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Gheddafi dileggia gli "ex" imperialisti

Che colpo, quello di Gheddafi, sbarcato ieri a Roma con affisso sul petto la foto del patriota martire Omar al-Mukhtar, eroe della Resistenza del popolo libico contro i fascisti invasori, trascinato in catene dagli oppressori in divisa italiana.

 
La “scena”, ovviamente, per evidenti e non censurabili attività di lavoro - c’era il Presidente del Consiglio che riceveva sotto la scaletta dell’aereo - è stata ripresa e trasmessa da tutte le televisioni nazionali. Ha certamente riempito le cronache informative mondiali, specie quella della cosiddetta “quarta sponda”, così come declamata dal fascismo dittatoriale l’area territoriale del nord Africa.
 
Agli occhi di tanti milioni di italiani - di tutte le fasce anagrafiche (dagli anziani che subirono direttamente sulla loro pelle, ai giovani lasciati appositamente ignavi) - imposta dalla forza degli eventi romani, è improvvisamente ritornata, forte e “violenta”, la potenza della memoria storica. Quella vera e tragica, che fece immolare sull’altare della “patria” umana, per la “gloria di Roma”, tantissime vite. Quella tragica ed assassina fase temporale scientificamente cancellata in Italia nel corso della scorrere dei tanti decenni successivi alla disfatta del fascismo. Tant’è che il film “ il leone del deserto”, dedicato ad Omar al-Mutkhtar, del 1981, accusato di vilipendio dai nostri rappresentanti governativi dell’epoca, non è stato mai trasmesso in Italia.
 
In più, contro gli efferati gestori dei massacri di massa condotti in Libia, non sono mai stati pubblicamente processati e condannati i gestori dei crimini contro l’umanità.
 
In Italia, per “amore della pace riconquistata e della nazione da ricostruire”, non è mai stato fatto civile e democratico conto dei misfatti consumati dai nostri baldi conquistatori nelle terre portate all’ “Impero” a suon di sangue: Libia, Somalia, Eritrea, Iugoslavia ( ex), Albania, Grecia, Russia ( ex Unione Sovietica)… e contro i tanti cittadini, perseguitati, incarcerati, torturati ed uccisi nelle varie latitudini patrie e lontane, in quanto considerati “diversi” e contrastanti le “glorie del fascio littorio”.
 
La storia, quella vera, dei popoli, ritorna sempre….altro che “corna, cucù, lazzi e frizzi da cabaret”.

La storia non si cancella. Mai. In questo caso riappare, “nuda e cruda”, come le lame affilate di un boomerang, contro chi l’ha gestita e condotta con bestiale violenza.
 
L’invasione della Libia da parte delle truppe italiana iniziò nel 1911, occupata da 100.000 militi (in quegli anni faceva parte dell’impero turco). Le vicende di conquista andarono avanti per diversi anni. Poi, sul finire del 1914, partì la rivolta araba. All’inizio di maggio del 1915 gli italiani avevano già ritirato tutti i loro presidi.
La “riconquista”, in particolare, avvita nel 1922, fu organicamente condotta e gestita dalla dittatura fascista.
 
Nel gennaio del 1930 il generale Rodolfo Graziani viene nominato governatore della Cirenaica (la zona più fiorente e ricca - per coltivazioni e allevamenti di bestiame -della Libia), affiancando il governatore Pietro Badoglio.
 
Il comando impartito dal “duce” è di attuare la fase finale della riconquista imperiale, quindi l’abbattimento della resistenza.
 
Partì, spietata, la repressione.
Dal giugno del 1930 furono realizzati parecchi campi di concentramento vicini alla costa. L’obiettivo era di deportare le popolazioni dell’area del Gebel che sostenevano attivamente o indirettamente la resistenza contro gli occupanti.
Nei sei campi principali e nei dieci sottocampi furono deportate circa 120.000 libici ( è bene ricordare che la Libia ha un’estensione di quasi 6 volte l’Italia; in quel periodo gli abitanti erano poche centinaia di migliaia: nel 1928 i residenti in Cirenaica sarebbero stati circa 225.000; nel censimento del 1931, stante le cifre formalizzate, gli abitanti risultavano 142.000, compreso gli italiani.
 
Furono deportate, dopo lunghi spostamenti di massa, tra le 100 e le 120.000 persone, costrette a vivere (assieme ai loro greggi) in condizioni di assoluta sofferenza, in spazi molto ridotti.
 
Per eliminare le fonti di aiuti che provenivano ai ribelli dall’Egitto a partire dalla primavera del 1931 le truppe italiane innalzarono un confine recintato, alto quattro metri; una vera e propria barriera lunga 275 Km, da Bardia a Giarabub, lungo il tracciato furono innalzati parecchi fortini.
 
Partì la guerra del terrore. Rappresaglie, villaggi saccheggiati, imprigionamenti senza distinzioni di sorta.
 
In particolare furono utilizzate le forze aeree che, ovviamente, senza contrasto alcuno, condussero una grande “campagna” di bombardamenti, specie contro tutto ciò che si muoveva nel grande territorio (essenzialmente carovane - il mezzo motorio era il cammello- costituite da uomini, donne, bambine e greggi). Che gioia, che festa per gli intrepidi avieri mandati a compiere le proprie missioni di elargizione della morte.
 
Risulta, inequivocabile, da molte fonti, italiane e non, che furono utilizzati i gas, le bombe ad iprite, con il quale furono abbondantemente “innaffiati” i poveri sventurati che si opponevano, o tentavano di sfuggire ai bombardamenti aerei. Un piano d’uso dei gas venefici scientificamente programmato.
 
La resistenza libica venne sconfitta alla fine del 1931. Nel mese di settembre venne catturato Omar al-Mukhater, guida “spirituale” e comandante della ribellione all’invasione. Condannato a morte venne impiccato nel campo di concentramento di Soluch, all’età di 72 anni, di fronte a 20.000 libici fatti appositamente uscire dai lager per vedere lo “spettacolo”. La resistenza libica si concluse nel gennaio del 1932.
 
La guerra, le repressioni, le deportazioni e la prigionia determinarono circa 100.000 vittime.

Per completare l’occupazione ed assoggettare i libici che non avevano nessun potenziale militare di rilievo era stato utilizzata la “mazza di ferro”, senza vergogna e disonore alcuno.
 
Era stata riportata, dopo quasi due millenni, la civiltà di Roma, questa volta comandata dal fascismo.
 
Così scrisse Badoglio a Graziani in una lettera del 20 giugno 1930: “ Bisogna anzitutto creare un distacco territoriale largo e ben preciso tra le formazioni ribelli e la popolazione sottomessa: Non mi nascondo la portata e la gravità di questo provvedimento che vorrà dire la rovina della popolazione cosiddetta sottomessa. Ma ormai la via ci è stata tracciata e noi dobbiamo perseguirla fino alla fine, anche se dovesse perire tutta la popolazione della Cirenaica”.

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