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I quarant’anni del Sessantotto

Ciò che è vivo e ciò che è morto (secondo me) del Sessantotto

Ancora una ricorrenza quest’anno. Dopo i settant’anni di Celentano, da festeggiare ci sono anche i quarant’anni del “Sessantotto”. E se sul “molleggiato” c’è un coro unanime di apprezzamento, intorno al ben noto evento citato, piovono frequenti critiche. Sembrava di essere partiti in tromba con un’analisi retrospettiva di quell’epoca e di quella che l’aveva preceduta, con varie pubblicazioni in materia ( una su tutte quella del suo demiurgo italiano, ovvero Mario Capanna, oggi più a suo agio con gli attrezzi agricoli che con la politica dei partiti), e invece tutto si è poi afflosciato. Si era persino organizzato in suo onore il concerto-evento del Primo Maggio. Non c’è ormai più traccia di chi adesso ne parli.

Che cosa fu il “Sessantotto” è questione dibattuta e forse destinata a dividere l’opinione pubblica, ammesso che su questo argomento siano in molti quelli che vi si vogliono misurare. Si può però affermare con certezza quello che il “Sessantotto” non fu, ovvero un occasione per cambiare fino in fondo le cose, compreso il volto di una società che allora sembrava asfittica e chiusa. Non fu neanche una “caciarata”, né una festa di piazza, anche perché a parteciparvi furono più i “figli di papà” che i proletari, come Pasolini ebbe a dire con una dichiarazione che è rimasta famosa.

Resta da dire ciò che è morto e ciò che è ancora vivo del “Sessantotto”. E’ morto il diciotto politico ( poi trasformatosi negli anni seguenti nel sei politico), è morto un certo modo di fare scuola senza il conforto della meritocrazia. E chi lo sa, quei professori che ci trovavamo noi negli anni ’80 e che non sapevano niente, vagolando nella più pura incompetenza, forse oggi non ci sono più…Ma ditemelo voi, se andate sempre a scuola, o siete usciti da poco.

E’ vivo, invece, un nuovo modo di considerare le donne, non dall’alto verso il basso. Senza il “Sessantotto” sarebbe stato impossibile immaginare un futuro roseo per l’emancipazione femminile e certe leggi ( come quella sulla parità uomo-donna, sulle lavoratrici madri, sul divorzio, sulla riforma del diritto di famiglia e quindi sull’abolizione della patria potestà) non ci sarebbero state o sarebbero arrivate con molto ritardo. Detto questo non si può rilevare come il “Sessantotto” abbia minato alle radici il principio di autorità, nei confronti dei professori, dei genitori e così via. Gli episodi di bullismo a cui si assiste oggi, forse sono la logica e cronologica conseguenza di quell’età di contestazione ad ogni forma di potere. Nessuno però mi leverà dalla mente che l’idea più attuale del “Sessantotto” possa essere riassunta nella famosa locuzione “Immaginazione al potere”. Nell’epoca della creatività totale del web 2.0, supportata dai social networks, si può forse affermare che c’è una linea rossa che collega questi tempi a quelli del “Sessantotto”.

Commenti all'articolo

  • Di Fabrizio Cinti (---.---.---.84) 10 settembre 2008 19:32

    Io nel 1968 sono nato, compio 40 anni lunedì prossimo.
    Di quei (pochi) anni ho vissuto gli strascichi, dalla prospettiva "privilegiata" della periferia (dove ancora c’erano ragazzini che si atteggiavano a Hippy, a fine anni ’80).

    Credo che se poca gente abbia voglia di parlare oggi dei sogni del 1968, delle speranze, della volontà di cambiare il mondo... è perché è davvero triste constatare che cosa sta facendo quella generazione, oggi che è al potere.
    In Italia si è instaurata la dittatura dei massoni e delle mafie, se proprio vogliamo escludere il Vaticano, e i cittadini sono ridotti a schiavi strozzati dai debiti con le banche. I figli degli extracomunitari sono la speranza di evitare la bancarotta fra qualche anno.
    Gli Stati Uniti, patria degli 800.000 di Woodstock, non hanno mai smesso di fare guerre.
    Parlare del 1968 servirebbe solo ad accendere nostalgia in qualche animo, ed a riflettere su come abbiamo fatto a cadere così in basso, grazie ai nostri uomini e donne più in alto.

