),  riabilitando, così, la precedente legge del 1992. 
 
In seguito alla prima denuncia alla Commissione europea che indaga lo Stato italiano sul "fenomeno" aiuti di stato, il governo Prodi (2006) ha modificato nuovamente la legge interpretativa, reintroducendo l'esenzione ma limitatamente agli immobili "non esclusivamente commerciali". In questo periodo viene istituita anche una Commissione del Ministero dell’Economia che deve identificare gli elementi della “non esclusiva commercialità”. 
 
L'ultima modifica non definisce, tuttavia, i confini tra profit e no profit, ma genera una seconda denuncia. Entrambi i ricorsi (2008 e 2010) vengono archiviati dalla Commissione europea, corre voce, dietro pressioni del Pontefice in persona. Infine, i radicali ricorrono alla Corte di Giustizia di Lussemburgo e il caso viene riaperto, perché non si può escludere che le misure costituiscano un aiuto di Stato.
 
Ma è proprio sui cavilli poco trasparenti - tuttora in fase di verifica, (sentenza fissata per giugno 2012) - che ancora oggi "gioca" la Chiesa.
 
Come? Dichiarando luoghi di culto, o meglio, non esclusivamente commerciali, stabili che fanno in verità business. Ai danni, non solo delle nostre tasche tramite l’evasione fiscale, ma della concorrenza, vedi alberghi et simila.
 
Va fatta quindi piena luce, definiti nettamente i limiti delle agevolazioni. Altrimenti, in Italia andranno avanti sempre i soliti furbetti, a furia di equivoci espedienti: fatta la legge, trovato l'inganno. Mentre i fessi pagano. A suon di lacrime e sangue.
 
 

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