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Guerra in Siria: il bilancio delle vittime

Mentre Erdogan (ottenendo il via libera di Trump), tra minacce all’Europa e bombardamenti nel nord-est della Siria a ridosso della frontiera e nel nord dell’Iraq, prende di mira i curdi; i numeri delle vittime della guerra in Siria continuano ad aumentare. I curdi, inoltre sono rimasti gli unici a contrastare gli attacchi delle milizie dell’ISIS, trovandosi, quindi, in mezzo a due fuochi.

I numeri della strage di vittime in Siria
Mentre Erdogan (ottenendo il via libera di Trump), tra minacce all’Europa e bombardamenti nel nord-est della Siria a ridosso della frontiera e nel nord dell’Iraq, prende di mira i curdi; i numeri delle vittime della guerra in Siria continuano ad aumentare. I curdi, inoltre sono rimasti gli unici a contrastare gli attacchi delle milizie dell’ISIS, trovandosi, quindi, in mezzo a due fuochi.

Il Violation Documentation Center (VDC), un organismo indipendente nato nel 2011 che, oltre ad essersi dato l’obiettivo di fornire ai media dati sull’andamento della guerra in Siria, ha anche l’obiettivo di attribuire le responsabilità di questa carneficina; ha comunicato che dal 2011, sette anni di guerra hanno ucciso più di 211.000 persone in Siria. Tra la città e i sobborghi, la capitale di Damasco conta circa 60.000 morti, mentre ad Aleppo, dove ha soprattutto colpito il califfato, se ne contano circa 42.000. Inoltre, se le uccisioni dell’ISIS stanno calano nel corso degli anni, è certamente grazie all’azione di contrasto congiunta dei combattenti curdi e degli eserciti internazionali, sia alleato che russo. 

Un altro istituto, il The Syrian Network For Human Rights (SNHR), invece, scrive sul proprio sito che i morti in Siria dall’inizio del conflitto sarebbero ancora più alti: supererebbero, infatti, il mezzo milione. Inoltre, sempre secondo il SNHR, nel 2017 sono stati uccisi 10.204 civili. 

Tra il 2017 e il 2018, inoltre, tra le altre, le vittime causate da attacchi a distanza sono circa 30.000.


Medio Oriente, Asia e Africa, le vittime delle altre guerre 
A causa dei conflitti a fuoco di diversa natura, tra il 2017 e il 2018, secondo il progetto Armed Conflict Location & Event Data Project (ACLED) circa 193.000 persone sono morte in Africa, Asia e Medio Oriente.

Oltre che in Siria, anche in Afghanistan, Iraq, Yemen e in alcune regioni dell'Africa si registrano un alto numero di vittime negli ultimi due anni. In particolare le prime due (Siria e Afghanistan) sono praticamente appaiate con numeri decisamente superiori alle altre nazioni. Entrambe contano, infatti, oltre 71.000 decessi dovuti a conflitti armati, diventando i luoghi più pericolosi al mondo, superando di diverse unità Iraq (36.891) e Yemen (33.353).

Nel continente africano, invece, sono quasi 47.000 le persone che hanno perso la vita e il numero degli scontri è crescente. Dal 2008 in Somalia, sono stati più di 8.400 gli eventi – con oltre 22.000 morti – che coinvolgono i gruppi legati ad Al-Queda e la milizia islamica radicale Al-Shabaab; solo tra il 2017 e il 2018 le vittime di questi attacchi sono state 8.911. In Nigeria, a causa della violentissima guerra decennale, le vittime accertate tra gennaio 2017 e luglio 2018 sono 8.614. Nell’Africa occidentale, dal 2009, negli eventi in cui è coinvolto Boko Haram i morti sono oltre 27.000, anche se in questo momento gli attacchi del gruppo sono in calo. 

Per gli altri dati si veda l’articolo su Info Data di Riccardo Saporiti e Filippo Mastroianni, che hanno raccolto i dati dai siti su citati.

