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Genova. Lavoratori e FIOM piegano ArcelorMittal. Dire no è possibile

Il successo della FIOM a Genova ha mostrato che se i lavoratori mettono in campo la propria forza e si guadagnano la simpatia di chi sta loro attorno, possono ottenere dei risultati anche se la politica e il grosso del sindacato si girano dall’altra parte. Mi pare un esempio su cui riflettere.

Martedì a Genova ArcelorMittal ha annunciato una serrata, mettendo “in libertà” circa 250 dei suoi dipendenti, che si sono visti disattivare il badge di entrata nello stabilimento di Cornigliano e consegnare una lettera con cui il gruppo francoindiano li lasciava a casa senza stipendio. Con questo atto senza precedenti (a Genova per trovare episodi analoghi bisogna risalire forse fino agli anni ’50) il colosso dell’acciaio mondiale rispondeva a un’iniziativa di sciopero di due ore per turno e blocco dell’entrata e uscita delle merci proclamati dalla FIOM per protestare contro il licenziamento di tre lavoratori. Due erano stati accusati dall’azienda di aver “adibito impropriamente a refettorio” un locale aziendale e uno di aver dato del coglione al direttore in una chat privata su whatsapp. La pretestuosità dell’iniziativa è resa evidente dall’accusa grottesca depositata in Procura dall’azienda contro i primi due, che evoca addirittura il terrorismo, utilizzando il rinvenimento di alcuni proiettili da caccia e bottiglie di gasolio nel locale incriminato, ipotesi immediatamente smentita dalla stessa Digos genovese.

Mercoledì la FIOM ha proclamato 4 ore di sciopero e organizzato un corteo dall’acciaieria fino alla Prefettura, per chiedere l’intervento del Governo. Le maggiori fabbriche genovesi, Ansaldo Energia, Leonardo (ex Finmeccanica), Fincantieri, per citarne solo alcune, hanno scioperato per solidarietà e inviato delegazioni al corteo, un migliaio di partecipanti, che ha ricevuto il sostegno delle altre categorie di lavoratori della CGIL, dai trasporti al commercio, degli storici camalli del Porto di Genova, dell’ANPI e persino dei lavoratori portuali e aeroportuali, dei vigili del fuoco, della sanità e dei lavoratori delle aziende comunali dell’USB, un sindacato di base che pure in città non è presente nel settore metalmeccanico. Insomma i lavoratori genovesi e un’intera città si sono stretti a difesa di 253 lavoratori colpiti con cinico tempismo proprio il giorno prima che la Liguria diventasse zona arancione. Un abbraccio che ha fatto risaltare ancor più da una parte la defezione degli altri sindacati aziendali FIM CISL e UILM, che nella più genuina tradizione crumiresca, hanno scritto all’azienda che i loro iscritti non avevano preso parte ai blocchi del giorno prima e hanno disertato la piazza, e dall’altra il silenzio del Governo, del governatore della Liguria Toti, del sindaco di Genova, delle forze politiche di governo e opposizione (un consigliere regionale di una lista civica di sinistra, ex dirigente della CGIL, unica eccezione, ha preso parte al corteo). Forti coi deboli, deboli coi forti.

Lasciati soli dai vertici politici e sindacali (CGIL a parte), ma con la solidarietà della maggioranza dei lavoratori genovesi e della città, quel corteo ha ottenuto che la prefetta convocasse l’azienda e alla fine ha strappato un accordo che prevede il ritiro di uno dei licenziamenti (quello per cui non sono in corso procedimenti penali) e delle 250 lettere di messa in libertà, mentre per gli altri due licenziati la battaglia proseguirà in tribunale su basi rese più solide dal risultato positivo della piazza. E, detto per inciso, ha ricordato, in un momento in cui sembra che le piazze possano popolarsi (sia chiaro, più che legittimamente) solo di baristi e di commercianti, che a rischio ci sono anche i lavoratori, essenziali quando garantiscono i servizi essenziali, ma anche perché fanno la spesa e vanno a prendere il caffé.

A me pare che specialmente in un momento così particolare questo episodio assuma un significato da non sottovalutare. La vittoria dei lavoratori genovesi e della FIOM, perché di questo mi pare evidente che si tratti, dimostra innanzitutto che in Italia oggi non esiste solo un problema sanitario, ma una questione sociale, così sintetizzabile: c’è chi pensa di poter approfittare della pandemia e di una classe politica da comiche (esemplifiata dalla surreale gestione bipartisan della sanità calabrese) per farsi i propri porci comodi. E mostra, inoltre, che di fronte a questa sfida non ci sono santi in paradiso a cui affidarsi, ma soltanto il coraggio di mettere in campo la propria forza, di conquistarsi la simpatia e la solidarietà di chi sta attorno, di assumersi un rischio ragionato, ma pur sempre un rischio sapendo che chi lotta può perdere ma chi non lotta ha già perso. Se i lavoratori dell’ILVA si fossero affidati ai giudici, al governo, all’opposizione, alla provvidenza divina, come suggerivano i loro sindacalisti “responsabili”, quelli che chiamati al tavolo dal Prefetto dopo che si era raggiunta un’intesa si sono rifiutati persino di firmarla, non avrebbero ottenuto quello che hanno ottenuto con la loro azione e oggi starebbero peggio di due giorni fa. Invece hanno reagito in modo corale, sfidando persino le condizioni avverse poste dalla pandemia, e hanno vinto. Davide ha piegato Golia. La domanda è: ma se il sindacato e la sinistra oggi, di fronte alla minaccia sanitaria e sociale che incombe sul mondo del lavoro, facessero come la FIOM e i lavoratori di ArcelorMittal hanno fatto a Genova, non staremmo tutti un po’ meglio?

Articolo tratto dalla newsletter di PuntoCritico.info del 13 novembre. 

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