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Gli animalisti contro la macellazione rituale

Il tre gennaio è stata lanciata in Francia una campagna nazionale contro la macellazione rituale (islamica e ebraica) accusata di non utilizzare lo stordimento preventivo delle bestie. La polemica ha velocemente preso i toni dell'accusa razzista. Il giro d'affari dell'halal in Francia ammonta a 5,5 miliari di euro, mentre quello del kasher arriva a 2,5. 
 


Il tre gennaio è stata lanciata in Francia una campagna nazionalecontro la macellazione rituale (islamica e ebraica) degli animali. Sostenuta da associazioni animaliste tra cui la Fondazione Brigitte Bardot, la campagna lancia un'accusa contro la macellazione rituale che avviene senza che l'animale sia precedentemente stordito. 

«Questo animale sarà sgozzato vivo senza essere stordito. Questa è la macellazione rituale». 

Questo slogan è presente su 2.266 pannelli diffusi su tutto il territorio nazionale francese. Sotto la foto, su sfondo rosso, un'altra frase:

«Dal punto di vista della protezione degli animali e per il rispetto dell'animale in tanto che essere sensibile, la pratica per la quale si uccide un animale senza stordirlo precedentemente è inaccettabile, qualunque siano le circostanze. Federazione dei veterinari d'Europa».
 
Già nel novembre scorso una pubblicità in cui si descriveva la crudeltà di questo tipo di macellazione era stata diffusa, per poi essere bloccata dall'Autorità di Regolazione Professionale della pubblicità (ARPP), cosa che era stata letta dai militanti di destra come «islamizzazione della società». La nuova campagna ha sostituito i termini “halal” e “kasher” con “macellazione rituale”. I detrattori della campagna aggiungono anche che nel sito della stessa quando vengono illustrate le due tecniche di macellazione non si mostra obiettività: se per quella classica ci sono dei disegni stilizzati, per quella rituale si passa alle immagini. Brigitte Bardot stessa è considerata vicina al Front National per molte delle posizioni prese, anche se l'attrice ha sempre negato. Il suo impegno per la causa animalista risale agli anni anni Sessanta. 
Le associazioni dietro la campagna appena partita chiedono che venga messo in pratica un “etichettamento” specifico della carne che precisi le condizioni con le quali un animale è messo a morte perché, sostengono, animali uccisi in questa maniera si ritrovano poi nella filiera classica di distribuzione senza che il consumatore ne sia al corrente. 
 

 
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Fateh Kimouche, fondatore del sito mussulmano al-kanz.org, rigetta i toni parziali della campagna ma si dice favorevole a un metodo di etichettatura della carne: «C'è molto falso halal. Con un'etichettatura le industrie sarebbero obbligate alla trasparenza». L'uomo però non manca di far notare che la campagna rischia di essere recuperata dall'estrema destra: «Bardot ci racconta che l'halal ha travolto la Francia con cifre fantasiose. In questo modo fa del male agli animali: piuttosto che parlare della loro sofferenza si lancia contro il kascher e l'halal. (…) L'estrema destra riprenderà questo dibattito anche se non ha mai mostrato interesse per la macellazione tradizionale del maiale, che è ugualmente scioccante».

«Questa campagna è una calamità»

La sociologa Florence Bergeaud-Blackler, parte del progetto culturevisuelle.org, sostiene che, benché la nuova campagna si basi su delle «verità difficili ma necessarie, è una calamità». Una legge degli anni Sessanta rende obbligatorio, in Francia, lo stordimento dell'animale: le comunità ebraiche, nel 1964, riuscirono ad ottenere una deroga per la macellazione kascher che fu allargata, negli anni Ottanta, alle comunità islamiche. Il problema, dice la sociologa, è che oggi si utilizza il metodo senza stordimento in maniera diffusa – e su scala industriale – perché è più “conveniente” economicamente: niente tempi morti e più produttività. «Non si tratta di un problema tra religiosi e politici, ma di un rapporto di forza tra politica e economia, ormai sempre più favorevole a quest'ultima». Per Bergeaud-Blackler questo è un messaggio pericoloso: gli animali sono difesi male perché «soffrono di una macellazione industriale – qui detta rituale – che rappresenta una regressione» e di, fatto, mettono nella polemica toni «razzisti» e «antisemiti» che allontanano dal vero problema. La questione andrebbe risolta in Europa, dove esiste una direttiva al riguardo (CE n°1099/2009 del 24 settembre 2009) che non è applicata. 

Le cifre dell'halal e del kasher

Il mercato dell'halal in Francia ha registrato, nel 2010, un aumento del 23% rispetto al 2009: questo secondo uno studio del gabinetto Insights SymphonyIRI Group. L'insieme dei prodotti halal è stimato a 5,5 miliardi di euro. Lo studio mostra anche, ovviamente, che questo mercato è legato alla diffusione della popolazione mussulmana: la regione parigina rappresenta il 32% del consumo di questi prodotti, in una zona dove si stima ci sia un 36% di popolazione “straniera” (le virgolette sono mie, ndr). Per quanto riguarda le stime per il cibo kasher (secondo la preparazione rituale ebraica) si stima che arrivino a 2,5 miliardi all'anno. Va detto che secondo le stime (le statistiche etniche in Francia sono vietate) la popolazione mussulmana si aggira sui cinque milioni di individui, mentre quella ebraica sulle 700mila unità. 

Ricordiamo la polemica nata in Italia nello scorso febbraio quando la coop decise di aprire in alcune città dei reparti halal: le associazioni animaliste come l'Enpa (Ente nazionale protezione animali) entrarono in piede di guerra contro questo metodo «atroce per gli animali». Per sedare la polemica l'azienda diffuse i termini dell'accordo con i suoi fornitori: «Le bestie vengono stordite prima dell'uccisione». 

Francesca Barca
Europa451
Questo articolo è stato pubblicato qui

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