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Fuori e dentro la Siria: la comunità internazionale di fronte ai rifugiati

La Siria è tuttʼaltro che un Paese di cui si parla poco: ogni giorno veniamo bombardati da notizie che però si riducono a una desolante e, alla lunga, meschina conta dei morti: uno scenario che non permette di vedere una via dʼuscita, e che sembra quasi incoraggiare a considerare gli avvenimenti in corso inevitabili, e la guerra civile un male a cui non si può porre rimedio. Invece il mondo può fare molto per la Siria, e anche lʼEuropa può fare la sua parte. Per esempio, può iniziare ad accogliere i rifugiati che arrivano sul suo territorio. 

Una cosa che possiamo fare tutti subito: firmare l’appello che chiede la protezione dei civili in Siria

Venerdì 15 marzo chiunque nel mondo potrà dimostrare solidarietà al popolo siriano scattandosi una foto con in mano un pezzo di stoffa o di carta bianca con su scritto STOP “Un’onda bianca per dire STOP alla violenza in Siria!”

La Siria è tuttʼaltro che un Paese di cui si parla poco. Non è come il Bahrain, che soffoca sotto la sua coltre di gas lacrimogeni mentre la stampa tace e mentre i grandi della Terra invitano il suo re e dittatore, Al Khalifa, ai loro party; non è nemmeno lo Yemen, di cui nulla si dice e dove nulla potrebbe restare dei luoghi ove Pier Paolo Pasolini ha girato la sua Trilogia della vita

Della Siria, al contrario, si parla moltissimo: ogni giorno veniamo bombardati da notizie che però si riducono a una desolante e, alla lunga, meschina conta dei morti: uno scenario che non permette di vedere una via dʼuscita, e che sembra quasi incoraggiare a considerare gli avvenimenti in corso inevitabili, e la guerra civile un male a cui non si può porre rimedio. Invece il mondo può fare molto per la Siria, e anche lʼEuropa può fare la sua parte. Per esempio, può iniziare ad accogliere i rifugiati che arrivano sul suo territorio. 

La situazione dei rifugiati siriani è davvero paradossale. Molti di loro non sono cittadini siriani. Sono anche iracheni, palestinesi e altri che avevano trovato sicurezza in Siria, e ora sono due volte sfollati. Ha scritto Noor Al-Bazzaz, membro del team di ricerca sulla Siria di Amnesty International: «Il viaggio che i rifugiati raccontano è lungo e pericoloso, spesso costellato da cecchini e punti di controllo. Madri hanno raccontato di aver dato sonniferi ai loro figli in modo che non facessero rumore durante il viaggio e non attirassero così l’attenzione delle forze di sicurezza. Una donna mi ha detto: “Siamo partiti in 300 quella notte. Se il mio bambino avesse pianto, avrebbe potuto causare 300 morti”. Mostrandomi il bambino, rideva: Riuscite a immaginare questo piccolo responsabile di 300 vite?”»

La decisione di lasciare la Siria è stata accuratamente calcolata da queste persone, soppesando i rischi del viaggio con la probabilità di salvarsi. Per i rifugiati palestinesi che hanno riparato in Giordania, tuttavia, il rischio del viaggio non sempre è stato compensato dalla prospettiva di trovare sicurezza e stabilità: vi sono state infatti notizie di restrizioni applicate alle frontiere giordane e allʼinterno dei campi di transito. 

Il viaggio è pieno di pericoli. Per arrivare in Giordania, i rifugiati devono passare attraverso zone piene di truppe militari siriane. In genere, lʼesercito Siria libera – lʼesercito dei ribelli – li accompagna mentre si insinuano tra gli avamposti militari e li aiuta a raggiungere il lato siriano del confine. Se vengono scoperti, e succede, gli sparano con armi da fuoco pesanti. I rifugiati riferiscono che le sparatorie sono indiscriminate: i singoli e le famiglie con bambini, tutti sono presi di mira. Che la gente continui ad affrontare questi rischi è la testimonianza di ciò che hanno sofferto. Ma le sofferenze di questo popolo non cessano una volta varcato il confine, e non solo a causa dellʼesercito regolare siriano che continua a prendere di mira i campi dei rifugiati.

