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ILVA Taranto e Diossina. Da Bruxelles: l’Italia deve recepire la direttiva

Qualche settimana fa sono rimasto colpito leggendo dall’articolo sul sito del Corriere della Sera di Carlo Vulpio, A 13 anni ha il tumore da fumo. «E’ la diossina», dalla gravità della situazione a Taranto, di cui si è occupato in diverse occasioni anche Il Salvagente

 

Vulpio si chiedeva se Bruxelles era al corrente che Taranto fosse la città più inquinata d’Italia e dell’Europa occidentale per i veleni delle industrie. Ho deciso quindi di chiederlo direttamente ai diretti interessati, interrogando la Commissione Europea sulla questione.

 

La risposta, che riporto qui di seguito è riassunta nel titolo di questo post, e conferma ancora una volta come troppo spesso chi ci amministra faccia i conti senza l’oste, “dimenticando” che esistono norme comunitarie da cui (FORTUNATAMENTE) non si puo’ scappare!

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COMMISSIONE EUROPEA

DIREZIONE GENERALE AMBIENTE

Direzione C - Cambiamento climatico e qualità dell’aria

Env.c.4 - Emissioni industriali e protezione dello strato di ozono

 

 

Bruxelles, 24 Nov 2008

 

Oggetto: risposta alla lettera di informazioni in merito all’acciaieria ILVA di Taranto, Italia

Gentile Sig D’Ambra,

La ringrazio della Sua lettera del 22 Ottobre 2008 e delle informazioni sull’acciaieria ILVA di Taranto, che abbiamo letto con la massima attenzione.

L’allegato I della direttiva 2008/1/CE sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (di seguito “direttiva IPPC”) elenca le categorie di attività industriali rientranti nell’ambito di applicazione della direttiva. Si tratta di impianti per la produzione e trasformazione dei metalli, quali gli impianti di arrostimento o sinterizzazione di minerali metallici, compresi i minerali solforati (punto 2.1), gli impianti di produzione di ghisa o acciaio (fusione primaria o secondaria, compresa la relativa colata continua di capacità superiore a 2,5 tonnellate all’ora (punto 2.2) e di impianti destinati alla trasformazione dei metalli ferrosi (punto 2.3à. Anche le cokerie rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva IPPC (allegato I, punto 1.3).L’impianto dell’ILVA S.p.a. di Taranto s volge tutte queste attività.

La direttiva IPPC dispone che gli impianti rientranti nel suo ambito di applicazione siano tenuti a operare conformemente ad autorizzazioni che includono valori limite di emissioni basati sulle migliori tecniche disponibili (le cosiddette BAT, Best Available Techniques). La prevenzione o la riduzione delle emissioni nell’aria, nell’acqua o nel suolo deve pertanto essere oggetto delle autorizzazioni ambientali rilasciate conformemente alla direttiva IPPC. Gli impianti esistenti, ossia gli impianti già in servizio prima del 30 Ottobre 1999, dovevano essere messi in conformità ai requisiti della direttiva IPPC entro il 30 Ottobre 2007.

La informo che sulla base delle ultime informazioni ricevute dalla Commissione, l’ILVA S.p.a. non ha ancora ottenuto l’autorizzazione integrata conformemente alla direttiva IPPC.

In merito alla mancanza di progressi nelle procedure di autorizzazione in Italia, compreso il caso dell’impianto dell’ILVA S.p.a., l’8 Maggio 2008 la Commissione ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia. La risposta dell’Italia alla lettera di messa in mora è attualmente all’esame.

Qualora fosse necessario, la Commissione prenderà tutte le misure del caso per proseguire la procedura di infrazione a carico dell’Italia per assicurare il recepimento e l’applicazione integrali della direttiva IPPC.

 Distinti Saluti

 Marianne ZENNING

Capo Unità




Taranto e l’ILVA
(Foto di Mafe)

Commenti all'articolo

  • Di Paolo (---.---.---.64) 25 novembre 2008 16:52

    Un intervento che porta onore all’autore e vantaggio alla comunità, o almeno speriamo.

  • Di leo (---.---.---.73) 26 novembre 2008 00:07

    finalmente !!!! muoviamoci tutti , si da non fare più morti !!! grazie davvero

  • Di Renzo Riva (---.---.---.42) 12 agosto 2012 00:51
    Renzo Riva

    Chi sale in automobile implicitamente accetta e si espone al rischio di essere fra i candidati all’obitorio per il fatto che negli ultimo vent’anni sono morte sulle strade italiane circa 140’000 persone; per non parlare poi degli oltre 450’000 feriti di cui 250’000 con danni permanenti e ridotta capacità residua al lavoro.

    Se gli operai che lavorano all’ILVA e le loro famiglie ritengono che l’esposizione al rischio sia maggiore di quella di salire in automobile e non intendano accettarlo, devono solo invitare i loro congiunti a licenziarsi e insieme a sottoscrivere tutte le denunce rivolte alla magistratura per la chiusura dell’ILVA.

    Tertium non datur

    Da "il Giornale" del giorno 27 Luglio 2012 con strillo in prima pagina e articolo a pagina 5.

    INQUINAMENTO ALL’ILVA
    Quei sigilli assurdi 15 anni dopo i fatti
    di Franco Battaglia

    ■ Quello dell’Ilva appare essere l’ennesimo caso di montatura mediatica, reso possibile da una magistratura coi paraocchi, da un governo che brilla per dilettantismo e da un mondo ambientalista che ancora una volta rivela la propria vera natura: quella del racket che, pari a quello della mafia impone il proprio pizzo ovunque vi sia un’attività produttiva.
    Cominciamo con la magistratura. Secondo la quale «gli impianti dell’Ilva producono emissioni nocive (...)
    (...oltrei limiti, concretizzatesi in eccessi significativi di mortalità per tutte le cause*: tra il 1995 e il 2002 un eccesso di mortalità del 10-15%, specifica la rivista di Epidemiologia e Prevenzione. Farei sommessamente notare che: primo, ciò che il magistrato ha chiamato eccesso significativo appare piuttosto essere entro la normale variabilità statistica; secondo, l’epidemiologia che ha osservato quell’eccesso, nulla dice sulle cause, men che meno che siano firmate Ilva. Ma come, direte, scie emissioni nocive sono state oltre i limiti? Ci arrivo fra poco. Il pressappochismo della magistratura è confermato dalle mani che mette avanti lo stesso procuratore generale a Lecce, che ha candidamente dichiarato: «Dobbiamo chiarire se il sequestro che abbiamo disposto ha una valenza scientifica, storica e legale». Senza tema di essere smentito me la sento di rispondere sulla valenza scientifica: zero.
    Probabilmente la valenza legale c’è. La Regione Puglia, infatti, si vanta di avere fissato i limiti più restrittivi al mondo sulle emissioni di diossina, prevedendo, nel caso di superamento, proprio l’arresto degli impianti. Se c’è allora un vero colpevole per il provvedimento della magistratura è proprio la Regione Puglia che imponendo limiti inutilmente (e dannosamente) restrittivi mette fuori-legge anche la più virtuosa delle aziende. Come risulta agli atti essere l’Ilva: secondo i dati Arpa, nel corso di tutto il 2011 ha emesso meno di 10 g di diossine. Nell’immaginario collettivo la diossina è uno dei tanti mali dei mali. In realtà, come per ogni altro agente, è la dose che ne stabilisce la dannosità.
    In particolare, molti agenti che sono dannosi oltre una certa dose, risultano benefici al di sotto di altra dose, e la diossina non fa eccezione: gli esperimenti di laboratorio hanno dimostrato una diminuzione di tutti i tipi di cancro con l’aumento della dose di esposizione alla diossina sino ad una certa soglia, oltre la quale, aumentando ancora la dose, si osserva l’aumento dei tumori al fegato. Si chiama effetto ormetico, ed è esso a rendere dannosa la norma ultra restrittiva di cui sì vanta il presidente Vendola.
    Il più incompetente di tutti si sta rivelando il governo dei sedicenti tecnici. Il quale, non sapendo cosa fare, si è affrettato a stipulare un protocollo d’intesa per le bonifiche del territorio. Bonifiche da cosa non è dato sapere: anche ora senza tema di essere smentito, direi che non v’è nulla da bonificare. Quella delle bonifiche dei siti inquinati è una tanto pleonastica quanto lucrosa attività cui sono dediti quelli del racket ambientale (cioè gli ambientalisti). Per ora, il governo sedicente tecnico li ha gratificati con 336 milioni, ma il racket del pizzo non s’accontenta mai. Il presidente dei Verdi ha subito messo le mani avanti lamentando che 336 milioni sono una risorsa «irrisoria», e Vendola gli ha fatto subito eco chiarendo «sono solo l’apertura di un ciclo che avrà risorse molto più cospicue».
    Allora, non è con la magistratura - che difetta di nozioni di statistica - che se la debbono avere a male i lavoratori, ma col proprio presidente di Regione, coi Verdi, col governo sedicente tecnico. Con tutti coloro che oggi si coprono solo di ridicolo plaudendo la magistratura e, allo stesso tempo, solidarizzando con gli operai.
    Con tutti coloro, insomma, che hanno predisposto quanto serve per creare l’allarme sociale per giustificare le inutili, ma pur succulente, «bonifiche» da non-si-sa-cosa. 


    Di un altro giornalista e sempre sulla stessa pagina.

    L’ITALIA MALATA
    Che assurdità fermare l’Ilva per i veleni di quindici anni fa
    Vendola doppiogiochista: sia con gli operai e coi pm, ma è colpa della sua giunta se la fabbrica è stata sigillata, Non c’è allarme diossina, la bonifica non serve più

    DUE CITTÀ. UNA PROTESTA
    Gli operai dell’Uva hanno paralizzato la città di Taranto con blocchi stradali per tutto il giorno e hanno manifestato a Genova con un presidio in prefettura II destino dei due stabilimenti è strettamente collegato nell’altoforno di Taranto viene prodotto l’acciaio che a Genova viene poi lavorato a freddo.

    Mandi

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