    Meglio stendere un velo pietoso. Meglio tacere e non ricordare, non pensare a quando i giovani si ribellavano fuori dalle scuole, quando ingenuamente o meno cercavano un modo per vivere "alternativo" alla mer*a che percepivano. Oggi sappiamo che non c’è alcuna speranza, oltre all’emigrazione per chi può permettersela.

  • Di MiFra (---.---.---.172) 13 settembre 2008 07:03

     Io nel 68 avevo 33 anni e in quell’epoca lavoravo alacremente. L’Italia era in pieno sviluppo e il benessere era diffuso. Fiorivano iniziative industriali di tutti i tipi in un paese senza debito pubblico e in una INPS che straripava di capitali che non sapeva come investire.
    Con 15 milioni di lire potevi costruirti una villetta con giardino, compreso l’acquisito della terra.
    I sindacati (in realtà pseudo sindacati) esistevano e intervenivano senza lo strapotere di oggi.
    Poi è nato Potere Operaio, movimento non di operai, ma di studenti sindacalizzati capitanati da elementi di sinistra comunista, docenti e insegnanti per lo più, oppure funzionari del PCI fuoriusciti dal partito (poi rientrati pentiti a missione compiuta), gente che mai avrebbe lavorato con le mani e che la fabbrica l’aveva solo immaginata in negativo, gente pagata con le tasse di coloro che produceva realmente. 
    Sono incominciate le ribellioni nelle scuole, fomentate occultamente dagli stessi docenti che aizzavano i figli contro la famiglia, contro la chiesa e contro tutte le istituzioni.
    “Con quale diritto tuo padre ti chiede dove vai?, lui ti dice dove va? “ e ancora “Perché la scuola ti deve valutare dopo la frequenza delle lezioni? Il voto è un diritto uguale per tutti! Voto unico e Laurea e diploma assicurati per tutti! .. E ancora “ L’insegnamento nella scuola dev’essere a livello di tutti gli studenti, non soli per i figli dei professionisti, quindi adeguato sia il livello d’insegnamento affinché tutti siano promossi, senza ripetizioni in famiglia a da insegnanti pagati privatamente”
    Gli scioperi incominciavano a imperversare e per imporli si formavano “picchetti” innanzi alle fabbriche con persone sconosciute tra i dipendenti e ingaggiate tra studenti e sindacalisti. Se i dipendenti si rifiutavano di scioperare si ricorreva alle minacce ai proprietari della fabbrica. “Fuori tutti i dipendenti o potrebbero essere arrecati danni agli uffici”: era la minaccia del sindacalista che si presentava alla direzione. I proprietari chiedevano ai dipendenti di scioperare, magari concedevano di recuperare al sabato le ore perse.
    Le forze dell’ordine, i Carabinieri, avevano l’ordine di non intervenire, nemmeno su richiesta, per impedire la violenza dei picchetti.
    Evidente che questo era un progetto mirato al preparare un colpo di stato con la rivoluzione: si dovevano scardinare le istituzioni. Nascevano le Brigate Rosse di sinistra, e la Rosa dei Venti di destra. Il Governo doveva passare da Centro Destra a Centro Sinistra, ma il Governo Tambroni non aveva la sfiducia e con Sommosse di Piazza è stato costretto alle dimissioni.
    Solo un evento imprevedibile e imprevisto poteva arrestare questo progetto “Gramsciano” del 68 nella su progressione: Il fallimento del Comunismo Internazionale, l’implosione della Russia e della sua Dittatura Del Proletariato, nella miseria più nera.
    La guerra del 68 è persa: i risultati sono qui per tutti. Debito pubblico alle stelle, Casse dell’INPS vuote, Nazionalizzazioni riprivatizzate...eccetera. Lecchiamoci le ferite: il 68 è realmente finito. 

  • Di (---.---.---.184) 13 settembre 2008 11:57

    Viva allora l’immaginazione di chi non ha il potere.

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