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Filippine, la “guerra alla droga” di Duterte ha fatto almeno 6600 morti

In un rapporto diffuso ieri, Amnesty International ha denunciato che l’ondata di omicidi di polizia scatenati tre anni fa dalla campagna contro la droga del presidente delle Filippine Rodrigo Duterte continua a distruggere vite umane e a devastare intere comunità.

Il rapporto odierno aggiorna e convalida una precedente ricerca pubblicata da Amnesty International nel gennaio 2017, dalla quale era emerso che la polizia prendeva sistematicamente di mira le persone più povere e indifese del paese mettendo loro addosso le “prove”, assoldando sicari, rubando i beni personali delle persone uccise e falsificando rapporti ufficiali.

Ancora oggi, le forze di polizia operano nella totale impunità uccidendo persone delle zone più povere delle Filippine i cui nomi compaiono su “liste di sorvegliati” redatte al di fuori di qualsiasi procedura giudiziaria.

Il governo filippino ha riconosciuto almeno 6600 uccisioni da parte della polizia ma molte altre migliaia di omicidi commessi da sconosciuti sarebbero probabilmente collegati alle forze di polizia.

A seguito del trasferimento di alcuni alti funzionari di polizia, la mattanza ora si è spostata dalla regione di Manila alla provincia di Bucalan, nella regione di Luzon centrale.

In ciascuna operazione di polizia esaminata da Amnesty International, la polizia ha citato la stessa giustificazione preconfezionata: una retata di spacciatori in cui si è costretti a ricorrere alla forza letale a causa della reazione armata dei fermati. I rapporti di polizia sono identici gli uni agli altri.

Nella maggior parte dei casi esaminati da Amnesty International, i nomi delle persone uccise erano inclusi in liste di sorvegliati per motivi di droga compilate dalle autorità al di fuori di qualsiasi procedura giudiziaria.

È su queste liste che la polizia si basa per compiere arresti o uccidere. I funzionari locali, sono sotto pressione per mostrare risultati attraverso la raccolta dei nomi di presunti “consumatori”, “spacciatori”, “finanziatori” e “protettori” nella loro zona di competenza.

Con la sola eccezione degli agenti condannati per l’omicidio di un minorennele autorità filippine non hanno svolto indagini credibili per processare i responsabili delle uccisioni illegali e delle esecuzioni extragiudiziali nel contesto delle operazioni di contrasto alla droga.

Finora il governo delle Filippine ha cercato di respingere ogni tentativo di indagare a livello internazionale. Quando, nel febbraio 2018, il Tribunale penale internazionale ha lanciato un esame preliminare della situazione, il presidente Duterte ha subito annunciato che il paese si sarebbe ritirato dallo Statuto del tribunale, cosa poi accaduta nel marzo 2019.

Amnesty International ha chiesto al Consiglio delle Nazioni Unite sui diritti umani di avviare immediatamente un’indagine indipendente, imparziale ed efficace sulle violazioni commesse durante la “guerra alla droga”, inclusi possibili crimini contro l’umanità.

Analogamente, Amnesty International chiede all’ufficio della Procuratrice del Tribunale penale internazionale di accelerare l’esame della situazione e aprire una piena e completa indagine.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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