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Gli incontri ravvicinati de "Il Quarto Tipo"

Gli incontri ravvicinati de "Il Quarto Tipo"

Tra i film usciti nelle sale in questi giorni, se pur offuscati dalla mole di pubblicità di Avatar, mi ha incuriosito ed ho trovato molto interessante “Il Quarto Tipo” (The Fourth Kind).
 
Tanto si è scritto e tanto si è filmato sugli incontri ravvicinati, i quali suscitano nell’ascoltatore più curiosità che inquietudine, ma il prodotto di Olatunde Osunsanmi riesce ad avere sicuramente qualcosa in più del solito, a partire dalla fotografia su cui è costruito il film.
 
La trama racconta di una psicologa che, dopo la morte del marito, si reca in una cittadina dell’Alaska, in cui vi sono state diverse sparizioni e omicidi dagli anni ‘60, per studiare dei pazienti che presentano alcune curiose similitudini tra loro. Chiaramente, da questo punto, la storia di intersecherà con la vicenda personale della dottoressa Tyler, rendendo il tutto ancor più entusiasmante.
 
I veri punti di forza di questo film, però, sono altri, nonostante il tema non sia mai stato affrontato sotto questa prospettiva. In particolare risulta azzeccata l’idea di sovrapporre al film vero e proprio le registrazioni reali delle sedute della dottoressa, le sue dichiarazioni ed alcuni documenti inediti sugli ultimi avvenimenti del 2000, anno in cui il marito è morto assassinato, proprio quando, nella stessa cittadina di Nome, lavorava a dei casi analoghi.
 
La pellicola si situa infatti in quel genere che è stato definito come “mockumentary” (falso documentario) che, nella sua più assoluta finzione, trova le basi nel raccontare delle vicende che suscitano realmente il dubbio e l’incertezza negli studiosi e nell’opinione pubblica globale.
 
Diversi sono gli esempi cinematografici di questo tipo, partendo dal più lontano nel tempo possiamo citare The Blair Witch Project, ma anche REC ed il suo sequel, Cloverfield, Paranormal Activity, Live, ed ancora molti altri.
 
A tutto ciò, “Il Quarto Tipo”, aggiunge la totale assenza di effetti speciali incredibili, lasciando lo spettatore in quella condizione di vedo/non-vedo che risulta molto spesso (se non in casi eccezionali) essere decisamente più fruttuosa e meno rischiosa del classico “effetto sorpresa” degli horror più recenti.
 
Il tutto condito da un’ottima interpretazione, a mio avviso, di Milla Jovovich e di tutto il cast, il quale è riuscito a riprodurre bene l’atmosfera della cittadina e dei filmati amatoriali incrociati, nel vero senso della parola con una suddivisione dello schermo, al racconto dei fatti.
 
Il finale, nel puro stile documentario, potrebbe allo stesso tempo lasciare molto delusi o aprire la riflessione sul fenomeno dell’abduzione, così come viene chiamato nella terminologia ufologica l’incontro ravvicinato del quarto tipo.

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