Cosa può fare l’Europa?
L’Europa non può stare a guardare, mentre nel mondo, i conflitti armati causano sempre più vittime, anche perché, per la sua vicinanza, l’Europa risulta il primo porto occidentale dei rifugiati per sfuggire alle guerre. 
Restando sul caso siriano, innanzitutto, gli obiettivi strategici sui quali si dovrebbe concentrare l’UE, sono:


  • porre fine alla guerra attraverso un’autentica transizione politica;
  • promuovere una transizione efficace e inclusiva in Siria;
  • salvare vite umane affrontando le esigenze umanitarie della fascia più vulnerabile della popolazione siriana;
  • promuovere la democrazia, i diritti umani e la libertà di espressione;
  • promuovere l'attribuzione delle responsabilità per i crimini di guerra;
  • sostenere la resilienza della popolazione siriana e della società siriana.

Dalla redazione di Sinistra Italiana 
Erdogan minaccia l’Unione Europea mentre proseguono i bombardamenti dell’artiglieria e dell’aviazione turca contro obiettivi curdi nel nord-est della Siria. Il presidente turco annuncia di aver ucciso "109 terroristi" e avverte l’UE: se ostacoleranno l’operazione militare, Ankara aprirà le porte a 3,6 milioni di rifugiati, mandandoli in Europa.

Intanto interviene Mosca, secondo cui l’operazione militare è il risultato delle azioni degli Stati Uniti in quell’area. Lo ha detto il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov, citato da Interfax, sottolineando che la Russia promuoverà il dialogo “tra Damasco e Ankara”.

L’attesa in questi giorni è per la riunione del consiglio di sicurezza Onu mentre si registrano le condanne dell’attacco da parte di Iran e Israele.

Sul terreno ancora attacchi turchi nel nord-est siriano a ridosso della frontiera, ma anche sul nord dell’Iraq, per impedire al Pkk curdo di intervenire in soccorso della zona di conflitto. Conquistati i primi due villaggi. Ankara nega di aver colpito civili, i curdi l’accusano di aver bombardato una prigione in cui sono detenuti miliziani Isis, con lo scopo di favorirne la fuga. Altri raid si segnalano sull’area di Ras al Ayn, l’altro punto d’accesso dell’offensiva di Ankara, distante circa 120 km da Tal Abyad.

Sono circa 60mila gli sfollati siriani fuggiti nelle ultime 36 ore dalle zone dell’offensiva turca nel nord-est della Siria, secondo quanto riferito dall’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria. Secondo le fonti citate dall’Osservatorio i civili sono in fuga in particolare dalle zone di Darbasiye e Ras al Ayn. La direzione dello sfollamento è verso sud e sud-est, verso la città di Hasake.

«Siamo preoccupati perché l’azione militare (della Turchia) pregiudica la sicurezza dei Paesi europei, destabilizza quella parte di pianeta e contribuirà a creare un’emergenza umanitaria» e nuovi flussi migratori. Così il deputato Erasmo Palazzotto durante una conferenza stampa alla Camera con alcuni esponenti del Rojava, la Federazione della Siria del Nord, territorio autonomo de facto curdo nel nord siriano.

«Ieri il segretario della Nato ha parlato di azione proporzionata, ci chiediamo rispetto a quale offesa o minaccia. Parliamo di un’offensiva militare nei confronti di una forza politica e militare che ha contribuito a liberare la Siria dall’Isis» e ha contribuito «a stabilizzare una parte importante» del Paese, ha sottolineato il deputato.

«Troviamo inconcepibile questa azione militare, che sotto il profilo del diritto internazionale è un’aggressione contro una risorsa, il Rojava è l’esperienza di democrazia più avanzata in Medio Oriente», ha dichiarato. L’Italia «deve chiedere in sede europea di porre fine a questa azione scellerata», ha aggiunto.

La crisi è inoltre «una minaccia per quanto riguarda la sicurezza: indebolendo le forze curdo-siriane, si riapre la possibilità che le milizie Isis si riorganizzino, e dall’altra parte che le azioni militari possano permettere la fuga miliziani Isis sotto custodia nel Rojava, che sono 12 mila e per i quali i curdi hanno chiesto che si crei un tribunale internazionale per processare queste persone, tra cui 2 mila foreign fighters».

Con questo conflitto «rischiamo che il lavoro straordinario fatto dalle forze curdo siriane per limitare le minacce terroristiche sia vanificato ,e che la Turchia riapra le porte europee a questa minaccia», ha sottolineato Palazzotto.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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