Fukushima, primi problemi per il progetto di congelamento del terreno
Le cose non vanno nel migliore dei modi a Fukushima, e non è una novità. Questa volta i problemi riguardano il progetto titanico avviato dagli ingegneri giapponesi della Tepco per arrestare la contaminazione radioattiva delle acque che scorrono sotto la centrale, riversandosi poi nell’oceano.
L’idea è quella di congelare il terreno per creare una barriera che impedisca alle sostanze contaminate di riversarsi in mare, ma il progetto, in fase di attuazione, sta incontrando le prime difficoltà.
Ogni giorno, secondo gli esperti, 400 tonnellate d’acqua scendono dai vicini altopiani di Abukuma e si mescolano al liquido usato dalla Tepco per raffreddare i reattori danneggiati dal devastante terremoto del 2011. Almeno 300 tonnellate di acqua radioattiva si riversano poi nell’oceano contaminando il territorio, le coste e la fauna marina. Ciò che si riesce a recuperare viene invece stoccato in enormi cisterne, il cui numero aumenta a ritmo frenetico. Se ne contano già 1200, all’interno delle quali sono ripartiti oltre 450.000 metri cubi d’acqua, e lo spazio comincia a scarseggiare. Inoltre, il mastodontico impianto che dovrebbe occuparsi della decontaminazione dei liquidi stoccati non riesce a sostenere il ritmo di accumulazione e periodicamente finisce in panne. Nessuno, infine, sembra in grado di garantire che questo esercito crescente di serbatoi metallici non produca perdite di materiali contaminanti, poiché anche la manutenzione, in una zona ad elevata radioattività, risulta estremamente difficoltosa.
Gli ingegneri giapponesi hanno deciso di affrontare il disastro con una soluzione che, fin da subito, è apparsa una sfida rischiosa. Lo scorso lunedì 2 giugno la Kajima Corp, incaricata dei lavori, ha inaugurato il mega cantiere che dovrà riuscire in quello che nessuno ha mai tentato prima: congelare il terreno di fronte ai 4 reattori della centrale attraverso l’inserimento di 1500 tubi riempiti con una soluzione refrigerante mantenuta a -30°C. Nelle previsioni dei tecnici, i tubi dovrebbero creare dei cilindri di terreno congelato che espandendosi dovrebbero fondersi in una vera e propria barriera impermeabile di terra e ghiaccio in grado di imprigionare nel sottosuolo gli elementi radioattivi.
La tecnica non è del tutto inedita ed è già stata utilizzata nell’ingegneria civile per la costruzione di tunnel e nella centrale americana di Oak ridge, tra il 1998 e il 2005, per isolare parte della struttura. I molti dubbi, espressi sia in Giappone che all’estero, riguardano la scala dell’intervento, estremamente ampia, e la natura geologica del terreno su cui sorge la centrale di Fukushima, infiltrato da spaccature e correnti d’acqua sotterranee. Un altro aspetto cruciale riguarda il livello di contaminazione della zona nella quale i lavori si stanno svolgendo, che limita i tempi di intervento per gli operai ed aumenta i pericoli per la salute. Qualcuno paventa addirittura il rischio che il suolo, una volta congelato, possa sprofondare arrecando nuovi ed ingenti danni alla struttura dell’impianto.
A due settimane dalla partenza dei lavori si assiste già alle prime battute di arresto. Il processo di congelamento avviato nei pressi del reattore numero 2, per una prima sperimentazione, non procede come previsto. Il portavoce della Tepco ha confermato che la compagnia non è riuscita a produrre un raffreddamento uniforme del terreno tale da creare una barriera protettiva efficace. Il problema potrebbe originare nella presenza di ostacoli solidi nel terreno e nella forza dei flussi d’acqua che lo percorrono. Per superare l’impasse i tecnici intenderebbero inserire nel suolo un numero maggiore di tubi refrigeranti per favorire la glaciazione, portando la sfida sul fronte tecnico a livelli ancora più alti.
La Tepco cerca di rasserenare gli animi e assicura che riuscirà a vincere la sua scommessa. I molti errori e le dissimulazioni operate dalla compagnia nella disastrosa gestione della crisi, dal 2011 in poi, non predispongono certo alla fiducia.
Foto: Wikimedia
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