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G20 - Modi dal trionfo del Bharat all’incognita elettorale

Impegnato a fondo come padrone di casa per la riuscita d’un G20 diventato G18 per l’assenza di due pesi massimi della geopolitica: Putin, su cui pende un mandato di cattura della Corte Penale dell’Aja, e Xi Jinping, confinante riottoso verso la grande India, il padrone di casa Narendra Modi può ritenersi soddisfatto.

La passerella globale organizzata a Delhi s’è svolta senza intoppi. Il Paese che vuol giganteggiare ha lucidato tutto il possibile, ha celato l’impossibile, ha brillato nell’accoglienza, meno per il valore del summit che appariva claudicante alla notizia dall’assenza dei due leader del fronte opposto all’Occidente. A conclusione del vertice sono proprio gli assenti a valutare con un mezzo sorriso il documento finale, che non condanna la Russia per l’aggressione all’Ucraina, cosa che fa imbestialire il ministro degli Esteri di Kiev, per il quale, differentemente da un anno fa, non è stato previsto neppure uno strapuntino. Kuleba, e il suo capo Zelensky, saranno accontentati incamerando ulteriori armamenti: a breve gli Stati Uniti gli recapiteranno nuovi missili con una gittata di 300 km per rilanciare la spinta offensiva nella possibile riconquista del Donbass. Mah… Modi, che ha sorriso e stretto le mani di tutti i presenti, grandi e presunti tali, era di fatto concentrato su un altro fronte, tutto interno, nazionale e nazionalista: dare l’abbrivio alle elezioni che fra meno di un anno attendono il suo Paese e lui stesso che ambisce al terzo mandato da premier. Il richiamo agli elettori l’ha esplicitato dando fondo all’ennesimo segnale identitario. Ha ufficializzato anche ai membri ospitati e alla stampa internazionale il ‘nuovo’ antico nome della casa-madre: non chiamateci più India, denominazione coloniale, ma Bharat in lingua hindi o Bharata, secondo la dicitura in sanscrito. Un particolare non tanto etimologico, bensì di sostanza politica, quella che il partito di maggioranza (Bharatiya Janata Party) rivolge al miliardo di hindu con l’orgoglio di chi da tempo si batte per un’identificazione incentrata sulla fede. Eppure c’è chi sta facendo le pulci ai santoni del Bjp, e dice: la carta hindu perde colpi o meglio comincia a non funzionare più l’equazione Bjp-partito degli hindu.

Nonostante tutti gli sforzi compiuti da ministri del governo centrale, presidenti di quelli locali ed esponenti del partito arancione che hanno lanciato campagne identitarie, anche violente, contro le religioni minoritarie, per un’India, pardon per Bharat, nazione esclusiva di hindi e hindu. Quando nel 2014 Modi assumeva il primo incarico da premier, accaparrando 336 seggi nella Lok Sabha, la linea identitaria hindu che lui e il suo partito propugnavano riguardava la conquista di benefici economici per il Paese e per i singoli cittadini. Un riscatto collettivo, per una salita nella scala delle potenze mondiali. La propaganda e la retorica colpivano quelle certezze dell’occidentalismo che nella memoria interna facevano rima con colonialismo. Accadeva un decennio fa, non all’epoca di Gandhi, e l’India ovviamente seguiva da tempo la via capitalistica dei mercati. Ma l’onda di voler distinguersi da chi, come il Partito del Congresso, aveva governato a lungo con logiche spesso subordinate a potenze straniere, faceva affacciare la nazione-continente all’alleanza dei Brics, cui tiene tuttora. Modi era apprezzato per origini umili, spirito di sacrificio, altruismo, attenzione alla gente, valori che non ha disperso totalmente; però ha inquinato la scena pubblica intossicandola o accettando che la linea del partito, di per sé conservatrice, s’intossicasse con l’hindutva, che nel Bharat cova l’origine dell’odio. Eccolo, senza maschera, il passaggio razzista, fascista, violento che nel suo secondo quinquennio di governo ha rilanciato lo scontro confessional-fondamentalista con frange islamiste. Un dejà-vu già sviluppatosi in altre epoche quando il Bjp non esisteva o era ancora minoritario. Ma gli attivisti arancioni hanno imitato la foga paramilitare delle squadracce del Rashtriya Swayamsevak Sangh, e protetti dalle forze dell’ordine hanno esaltato la propria identità bruciando le chiese dove i cattolici pregano e le case dove abitano. Perciò, sostengono alcuni politologi indiani, fra fasce di fedeli hindu che vogliono vivere e lavorare in pace c’è un ripensamento. Costoro continueranno a credere nell’identità hindu, ma potranno fare a meno di Modi, se serve del Bjp.

Enrico Campofreda

 

 

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