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Giulio Visco e Romano Berlusconi

Giulio Visco e Romano Berlusconi

In questi giorni il tema che appassiona maggiormente analisti ed editorialisti politici (ognuno si diverte come può) è l’immagine di un Berlusconi preoccupato e irritato nei confronti del suo ministro dell’Economia per qualità e quantità della manovra correttiva che Tremonti si accinge a svelare al mondo. Gli editoriali raccontano di un premier che accuserebbe Tremonti di voler fare una manovra “leghista”, accantonando risorse per il federalismo fiscale.

Ma soprattutto Berlusconi, che ha passato gli ultimi anni a promettere che con lui (ma quando, esattamente?) l’Italia cesserà di essere uno “stato di polizia tributaria”, deve gestire l’ormai palese inclinazione tremontiana a fregarsene altamente del primato del cittadino, sovraordinandogli la pubblica amministrazione, in quello che con uno slogan potrebbe essere ribattezzata l’operazione “asservire il popolo“. Dopo il sostanziale congelamento della riforma della P.A., che rischiava nientemeno che di far sorgere diritti in capo ai sudditi, gli ultimi spifferi sulla manovra parlano di inversione dell’onere della prova nei rapporti tra contribuenti e fisco, con i primi costretti a dimostrare al secondo di aver pagato le tasse, e non viceversa.

Già questo basterebbe per invocare il ritorno di Vincenzo Visco, perché è comunque meglio l’originale dell’imitazione; ma è l’ipotesi di reintrodurre misure di tracciabilità dei pagamenti, secondo l’idea dell’ex ministro delle Finanze, che metterebbe una bella pietra tombale sul sedicente liberalismo fiscale di Berlusconi. Tremonti sta negoziando coi sindacati, voci incontrollabili riportano l’ipotesi di obbligo di tracciabilità per transazioni comprese tra 1500 e 3000 euro, rispetto alla soglia draconiana di 100 euro prevista dall’ultimo governo Prodi.

Se confermata, sarebbe un limite pressoché simbolico e del tutto inefficace per contrastare l’evasione, soprattutto se non affiancato da obblighi quali la gestione telematica dell’elenco di clienti e fornitori. Inefficacia a fini del gettito, ma massimo danno al simbolismo da Tea Partier fuori tempo massimo del premier. Vi ricordate le campagne di Libero e del Giornale, tre anni addietro, a difesa delle vecchiette costrette a pagare il pane con un bancomat di cui non ricordano il codice? Non fraintendeteci, qui si pensa che uno sforzo straordinario contro l’evasione fiscale vada fatto. Solo, è interessante questa nemesi storica e questo percorso di risveglio alla realtà di una coalizione che è partita dal poujadismo e sta arrivando al redditometro due-punto-zero.

Rispunta poi un’altra ipotesi prodiana, la mega-fusione tra enti previdenziali, che sta rapidamente diventando un evergreen della nostra classe politica dal versante delle entrate, un po’ come gli asili-nido lo sono da quello della spesa. Stiamo ovviamente ancora ragionando per ipotesi, ma dai boatos emerge una manovra centrata soprattutto su rinvii di spesa pensionistica (con la rimodulazione delle finestre di uscita per l ‘anzianità), oltre che sul blocco dei rinnovi contrattuali del pubblico impiego, con omaggio di una bella riga tirata sulle voci retributive di incentivazione alla produttività ed una spruzzata di demagogia populistica con il taglio delle retribuzioni dei dirigenti pubblici più “ricchi”.

Al momento manca ogni ipotesi di razionalizzazione dei centri di spesa e procurement della P.A., che sono ancora frantumati e frammentati, e dietro ai quali si nasconde l’idra della spesa pubblica, al netto delle varie cricche. Bisognerebbe chiedersi perché sono lustri che si favoleggia di creare centrali d’acquisto regionali per la Sanità, la cui spesa evidenzia indici di dispersione territoriale del tutto patologici (rectius: delinquenziali), eppure nulla è mai stato fatto al riguardo, neppure dal leggendario “governo dal fare”, quello che non mette le mani nelle tasche dei contribuenti. Qualcuno riesce a capire perché nel Lazio il deficit della Sanità ha toccato lo scorso anno gli 1,7 miliardi di euro? Forse i cittadini vengono sottoposti a PET ad ogni raffreddore? E non rispondete che è colpa di Marrazzo, cercate di sviluppare il vostro pensiero laterale.

Indipendentemente dal dettaglio dei provvedimenti, quello che appare evidente è che anche a questo giro il paese non potrà contare su riforme di struttura, capaci di stimolare la crescita. Nella migliore delle ipotesi avremo un remake delle misure di Prodi e Visco, con abituale diluvio retorico capezzoniano sulla “sinistra che rema contro”. Chissà quando a Palazzo Chigi-Grazioli ci si renderà conto che è cambiato il mondo, nel senso che la crisi ha lasciato come cicatrice profonda una riduzione permanente (in assenza di misure strutturali) del potenziale di crescita. Non è un caso che i mercati stiano prezzando l’ennesimo gradino nel differenziale tra Btp e Bund, ed ogni volta è all’opera questa isteresi che impedisce di tornare allo status quo ante Lehman. Ah, e ovviamente non è vero che ne usciremo meglio di altri, perché semplicemente non ne siamo entrati meglio.

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