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Filippine, con la scusa della lotta alla droga la polizia uccide 1000 persone al mese

“Ci pagano a singolo ‘incontro’. Si va da 8000 a 15.000 pesos (da 151 a 283 euro) a persona, quindi se l’operazione è contro quattro persone possono essere almeno 32.000 pesos (600 euro). Ci pagano in contanti, in segreto, all’interno degli uffici. Non c’è alcun incentivo ad arrestare perché non ci pagano. Quindi, non accade mai che ci sia una sparatoria e non ci scappi il morto”.

 

Questa testimonianza di un agente del reparto antidroga della polizia di Manila chiarisce come vanno le cose nelle Filippine: con la scusa della guerra alla droga, è in atto una strage (nella foto Afp).

Agendo su istruzioni provenienti dai vertici del governo, la polizia delle Filippine uccide direttamente o attraverso sicari remunerati una media di 1000 persone al mese, per lo più appartenenti ai settori più poveri della società, per presunti motivi di droga: si tratta di esecuzioni extragiudiziali che potrebbero costituire crimini contro l’umanità.

I nomi delle vittime sono contenuti in elenchi privi di controlli di presunti consumatori e spacciatori, a volte ingrossati per motivi di vendetta privata o semplicemente perché più morti significano maggiori incentivi economici.

Falsificando i rapporti, la polizia sostiene regolarmente di aver risposto a colpi d’arma da fuoco. I testimoni ascoltati da Amnesty International hanno contraddetto questa ricostruzione, spiegando che la polizia compie raid notturni, non tenta neanche di arrestare le persone e apre il fuoco. In un caso la polizia ha piazzato droga e armi sulla scena del delitto, utilizzandole poi come prova.

Esiste anche un racket dei funerali, in base al quale le famiglie che rivogliono indietro i corpi devono pagare la polizia. Un altro modo di arricchirsi è quello di trafugare beni personali, spesso di grande valore sentimentale, dalle abitazioni delle persone assassinate.

Poi ci sono i sicari. Due di loro hanno ammesso ad Amnesty International di prendere ordini da un agente di polizia che li paga 5000 pesos (95 euro) se le persone da uccidere sono consumatori o da 10.000 a 15.000 pesos (da 190 a 285 euro) se sono spacciatori.

Prima dell’elezione di Rodrigo Duterte alla presidenza, hanno raccontato, avevano due “lavori” al mese, ora ne hanno tre o quattro alla settimana.

Insomma, col presidente Duterte al potere la polizia nazionale sta violando le leggi che dovrebbe far rispettare e trae vantaggio dalle uccisioni di persone povere che il governo dovrebbe tutelare.

Le stesse strade che Duterte aveva promesso di ripulire dal crimine ora sono piene di cadaveri di persone uccise dalla sua polizia. Due giorni fa, c’è stato un annuncio contraddittorio: fine delle operazioni di polizia e proseguimento della “guerra alla droga”. Chi la porterà avanti?

Ciò che sta accadendo nelle Filippine dovrebbe allarmare il mondo intero. Amnesty International ha chiesto al presidente Duterte di ordinare l’immediata fine di tutte le esecuzioni extragiudiziali e al dipartimento della Giustizia di svolgere indagini e procedimenti nei confronti di chiunque sia implicato nelle uccisioni, a prescindere dal rango o dal ruolo all’interno della polizia o del governo.

Se questo non accadrà in tempi brevi, allora dovrà muoversi il Tribunale penale internazionale, la cui procuratrice alla fine del 2016 aveva ipotizzato l’apertura di un’indagine preliminare sulla mattanza in atto nelle Filippine.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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