• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

Home page > Attualità > Gaza alla fame: Israele non autorizza l’ingresso di aiuti sufficienti

Gaza alla fame: Israele non autorizza l’ingresso di aiuti sufficienti

Il 26 gennaio la Corte internazionale di giustizia aveva ordinato a Israele di prendere “misure immediate ed efficaci” per proteggere la popolazione palestinese della Striscia di Gaza occupata dal rischio di genocidio. La Corte aveva dato a Israele un mese di tempo per riferire sulla loro attuazione

Il mese è passato e Amnesty International, sulla base delle testimonianze degli operatori e delle agenzie umanitarie, ha tratto una conclusione che è un’accusa: Israele non ha fatto neanche il minimo passo per ottemperare all’ordine attraverso la fornitura di sufficiente assistenza umanitaria e il funzionamento dei servizi di base.

Le forniture che entravano a Gaza prima dell’ordine della Corte erano già una goccia nell’oceano rispetto alle necessità dei 16 anni precedenti. Eppure, nelle tre settimane successive, il numero dei camion entrati a Gaza è diminuito di un terzo, da una media di 146 al giorno a una media di 105 al giorno. Prima dei crimi di guerra commessi da Hamas il 7 ottobre, ogni giorno entravano a Gaza in media 500 camion al giorno, portando aiuti e beni commerciali come cibo, acqua, foraggio per animali, forniture mediche e carburante. Persino quella quantità era insufficiente.

Nelle tre settimane successive all’ordine della Corte, sono entrate a Gaza quantità ancora minori di carburante, su cui Israele esercita uno stretto controllo.

Nel frattempo, in tutta la Striscia di Gaza il disastro umanitario si fa ogni giorno più orribile. Il 19 febbraio le agenzie umanitarie hanno segnalato che la malnutrizione acuta si stava diffondendo e minacciava le vite dei bambini: nel nord della Striscia di Gaza il 15,6 per cento dei bambini sotto ai due anni di età è gravemente malnutrito, a Rafah e nel sud la percentuale è del 5 per cento. La velocità e la gravità del declino del livello nutrizionale della popolazione nel giro di soli tre mesi sono state definite “senza precedenti a livello globale”.

La situazione è particolarmente drammatica nel nord della Striscia di Gaza, che Israele ha isolato dal reato del territorio. Tra il 1° gennaio e il 12 febbraio, l’Agenzia delle Nazioni Unite per gli Affari umanitari (Ocha) ha riferito che Israele ha respinto oltre la metà delle richieste di accesso umanitario nella zona settentrionale. Il 6 febbraio la stessa Ocha ha reso noto che Israele non ha accolto alcuna delle 22 richieste fatte dalle Nazioni Unite di aprire tempestivamente gli accessi nel nord della Striscia di Gaza.

Le autorità israeliane attribuiscono ripetutamente alle organizzazioni umanitarie ogni problema relativo alla fornitura degli aiuti, sostenendo che esse sono incapaci di spedire e distribuire maggiori quantità o che gli aiuti finiscono per essere saccheggiati. Ma gli operatori umanitari parlano di una lunga serie di modi con cui le autorità israeliane impediscono loro di lavorare. Fanno l’elenco di cose semplici che Israele non ha fatto per facilitare l’arrivo degli aiuti: consentire forniture essenziali sufficienti, aprire prima i punti d’ingresso e rispettare le minime condizioni di sicurezza per i convogli e gli operatori umanitari e i loro uffici, che invece vengono attaccati.

Oltre ai prodotti, Gaza ha disperatamente bisogno di carburante per consentire la deputazione dell’acqua, la cottura del cibo e il funzionamento delle apparecchiature mediche, come le incubatrici.

Dall’11 ottobre 2023, Gaza ha subito black-out conseguenti al taglio delle forniture di elettricità da parte di Israele, che inoltre ha bloccato l’importazione di carburante dall’inizio di ottobre al 18 novembre. Da allora, un po’ di carburante è entrato ma si tratta sempre di quantità terribilmente insufficienti.

Israele, inoltre, continua a respingere regolarmente le richieste umanitarie di far entrare altre fonti di energia come i pannelli solari, i generatori e le batterie.

La minaccia di un massiccio attacco da terra a Rafah, dove si trovano attualmente un milione e 200.000 palestinesi, avrebbe ulteriori devastanti conseguenze per la situazione umanitaria.

 

 

Questo articolo è stato pubblicato qui

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità