Giuseppe D’Avanzo: un tratto sigaro, baffo e cappello
Un disegno fugace: sigaro, baffi e cappello. Il bianco e nero sfumato di un carboncino o forse di una matita; di una penna no, questa volta no.
Giuseppe D'Avanzo è un tratto su fondo bianco, voltato, sfuggente. I contorni del suo viso sono indefiniti e sul foglio la matita non riesce a imprimere che un panama, i baffi e il sigaro, nascosti nel fumo di quel vizio.
Un uomo serio lo misuri dal numero delle sue foto su Google: poche, pochissime. Peppe appariva e scompariva con la velocità di chi coglie l'attimo e lo inquadra per sempre.
Lo potevi incontrare a Perugia, tra i giovani del Festival di Giornalismo o in rete a spulciare blog; sempre alla ricerca di un pezzo, di una tessera che desse senso al mosaico. Perché quando hai un dono nelle mani il segreto lo cogli tra le righe.
Peppe era questo. Sapeva cogliere quel punto di discordanza che esiste nelle narrazioni giornalistiche. Quel punto che ti dice che la storia non quadra, che quello che ti raccontano non può essere andato in quel modo. Giuseppe D'Avanzo sapeva approfondirlo, scavarne i meandri e trovare il non detto, il non raccontato.
Peppe D'Avanzo è morto perché voleva andare sempre un po' più in là. Andare in bici non poteva essere una semplice passeggiata ma una risalita fino a Calcata. Questa volta il cuore di salutista non ha retto.
Peppe lo potevi incontrare ad una manifestazione di studenti o in un albergo del lungomare di Napoli. Non amava parlare in pubblico. Il suo lavoro erano i suoi scritti, non le vacue chiacchere televisive.
Era molto più bravo e lo sapeva. Solo la sua passione conteneva quella sua personalità narcisistica, così grande che gli consentì di toccare l'estremo opposto e chiedere scusa quando si sbagliò sul caso Rostagno.
Era prodigo di insegnamenti, sempre. Non lascia solo i suoi scritti ma anche ciò che ha insegnato ai giovani che hanno avuto la fortuna di lavorare con lui. Lo raccontava Marco Imarisio, ieri, sul Corriere.
A ricordarlo non è solo il mondo del giornalismo ma anche la rete. Su Facebook sono stati in diecimila a condividere l'articolo della sua Repubblica che ne annunciava la morte.
Perché Peppe ha ottenuto il rispetto senza mai pretenderlo. Se gli davi del Lei ti rispondeva: "Beh, possiamo darci anche del tu, se vuoi, lasciando da parte dott. Gentile e quella roba lì"...
Ieri il giornalismo ha perso una grande firma, l'Italia un grande uomo.
PS. Spero che lassù suonino un pezzo di Springsteen.
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