Grillo vuole riprendersi nome e simbolo dei 5Stelle.

“Chi non muore si rivede”, verrebbe da dire, ma con Beppe Grillo il ritorno ha sempre un qualcosa di… eccitante! Lui, l’uomo dei Vaffa, non è mai davvero uscito di scena, eppure ogni volta che rientra lo fa da protagonista inatteso, scomodo, quasi sempre divisivo.
Oggi, però, il copione cambia ancora: il fondatore del Movimento 5 Stelle non rientra solo per commentare, ma per rivendicare. Per reclamare ciò che considera suo: il nome, il simbolo, l’anima stessa di quel Movimento che ha contribuito a far nascere, esplodere e – a detta di molti – anche a implodere.
Secondo indiscrezioni confermate da ambienti vicini al comico genovese, Grillo avrebbe dato mandato ai propri legali per un’azione giudiziaria volta a riappropriarsi del marchio del Movimento 5 Stelle. Una mossa che scuote profondamente le fondamenta già fragili di un partito in cerca di nuova identità, guidato da un Giuseppe Conte sempre più distante – per stile, linguaggio e strategia – dall’impronta originaria.
Dalla sede romana del Movimento il tono è disteso: “Assolutamente tranquilli”, dicono. Ma quella tranquillità sa più di facciata che di convinzione. Perché Grillo, volente o nolente, è ancora un totem ingombrante. Una figura che pesa, nei ricordi degli attivisti, nei timori dei dirigenti, nelle narrazioni dei media. Il M5S di oggi si è trasformato in un partito come tutti gli altri, ma porta ancora il marchio indelebile del suo creatore. E proprio per questo la battaglia legale sul simbolo assume un valore che va ben oltre la mera giurisprudenza: è uno scontro sull’eredità politica, sulla legittimità morale, sull’autenticità di un’idea.
Cosa resta, oggi, del Movimento 5 Stelle delle origini? Quello dei Vaffa Day, delle piazze piene, della promessa di “uno vale uno”? Grillo stesso, nel videomessaggio post-Costituente del dicembre 2024 – a bordo di un carro funebre, metafora sinistra ma eloquente – aveva detto chiaro e tondo: “Il Movimento è stramorto, ma l’humus che c’è dentro no”. In quel terreno fertilissimo di rabbia popolare, sfiducia nei partiti e fame di giustizia sociale, Grillo si riconosce ancora. Conte, invece, lo ha abbandonato da tempo per tentare un’altra via: quella della rispettabilità istituzionale, della trattativa parlamentare, della responsabilità di governo.
Due modelli inconciliabili. Due anime in lotta. Da una parte il carisma movimentista e caotico, dall’altra la razionalità dell’avvocato del popolo. Lo scontro, dunque, non è (solo) tra due persone. È tra due visioni della politica, tra due interpretazioni della democrazia, tra due modi di immaginare il futuro del Paese. E a pagare il prezzo più alto di questa faida è proprio quell’elettorato che nel Movimento aveva creduto come ultima possibilità di cambiamento, e che oggi si trova a fare i conti con una storia sempre più simile a quelle degli altri partiti tradizionali.
Grillo può davvero riprendersi il simbolo? Forse sì, forse no. I precedenti giuridici sembrano favorire Conte e la sua nuova gestione. Ma poco importa l’esito delle aule giudiziarie. Perché il vero terreno dello scontro è politico, culturale, simbolico. E su quel piano, la battaglia è appena cominciata.
Resta da capire se quel simbolo, ammesso che Grillo riesca a riottenerlo, serva ancora a qualcosa. L’Italia del 2025 non è quella del 2009. Il Paese è cambiato, le priorità sono mutate, il linguaggio dell’antipolitica ha perso forza. Il grillismo originario, nella sua forma più pura e incendiaria, appare oggi un reperto archeologico più che una prospettiva concreta. Eppure, in un’epoca in cui la politica fatica a generare entusiasmo, quel passato continua a esercitare un richiamo quasi mitologico.
Forse, allora, Grillo non torna solo per sé stesso. Forse torna per lanciare un ultimo guanto di sfida: al sistema, al suo ex Movimento, al tempo che passa.
In gioco non c’è solo un nome, né un simbolo. C’è il destino di un’idea che voleva cambiare la politica, che voleva aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, ma che oggi rischia di essere cambiata – o cancellata – dalla politica stessa.
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