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I padroni del mondo. La cupola finanziaria

“I grandi poteri muoiono di indigestione”, Napoleone

A novembre 2013 Chiarelettere ha pubblicato “I padroni del mondo”, un saggio di Luca Ciarrocca, presidente e fondatore di Wall Street Italia (www.wallstreetitalia.com, sito operativo dal 1999).

Il mondo bancario è forse giunto al capolinea se anche l’ex governatore della Banca d’Inghilterra ha affermato che “Dei vari modi per organizzare il sistema bancario, il peggiore è quello che abbiamo oggi” (Mervyn Allister King, governatore dal 2003 al 2013). E oramai quasi tutti gli operatori economici sanno che non esistono dei veri controllori: “I controllori cono tutt’uno con i controllati, la Federal Reserve e l’omologa Banca Centrale Europea hanno come azionisti le più potenti banche commerciali governate da azionisti privati” (Luca Ciarrocca).

In ogni caso la gestione irresponsabile della mastodontica offerta di moneta ingigantisce e prolunga le crisi economiche. Ma nonostante i megamiliardi di euro e di dollari bruciati dalla finanza prima di arrivare all’economia reale (cioè monopolizzati da chi può vedere le carte degli altri), il problema più grosso risiede negli alti tassi di interesse richiesti dalle banche per ripagare i debiti e le carte di credito (compresi i debiti universitari). L’economia occidentale cresce a ritmi troppo bassi e diventa più difficile guadagnare abbastanza per ripagare i debiti. I nuovi laureati faticano a trovare lavoro e prima o poi scoppierà anche la bolla del credito universitario.

D’altra parte “Il capitalismo finanziario non funziona perché i governi hanno ceduto la responsabilità della creazione di moneta alle banche. E non a quelle centrali, ma agli istituto di credito privati, le grandi Tbtf” (Too Big to Fail, le banche troppo grandi per fallire).

Per questo motivo in quasi tutte le nazioni, gran parte delle tasse sui redditi personali non sono destinate a fornire servizi, ma vengono prelevate per ripagare gli interessi sul debito pubblico, poiché le banche private hanno privatizzato le banche centrali dello Stato. In passato, nei periodi difficili come quelli del Dopoguerra, lo Stato poteva sterilizzare i tassi di interessi sui titoli di debito pubblico intorno all’uno per cento e poteva fare grandi investimenti economici anticiclici.

Quindi anche un bambino di 10 anni che riuscisse a leggere sui libri di scuola come funziona il sistema monetario delle banche centrali privatizzate riuscirebbe a capire che si tratta di un vero e proprio furto legalizzato nei confronti della collettività. Un sistema che incattivisce le “naturali” crisi economiche, poiché sottrae potere d’acquisto a chi ha pochi soldi, per regalarlo a chi accumula troppi soldi e troppo potere per una rendita di posizione burocratica e feudale.

L’appropriazione indebita è facilmente individuabile nei periodi di recessione, quando si arriva a strappare i soldi dalle mani dei sottooccupati e dei disoccupati che si privano dei preziosi risparmi (chi può dire quando finirà la loro crisi?), per pagare le tasse sulla casa, sui capannoni industriali vuoti o altre tasse indirette, per foraggiare una casta finanziaria medievale di banchieri “usurai” e usurpatori, quasi sempre protetti da una casta di governanti commedianti che si divertono a molestare economicamente tutte le classi di cittadini (alla fine fregheranno anche i ricchi).

Infatti anche Napoleone Bonaparte affermava che “In fatto di governo, ci vogliono dei compari; altrimenti, la commedia non potrebbe realizzarsi”. Per questo motivo le megabanche troppo grandi per fallire si trasformano in megabidoni ripieni di rifiuti finanziari smaltiti dallo Stato.

In ultima analisi sorge spontanea una domanda: “Perché mai, noi cittadini che lottiamo per sopravvivere, dobbiamo essere condizionati da debiti creati da una élite al potere [per lo più incapace oppure corrotta] che li ha contratti a nostre spese?” (Murray Newton Rothbard, filosofo).

Per approfondimenti cinematografici potete ricercare “To Big to Fail” su YouTube (Il crollo dei giganti, traduzione italiana, 2011). Per interessamenti giornalistici e investigativi: www.icij.org. Per esplorazioni economiche: www.positivemoney.org, www.peakprosperity.com (Chris Martenson).

 

Nota personale - Esiste una realtà economica e burocratica molto semplice e molto occultata: la banche passano il loro tempo a gestire dei banali numeri e non soldi veri. Le banche funzionano grazie a una ridicola riserva frazionaria di denaro “reale” e possono fornire mutui, fidi e crediti creando i soldi dal nulla, inserendo delle cifre sullo schermo di un computer. Infatti tutti i clienti devono prenotare la richiesta di grosse somme di denaro contante con alcuni giorno di anticipo (soldi che il più delle volte arrivano da una sede centrale o da una filiale della Banca centrale).

Nota personale futurista - Un modo etico per salvare le banche potrebbe essere il seguente: ogni governo potrebbe emettere un Assegno di Stato intestato a ogni cittadino, che così sarà costretto a versarlo nella cassa della sua banca di riferimento. Inoltre la formula degli assegni di Stato potrebbe costituire un nuovo titolo di credito nazionale per gli investimenti, simile al Biglietto di Stato autorizzato da Aldo Moro, cioè le “famose” 500 lire di carta che forse hanno decretato una brutta fine; Moro è morto il 9 maggio 1978, le 500 lire non sono state più emesse dal 1979. Naturalmente tutti gli Stati europei appartenenti al circuito dell’euro potrebbero utilizzare i nuovi assegni statali, la cui emissione può essere automatizzata con l’intestazione del codice fiscale. 

Nota storica e napoleonica - “La Banca di Francia non appartiene soltanto agli azionisti, ma anche allo Stato, che le dà il privilegio di battere moneta. L’assemblea dei più grandi azionisti è un corpo elettorale simile ai collegi elettori composti da più contribuenti. Niente sarebbe più funesto del considerarli come proprietari esclusivi della Banca, dato che i loro interessi sono spesso in contrasto con quelli dell’ente; capita spesso che l’interesse dell’azionista non coincida con quello dell’azione” (Manuale del capo. Aforismi, Napoleone Bonaparte, Einaudi, 2009, p. 48).

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