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Feltri e gli umanisti

Il vicedirettore de Il Fatto, Stefano Feltri, cerca di stemperare il ferragosto con un articoli in cui, forte dei numeri, da buon economista cui è, lancia uno schiaffo numerico contro chi ha deciso di studiare materie umanistiche all'università. Concordo con lui quando non capisce le ragioni per cui i lettori lo attacchino: su dove (la Bocconi) e come (50.000 euro dalla sua famiglia) abbia studiato, non sono affari nostri. Secondo gli studi di Bruxelles Ceps e Almalaurea, riportati dal bocconiano, chi decide di intraprendere studi umanitari all'università, rimane disoccupato per i primi cinque anni dopo la laurea.

E quindi?

Secondo Feltri, io avrei dovuto studiare economia o ingegneria, invece di lingue.

Avrei dovuto buttare via i miei sogni, interessi e,soprattutto, bruciare la mia gioventù per “qualcosa di più sicuro” e decisamente noioso. E' vero che l'economia ha un certo fascino, como lo sciamanesimo, ma lo avete mai sentito un adolescente esclamare: “da grande voglio fare l'economista!”?

Sarebbe preoccupante.

Scrive Feltri:

“Se poi volete comunque studiare filologia romanza o teatro, se ve lo potete permettere o se vi attrae un’esistenza da intellettuale bohemien, fate pure. Affari vostri. L’importante è che siate consapevoli del costo futuro che dovrete pagare”.

Come gli intellettuali bohemien non provenivano dalla Boemia, le idee di Feltri non provengono dall'era presente. Un articolo, purtroppo, superficiale il quale non tiene conto del periodo attuale e si inscatola, come la maggiore parte degli economisti, all'interno della solita e scalfita cornice capitalista. Per dirla come Chiesa, quando arriva la bufera, i grafici non contano.

La formula “ studio + lavoro = tanto denaro” è una truffa vecchia come il mondo, lo sappiamo. La felicità non si misura con il portafoglio gonfio o vuoto. Ne tantomento ci si dovrebbe laureare esclusivamente per un posto di lavoro. Tanto vale finire le superiori e recarsi da McDonald. Dopo un paio di anni, si passerebbe da friggere le patatine a friggersi il cervello come manager. Oppure, essere Briatore e andare a parlare alla Bocconi.

La differenza, ad esempio, tra un antropologo e un banchiere è che il primo studia per amore, il secondo studia per i soldi. Tuttavia, il primo apre i propri orizzonti e quello degli altri, il secondo crea gabbie mentali in cui soccombere la propria vita da pseudolibero.

E' triste che l'articolo riporta il tutto a un discorso di mero e vile denaro. Inoltre, fa ancor più male che sia un giornalista cosi giovane a ricordarci che prima, e non poi, dobbiamo avere una famiglia, una bella auto, un cospicuo conto in banca e infine morire.

Feltri tralascia un valore importante che, generalizzando, gli umanisti hanno: il tempo.

Per noi è vitale costruire un pensiero critico attraverso la cultura e l'arte. Sacrifichiamo, per cosi dire, le ore di lavoro con ore costruttive. E chi non lo fa, allora sì ha ragione il vicedirettore, doveva studiare altro all'università.

Da umanista concludo con una citazione dal libro dei samurai di Hagakure:

La vita umana non dura che un'istante.

Si dovrebbe trascorrerla facendo ciò che piace, ma in questo mondo fugace come un sogno vivere nell'affanno è follia.

Ma non rivelerò il segreto del mesterie, visto come vanno le cose al mondo potrei essere frainteso.

 

 

 

 

 

 

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