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Guardare al futuro: Marco Travaglio parla agli studenti della Statale

I temi caldi della penna di Marco Travaglio, ospite mercoledì 19 novembre della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Milano, vengono riproposti in occasione di questo incontro, con un’impostazione diversa, certamente più adatta ad un pubblico di giovani studenti, che in queste ultime settimane sono stati fra i principali protagonisti della scena politico-sociale, facendo sentire la voce della protesta contro i tagli dei fondi per la ricerca e l’istruzione previsti dalla finanziaria e contro la Legge 133, meglio nota come Riforma Gelmini.

È sul futuro che Marco Travaglio pone l’accento nel corso del suo denso intervento: il futuro sta per conoscenza e sapere, per clima e ambiente, e sta anche per integrità morale in tutte le azioni politiche e sociali. È proprio la protesta unitaria di insegnanti, studenti e ricercatori che ha un valore nuovo e radicato, che guarda al futuro: nasce dalla base, lontana dai partiti, è autonoma, spontanea e scarsamente controllabile, non si fonda su rivendicazioni di natura materiale né economica, ma solo ed esclusivamente su ideali condivisi, sul diritto alla conoscenza e al sapere. Questa autonomia, questa unità di forze destabilizza la classe politica, da un lato perché vorrebbe evitare di trattare tematiche scomode come i tagli alla scuola, dall’altro perché la mancanza di un referente politico-istituzionale non permette l’apertura di un dialogo né la discussione di una trattativa per intavolare un accordo. Travaglio, insomma, intravede nella mobilitazione dell’opinione pubblica una progressiva presa di coscienza: l’informazione si diffonde sempre più velocemente e liberamente in rete, i cittadini (non tutti, purtroppo) si preoccupano delle conseguenze delle azioni della classe dirigente e chiedono di sapere la verità.

La libera informazione costituisce un questione importante, argomento principale anche dell’ultimo libro del giornalista intitolato “Il Bavaglio”. È proprio dalla frase iniziale del libro - una citazione riportata da una studentessa catalana sul blog dello stesso Travaglio - che prende avvio l’intervento: ci dicono che piove e ci pisciano addosso. Questa frase mette in luce, come afferma il giornalista, il rapporto che esiste fra realtà e informazione (che altro non è che la percezione della realtà mediata dai mezzi di comunicazione). In Italia, a differenza delle altre democrazie, questo rapporto risulta assolutamente distorto, deviato e lontano, in maniera preoccupante, dalle regole stesse della democrazia. I media, dalle tv ai giornali, devono vigilare, controllare, indagare, continuare a scavare per scoprire e raccontare la verità. E per fare ciò devono essere rigorosamente autonomi, liberi e indipendenti. Ironicamente, Travaglio fa notare come, a differenza di tutti gli altri paesi democratici, in Italia esista la Commissione Parlamentare di Vigilanza Rai, e come questa costituisca un preoccupante paradosso, da “Repubblica delle Banane”, oltre che un sintomo del pericoloso ribaltamento delle regole democratiche che stanno alla base della libera informazione.

Gli esempi addotti da Travaglio, relativamente al ruolo che l’informazione indipendente ricopre e ha ricoperto in alcuni paesi occidentali, spaziano dagli Usa, che sono al centro dell’attenzione dei media per la recente elezione del 44° Presidente e dove proprio i media hanno contribuito alla “distruzione” politica di Bush, alla Spagna di Aznar, il quale, al tempo dell’attentato di Madrid, che capitò proprio nel pieno della campagna elettorale aveva dichiarato, contraddicendo la polizia, che non si trattava di un attentato di Al Qaeda, ma dell’Eta; i media smascherarono immediatamente la grande bugia che si ritorse contro il partito dello stesso Aznar, favorendo il candidato socialista, seppure ancora scarsamente conosciuto, Zapatero. Amaramente, dobbiamo invece constatare che in Italia le menzogne, non solo in campagna elettorale, hanno retto perfettamente, proprio per la tradizionale mancanza di una vera e radicata informazione libera (salvo rare eccezioni). In effetti, in Italia, dalle origini della Repubblica, non si è mai conosciuta l’informazione indipendente: l’informazione libera non c’è mai stata. Negli anni Settanta, come Travaglio sottolinea, si verificano tre momenti di rottura nel panorama dell’informazione tradizionale: la nascita del “Manifesto” di Rossana Rossanda (contro l’ortodossia del Pci), del “Giornale” di Indro Montanelli (contro la moda di buttarsi a sinistra) e della “Repubblica” di Eugenio Scalfari. Ad eccezione di queste novità, l’informazione italiana è sempre stata un cane di compagnia, più che un cane da guardia. Fra il 1992 e il 1994 si apre una parentesi importante: in maniera eccezionale, i media iniziano ad attaccare il potere e la classe dirigente, sempre più indebolita dagli attacchi della magistratura che riesce a far emergere la fitta rete di corruzione e clientelismo che aveva retto l’Italia fino ad allora.


Con la vittoria di Berlusconi alle elezioni del 1994 si apre una nuova fase anche per l’informazione, o forse per la disinformazione. È proprio la disinformazione, la mancanza di notizie fondate sulla realtà dei fatti, così come ha insegnato Montanelli, che trasforma l’Italia; all’origine di questa deformazione della democrazia c’è la grande menzogna, l’invenzione del complotto delle toghe rosse contro la classe politica.

L’altro grande tema dell’intervento di Travaglio fa riferimento proprio alla giustizia e alla riforma che la dovrà riguardare. Il nodo sta nella questione relativa alla separazione delle carriere di Pubblici Ministeri e Giudici: se questa riforma dovesse essere approvata, la classe dirigente completerà l’operazione che gli consente di perpetrarsi eternamente nel tempo, senza più alcun ostacolo: la legge elettorale stabilisce che i politici si autonominino; le varie forme di immunità permettono agli stessi politici di non essere puniti per i reati commessi; la separazione delle carriere eviterà direttamente le indagini sui politici. La giustizia, insomma, dice Travaglio, viene bloccata alla sorgente: il Pm non potrà più, evidentemente, disporre le indagini autonomamente su questo o quel politico sospetto. Ancora una volta saranno i cittadini a pagare il grave danno, mentre la gerontocrazia politica si perpetuerà all’infinito.

Un Marco Travaglio come sempre brillante, pungente e ironico, che fa appello agli studenti, ai giovani per un maggiore e sempre più convinto impegno critico, fondato sulla conoscenza dei fatti reali e lontano dalle ideologie: soltanto in questo modo sarà possibile aggregare e dare voce ad una vera opinione pubblica, quella che intimorisce proprio per la sua autonomia e che deve funzionare come ago della bilancia democratica.

Francesca Misiano

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