Ad oggi, è certo che più di 620.000 rifugiati sono fuggiti nei Paesi limitrofi o nel Nord Africa. Almeno due milioni di persone in Siria sono state sfollate dalle loro case. Molti di coloro che sono riusciti a varcare le frontiere stanno soffrendo difficoltà estreme a causa di un inverno durissimo, come è apparso evidente nelle inondazioni di campi profughi in Giordania. A quasi due anni dallʼinizio del conflitto, una travolgente crisi umanitaria si sta abbattendo sulla regione. I rifugiati – molti dei quali donne e bambini traumatizzati dalle esperienze vissute – lottano ogni giorno per accedere ai servizi di base, tra cui lʼalloggio, la sanità, lʼacqua, i servizi igienico-sanitari e lʼistruzione primaria. Per tutta risposta, il Syria Regional Response Plan delle Nazioni Unite è alla ricerca di 1 miliardo di dollari USA per aiutare un milione di profughi siriani nella prima metà del 2013. 

I Paesi vicini alla Siria – Iraq, Giordania, Libano e Turchia – continuano a ricevere e a ospitare un gran numero di persone: le loro risorse sono messe a dura prova e non è chiaro quanti altri rifugiati possano assorbire. Questi Paesi hanno già espresso fondate preoccupazioni per la pressione esercitata sulle loro risorse e per il potenziale di inquietudine e instabilità creato dallʼafflusso dei rifugiati. Ma la crisi umanitaria non riguarda solo i Paesi limitrofi. Da aprile 2011 a ottobre 2012, circa 23.500 siriani hanno fatto domanda di asilo nellʼUE – 15.000 in Germania e Svezia. Molti Paesi hanno concesso un qualche tipo di protezione ai rifugiati siriani, ma il trattamento e il livello di protezione varia notevolmente da un Paese allʼaltro. 

Molti siriani hanno raggiunto lʼEuropa attraverso la Grecia. Coloro che hanno cercato asilo in questo Paese hanno affrontato grossi ostacoli nellʼaccoglimento delle loro richieste. Di 214 domande dʼasilo presentate da cittadini siriani tra il gennaio e lʼottobre del 2012, solo una è stata accolta, mentre altri cinque richiedenti asilo hanno ricevuto protezione sussidiaria. Alcuni siriani che hanno cercato di entrare in Grecia hanno riferito di essere stati respinti in Turchia. A Cipro le autorità hanno rifiutato di considerare i ricorsi presentati da siriani che volevano veder riesaminate le loro richieste. 

In alcuni Paesi ai confini orientali dellʼUE, i rifiuti raggiungono il 50 per cento e i richiedenti asilo siriani, una volta respinti, sono abbandonati a se stessi. Per il colmo della vergogna, diversi Paesi dellʼUE hanno detenuto e continuano a detenere cittadini siriani! Sì, avete capito bene: li tengono in galera, non sapendo che fare di loro. 

I cittadini siriani fuggiti allʼestero non devono essere forzati a ritornare in Siria ma protetti dalle molestie dei servizi segreti e del personale delle ambasciate. Dovrebbe inoltre essere assicurato loro un adeguato standard di alloggio e l’accesso alle cure mediche: ad esempio, i rifugiati siriani in Giordania hanno raccontato ad Amnesty International di ricevere poca assistenza da parte delle strutture pubbliche e del servizio sanitario nazionale, pur avendo spesso lesioni gravi dovute a pallottole, schegge o tortura. È necessario che gli Stati compiano uno sforzo anche finanziario in tal senso.

LʼUnione Europea dovrebbe adottare un approccio comune per coloro che fuggono dalla Siria. A tutti i siriani dovrebbe essere consentito lʼingresso, poiché hanno bisogno di protezione internazionale, e dato pieno e immediato accesso a procedure di asilo eque ed efficaci. Secondo lʼUNHCR, i civili siriani e gli altri che vivono in Siria – tra cui i palestinesi – soddisfano con ogni probabilità la definizione di rifugiato contenuta nella Convenzione sui rifugiati del 1951; quindi la maggior parte di coloro che fuggono dalla Siria devono essere riconosciuti come rifugiati ai sensi della Convenzione ed essere dotati di diritti corrispondenti, tra cui il diritto al ricongiungimento familiare. 

I rimpatri devono essere sospesi fino a quando la sicurezza e la situazione dei diritti umani nel Paese siano migliorati abbastanza da permettere un ritorno sicuro, dignitoso e sostenibile. Ai siriani a cui è stata respinta la richiesta di asilo politico presentata in uno Stato dellʼUnione Europea deve essere consentito di rinnovarla. La detenzione di cittadini siriani fuggiti dal loro Paese non deve essere utilizzata se non come ultima risorsa e in casi del tutto eccezionali. Sarebbe inoltre lecito aspettarsi che lʼUnione Europea dia un generoso contributo al Syria Regional Response Plan delle Nazioni Unite. 

Di che altro cʼè bisogno? Di un generoso numero di posti di reinsediamento di emergenza per i rifugiati più vulnerabili. La priorità dovrebbe essere data a coloro che hanno bisogno di cure mediche – le donne a rischio, i minori non accompagnati, rifugiati anziani o portatori di handicap, coloro che hanno subito torture e altri maltrattamenti. Cʼè bisogno inoltre di programmi di reinsediamento per accogliere i rifugiati iracheni e di altri Paesi terzi – Afghanistan, Somalia, Sudan… – che vivevano in Siria quando è iniziato il conflitto e che sono rimasti di nuovo intrappolati nella violenza. Cʼè bisogno di prepararsi a una prolungata emergenza umanitaria per fornire aiuto e sostegno ai Paesi vicini che ricevono improvvisi e massicci arrivi di rifugiati. 

La comunità internazionale ha già molte responsabilità verso la Siria: la mancanza di consenso allʼinterno del Consiglio di Sicurezza dellʼOnu ha impedito per due anni di prendere una decisione fondamentale che Amnesty va chiedendo fin dal 26 aprile 2011: il deferimento della situazione siriana alla Corte Penale Internazionale. Lʼindecisione dei grandi della Terra ha portato al drammatico annuncio, il 12 febbraio, che il numero di morti in Siria ha superato i 70.000. LʼAlto Commissario dellʼOnu per i Diritti Umani, Navi Pillay, ha dichiarato: “Saremo giudicati per la tragedia che si è manifestata davanti ai nostri occhi”.

Sì, il mondo sarà giudicato perché non ha fatto nulla per i siriani torturati, bombardati e uccisi in patria. Facciamo in modo che non sia giudicato anche per aver abbandonato a se stessi i siriani che cercavano rifugio altrove. Quella popolazione ha dimostrato in ogni occasione una straordinaria dignità. Noi dobbiamo cercare almeno di non mancare gli ultimi appuntamenti con la nostra.

Giorgio Galli – Coordinamento Medioriente e Nordafrica di Amnesty International

Una cosa che possiamo fare tutti subito: firmare l’appello che chiede la protezione dei civili in Siria

Venerdì 15 marzo chiunque nel mondo potrà dimostrare solidarietà al popolo siriano scattandosi una foto con in mano un pezzo di stoffa o di carta bianca con su scritto STOP “Un’onda bianca per dire STOP alla violenza in Siria!”

Per approfondimenti: Siria, due anni dalla rivolta. Amnesty International sollecita le Nazioni Unite a prendere misure urgenti per assicurare giustizia alle vittime dei crimini di guerra Siria: da “i giorni della collera” a un conflitto pieno di collera

 

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