Giglio, una tragedia per “svegliare” le capitanerie?
Come tristemente è solito, nel nostro paese per muoversi si preferisce sempre attendere la tragedia e anche questa volta il naufragio della Costa Concordia ha reso nota anche a chi non abita in zone di mare la pratica dell’”inchino” che stando alle prime ricostruzioni sembra essere una delle cause dell’incidente di una settimana fa.
Una pratica di cui è difficile credere fosse ignorata sia dall’armatore che dalle capitanerie di porto delle tratte interessate tanto era diventata popolare in molte zone della penisola. E ciò diventa ancora più difficile da immaginare se si fa un giro in rete dove tanti sono i video che testimoniano di questa pericolosa “usanza” e dove si può persino trovare un post pubblicato il 26 settembre 2010 fa sul blog ufficiale della stessa Costa Crociere che pubblicizzava “il saluto a Procida” ringraziando lo stesso Comandante Schettino.
Ora sono tutti uniti e concordi nel ritenere il comandante unico e solo responsabile di quanto accaduto e fermi e decisi nel dire basta con questi “inchini”, ma perché fino a ieri le capitanerie d’Italia “tolleravano” tale pratica?
Dopo questi avvenimenti il mio pensiero non può che rimandarmi al golfo di Napoli, secondo al mondo per numero di passeggeri dopo Shangai dove numerose sono state le denunce in materia di (in)sicurezza.
Queste raccontano di presenze a bordo oltre i limiti di sicurezza, di bocchette antincendio e porte d’emergenza ostruite, di fumatori vicino ai barili di sostanze chimiche, per non parlare dei turni massacranti cui è sottoposto il personale navigante, si parla di sedici, diciotto e a volte anche venti ore al giorno. Su quest’ultimo aspetto va ricordata l’inchiesta di Report andata in onda il 26 ottobre 2008 con la testimonianza del marinaio Di Munno, licenziato per aver rifiutato di lavorare ulteriori cinque ore dopo un turno di dieci ore.
Chissà se questa terribile tragedia possa servire almeno alla Procura di Napoli per far luce sulle irregolarità denunciate e alla Capitaneria di Porto di Ischia e all’Ispettorato del lavoro ad aprire gli occhi una volta e per tutte sulle questioni di loro competenza senza attendere altri morti!
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