• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

Home page > Attualità > Guerra in Ucraina: ogni tregua è ancora impossibile

Guerra in Ucraina: ogni tregua è ancora impossibile

Che si traslitteri Donbass alla russa o Donbas all’ucraina, la sostanza non cambia: a chi appartiene quella regione?

Formalmente, secondo il diritto internazionale e secondo il Trattato di Budapest del 1994 sottoscritto anche dalla Russia, appartiene senz’ombra di dubbi all’Ucraina. Ma «con chi vuole stare la gente del Donbas, con i russi o con gli ucraini?» si è chiesto Jorit, l’artista napoletano accusato di prestarsi alla propaganda russa grazie al suo murale di una bambina, realizzato a Mariupol, la città martire ucraina, rasa al suolo l'anno scorso.

La risposta oggi è scontata, la gente del Donbas(s) che voleva stare con l’Ucraina è ormai fuggita, incarcerata, deportata o morta.

Ma trent’anni fa, al referendum del 1991 sull’indipendenza del paese dall’URSS, votò in maggioranza a favore dell’indipendenza: per il 76,85% nella regione di Donetsk, addirittura per l’83,86% in quella di Lugansk – i due oblast che costituiscono il Donbas(s) – e perfino per il 54,19% anche nella repubblica autonoma di Crimea. Raggiungendo una media nazionale del 90,32% di favorevoli.

Un altro referendum fu indetto in seguito, durante l’occupazione russa di parte del Donbas(s), con esito filorusso ovviamente scontato quanto poco credibile.

Jorit se la doveva fare prima quella domanda, ma la sua è comunque una domanda che, seppur tardiva, è – oggi – legittima. La risposta, ovviamente, è che la gente del Donbas(s) odierno vuole stare con la Russia: o perché è etnicamente russa o perché è politicamente e culturalmente filorussa. Gli altri sono ormai fuggiti, incarcerati, deportati o morti, quindi non contano più niente.

Il problema però è che la Russia di Putin nel febbraio 2022 ha invaso l’Ucraina – lo stato libero, indipendente e sovrano di Ucraina – puntando direttamente sulla sua capitale con decine di migliaia di soldati che portavano con sé, come è stato appurato poi, le divise da parata per festeggiare la vittoria e la “liberazione” di Kiev dalla sua cricca di nazisti (come li definiva la propaganda del Cremlino) che avrebbe dovuto essere sostituita a forza da “gente perbene” (definizione berlusconiana). Cioè da collaborazionisti che avrebbero avuto il compito di bielorussizzare il paese, rendendolo succube del regime putiniano.

Che l’obiettivo fosse il cambio di regime a Kiev lo sostenne già il 24 febbraio Dimitrij Suslov, direttore del Centro di studi europei e internazionali presso la Scuola superiore di Economia di Mosca.

Come sappiamo la manovra andò male e alla Russia rimasero due sole opzioni, così descritte nell’immediatezza dei fatti (aprile 2022) dallo stesso Suslov: l’obiettivo dei falchi era occupare Odessa e l’intera costa meridionale dell’Ucraina fino a collegare la Russia con la Transnistria, obiettivo delle colombe quello di occupare l’intero Donbas(s) e poi aprire le trattative con Kiev per giungere a una soluzione (più o meno) definitiva della questione.

Un anno e tre mesi dopo quella dichiarazione sappiamo che l’obiettivo dei falchi è, allo stato dei fatti, ormai irraggiungibile (a meno di un imprevedibile collasso dell’esercito ucraino) e quello delle colombe non ancora raggiunto (buona parte del Donba(s) è ancora sotto controllo delle forze di Kiev). Ma altre ampie zone, non appartenenti al Donbas(s) storico, sono tuttora sotto occupazione russa.

Quale può essere quindi il punto di stallo in grado di aprire uno spiraglio di trattativa? È ipotizzabile realisticamente che un accordo possa essere raggiunto sul puro e semplice trasferimento concordato di sovranità su Donbas(s) e Crimea dall’Ucraina alla Russia in cambio di qualcosa?

A queste domande si può rispondere affermativamente solo se la controffensiva ucraina, vale a dire il tentativo tuttora in corso – che qualcuno un po' troppo precipitosamente ha già definito "fallito" – di sfondare le linee fortificate russe costruite durante l’inverno a difesa dei territori occupati, dovesse risolversi con un nulla di fatto effettivo.

A quel punto Putin potrebbe cantare vittoria (peraltro sul suo obiettivo minimo, pur essendo uscito politicamente sconfitto per il mancato raggiungimento sia del suo obiettivo primario che di quello secondario) e aprire la possibilità di una trattativa, offrendo forse una parziale (anche solo simbolica) restituzione di territorio occupato (ad esempio la centrale nucleare di Zaporizhzhya) in cambio di un accordo definitivo su Crimea, Donbas(s) e il resto. E Kiev, avendo a quel punto la certezza di aver fallito il braccio di ferro (e avendo esaurito presumibilmente anche il suo credito verso gli alleati occidentali) non potrebbe fare altro che sedersi al tavolo, da una posizione di sostanziale debolezza, e accettare la proposta russa, cercando al più di trattare al meglio delle sue possibilità su una restituzione non puramente simbolica di territorio ancora occupato.

Ovviamente la risposta sarebbe tutt’altra se l’offensiva ucraina dovesse avere un qualche successo: Il governo di Kiev otterrebbe dagli alleati occidentali l’appoggio che serve e, ringalluzzito dall’affermazione sul campo (per quanto parziale), si impegnerebbe ancora di più per proseguire la guerra, senza porsi limiti aprioristici.

È una questione che si capirà prevedibilmente entro l’autunno, quando il terreno tornerà ad essere impraticabile per i mezzi pesanti e l’iniziativa militare si fermerà di nuovo, bloccata dal fango.

A quel punto diventerà più evidente che la possibilità ucraina di riprendere un’iniziativa con qualche possibilità di successo, dopo un altro inverno di ulteriore rafforzamento delle linee difensive russe e di una prevedibile nuova mobilitazione, sarà sfumata definitivamente.

O, al contrario, diventerà evidente che la capacità russa di difendere tutto il territorio occupato sarà stata messa seriamente in discussione. Un terzo anno di guerra diventerebbe allora inevitabile.

Che Crimea e parte del Donbas(s) siano ormai perduti per l'Ucraina lo darei per scontato. Non li riavrà mai (anche se vale sempre il "mai dire mai") perché è l'unico obiettivo minimale che permetterebbe a Putin di salvare la faccia (e in Occidente sono in molti ad aver già dichiarato che "non si può umiliare Putin"). Anche se qualcuno potrebbe prima o poi rinfacciargli di aver mandato a morire decine di migliaia di uomini per ottenere quello che dopotutto possedeva già da otto anni.

Quanto del rimanente territorio sarà invece ripreso e liberato dall'invasore lo sapremo presto. Non c'è niente che si possa fare prima che il tentativo di rivalsa da parte ucraina non sia stato speso fino in fondo. Al prezzo di sangue e distruzione che si può immaginare, ma che è imprescindibile per l'identità stessa dello stato aggredito. Tantopiù per il suo governo.

L'impossibilità in questa fase di cedere, da parte di entrambi i contendenti, è palese.

Il tentativo fallito del Vaticano, il cui rappresentante non è stato nemmeno ricevuto a Mosca da chi conta qualcosa, è lì a dimostrarlo.

Foto President of Ukraine/Flickr

 

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità