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Grup Yorum, il prezzo della vittoria: morto Ibrahim Gokçek

Prima Helin Bolek a soli 23 anni, poi Mustafa Koçak di 28 anni, morti entrambi a causa di uno sciopero della fame iniziato nel 2019 per protestare contro le accuse e il divieto di suonare per la loro band Grup Yorum, impostogli da Erdogan.

di Andrea Colombo

(Foto di https://www.facebook.com/groups/160...)

Ieri la vittoria, dopo la notizia della possibilità per la band di tornare a suonare e di poter cantare liberamente le loro canzoni assieme alla fine dello sciopero della fame di Ibrahim Gokcek, che lo ha interrotto dopo 323 giorni e che versava in condizioni di salute terribili.

Le stesse condizioni critiche hanno portato oggi ad una vittoria sfumata in un attimo, con la notizia giunta da poco della sua morte.

Una vittoria conquistata così duramente, giorno dopo giorno con uno sciopero della fame di protesta che ha fatto soffrire continuamente i suoi protagonisti.

Nonostante questo, la band ha continuato nel suo intento anche se due di loro non potranno mai saperlo, la vittoria è finalmente arrivata con la notizia della possibilità di tornare a suonare sul palco. Ma a che prezzo?

Al prezzo di tre vite spezzate, nel nome di un’idea così semplice quanto importante: quella di poter esprimere liberamente la propria opinione, ma per cui spesso bisogna lottare duramente contro regimi autoritari che la vogliono limitare, fin troppo spesso combattendo fino alla morte.

Sebbene il prezzo per questa vittoria sia troppo alto, fin dal momento in cui anche solo la prima vita è stata portata via, è una vittoria che non vogliamo dimenticare per gli incredibili sforzi che ne sono stati alla base e per tutti gli attivisti che hanno contribuito e continuano a farlo, a tenere alta l’attenzione sull’ennesima drammatica vicenda di libertà d’espressione negata.

La band Grup Yorum non sarà sicuramente più la stessa e suonare diventerà sempre più difficile a causa delle perdite umane, nonostante sia ora arrivata l’autorizzazione a farlo. Ma questa potrebbe essere l’occasione per diventare qualcosa di ancora più importante, una testimonianza e un simbolo della crudeltà del regime di Erdogan e del perché la Turchia è ancora oggi considerata un alleato dell’Europa, ad esempio nella gestione dei flussi migratori.

Per far si che i Grup Yorum diventino un simbolo della libertà d’espressione e che non vengano dimenticati, vogliamo ricordarli consigliandovi di ascoltare una loro canzone (che potrebbe risultarvi molto familiare): Çav Bella.

Stando alle informazioni avute dal giornalista Ondrej Kundra, questa operazione sarebbe dovuta essere una sorta di regolamento dei conti o intimidazione per rispondere a diverse azioni con cui i tre personaggi si sarebbero inimicati la Russia. I tre politici si trovano attualmente sotto scorta ed uno di essi è stato condotto in una località segreta a scopo preventivo. Chiaramente non c’è nessuna conferma di questi fatti, né che la scorta gli sia stata attribuita a causa di questo evento, poiché non è neanche confermata dalle persone che in teoria sarebbero le vittime di questa cospirazione.

Le prove “schiaccianti” su cui è costruita tutta questa teoria sono a dir poco demenziali: La prima è il fatto che i tre politici si trovino sotto scorta e la seconda è che sembra confermato che una persona con passaporto diplomatico risulterebbe giunta a Praga nel periodo in questione, come se il fatto che dei diplomatici possano viaggiare sia una novità clamorosa. Questo dovrebbe bastare a capire la serietà della rivista Respekt, il cui maggiore finanziatore è stato per molto tempo il magnate miliardario Karel Schwarzenberg, miliardario rampollo della omonima casata asburgica con passaporto svizzero, ed attualmente attivo nella politica Ceca e fondatore del partito conservatore TOP 09.

Il fatto che i media Cechi ed internazionali abbiano dato una grossa diffusione a questa notizia, senza alcun elemento di attendibilità, è molto grave. Se, infatti, gli elementi su cui si basa sono assolutamente inconsistenti, le accuse che si lanciano sono gravissime e rischiano di scatenare una crisi diplomatica enorme. La situazione ricorda molto la fialetta agitata da Colin Powell usata come pretesto per scatenare la guerra che ha sconvolto l’Iraq e di cui oggi conosciamo benissimo le vere ragioni.

In Repubblica Ceca è in atto da anni una fortissima campagna di demonizzazione nei confronti della Russia, che sta rapidamente portando ad un preoccupante ritorno dell’odio e della diffidenza verso i cittadini e le istituzioni di questo paese. Questa campagna sembra finalizzata ad alimentare ad arte le tensioni tra la Repubblica Ceca e la Russia con l’evidente obbiettivo di danneggiare le relazioni commerciali tra i due Paesi. Si tratta di una nuova strategia della tensione che riguarda tutta questa area geografica e che sta dando i suoi frutti, considerando che, a scopi preventivi, nel 2020 la Polonia ha dilapidato quasi 12 miliardi in armamenti.

Si sta approfittando dei traumi della storia recente per creare un’atmosfera di terrore nei cittadini dipingendo a tinte forti una immagine secondo la quale la Russia avrebbe l’intenzione di riconquistare il paese. La maggior parte delle persone credono, senza alcuna ragione, che la Russia stia monopolizzando l’economia attraverso ingerenze criminali e che l’informazione sia assediata da un oscuro potere russo. Di fatto la Russia non ha particolari interessi commerciali in questo Paese e nessuna partecipazione degna di nota nei media locali.

La Repubblica Ceca è un paese fortemente democratico e saldamente ancorato all’Europa. Fa parte – inoltre – della Nato dal 1999.

Evidentemente, però, questa campagna di demonizzazione sta dando i suoi risultati poiché in pochi anni si è riusciti a convincere una grossa fetta della popolazione che già inizia a sentirsi in pericolo. Si parla ormai della Russia come se fosse l’Unione Sovietica degli anni settanta .

I cittadini russi che vivono e lavorano in Repubblica Ceca iniziano ad essere guardati con sospetto come se si trattasse di spie e ritornano in auge termini desueti come “bolscevichi”. I russi vengono accusati di ogni nefandezza, con atteggiamenti che ricordano molto i racconti sui comunisti che mangiano i bambini, molto in voga in Italia durante la guerra fredda. Personalmente, vivendo a Praga, mi è capitato di sentire la frase “odio i russi” moltissime volte, pronunciata in contesti insospettabili, con una certa soddisfazione, quasi a voler sottolineare la genuinità delle proprie qualità morali. Questa moda non sta risparmiando neanche i politici.

Anche le più alte cariche dello stato che si rifiutano di manifestare sentimenti anti russi vengono accusati apertamente di “collaborazionismo” e vengono esposti ad una sorta di processo mediatico senza appello.

Parallelamente iniziano delle campagne di revisionismo storico, in cui si comincia a parlare della liberazione dal nazismo da parte dell’armata sovietica come una sorta di fake news. Un aspetto notevole è che questa manovra colpisce moltissimo le nuove generazioni, che non hanno neanche l’esperienza di aver vissuto sotto il regime comunista crollato negli anni novanta.

In questo clima di psicosi indotta si moltiplicano casi di giovani funzionari rampanti che, per attirare il consenso popolare, si esibiscono in ridicole crociate personali contro la Russia, tra gli applausi generali. Come se infierire sui vecchi padroni sconfitti per compiacere i nuovi fosse un atto di eroismo.

Questo è il caso, per esempio, del giovane sindaco di Praga 6 Ondrej Kolár che ha fatto clamorosamente – in questi giorni – rimuovere la statua commemorativa a Ivan Konev, generale che guidò le truppe che liberarono la Cecoslovacchia dai nazisti nel 1945. La scusa ufficiale per la rimozione è stata che la statua era stata vandalizzata due volte ed il comune non voleva più assumersi le spese per la pulizia della stessa. Il generale è criticato per aver guidato la repressione della rivoluzione ungherese nel 1956. Ma è ovvio che a nessun amministratore comunale verrebbe mai in mente di far rimuovere la statua di Churchill nel centro di Praga, nonostante sia provata la sua responsabilità storica in innumerevoli genocidi. E questo dovrebbe far riflettere.

Il sindaco di Praga Hřib ha invece fatto rimuovere una targa commemorativa alla liberazione nel centro della capitale (stavolta approfittando di alcuni lavori di ristrutturazione) e dichiarando successivamente che non sarebbe stata più ricollocata poiché, a suo avviso, conteneva delle imprecisioni storiche.

Un’altra gravissima provocazione recente è stata la crociata del sindaco per l’intitolazione della via dove ha sede l’ambasciata russa nella capitale a Boris Nemtsov, oppositore di destra, vicino all’ambiente oligarchico russo, ucciso a Mosca nel 2015 da un commando ceceno. Nonostante le motivazioni dell’omicidio non siano mai state chiarite e le ipotesi siano ancora molte (compreso quella di delegittimare il presidente in carica), l’opposizione russa ha indicato subito Putin come il mandante.

Il governo russo ha fatto sentire la sua voce per denunciare queste situazioni, minacciato azioni diplomatiche e legali e fatto notare che la violazione dei memoriali di Paesi terzi costituisce un grave reato, perseguibile internazionalmente, minacciando anche di farlo.

Ma si è trattato di una reazione diplomatica che probabilmente non ha soddisfatto le aspettative di chi ha messo in atto la provocazione. Così, poco dopo, la fantomatica notizia del presunto killer russo ha fatto la sua apparizione sui media locali ed è stata rimbalzata acriticamente da quelli europei, che con dei mirabolanti capolavori di utilizzo di congiuntivi e condizionali, hanno confezionato articoli come questo apparso sul corriere della sera il 28 Aprile del 2020.

In questa storia ovviamente non ci sono certezze che si possano sostenere. L’unica certezza che si può avere, osservando la bassezza dei mezzi che si stanno utilizzando, è che qualcuno sta soffiando sul fuoco dell’intolleranza per alimentare nuove tensioni in quest’area geografica.

Sarebbe urgente soffermarsi a comprendere cosa sta succedendo e perché, tentando di non farsi condizionare dalle antipatie o simpatie personali, affinché la distanza che separa le nostre opinioni sui singoli avvenimenti non debba essere un giorno compensata dalla comunanza nella tragedia degli effetti che ne potrebbero scaturire.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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