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Fase 2: le fonti di Palazzo Chigi e la mozione degli affetti stabili

Il 4 maggio, giorno di inizio della nuova “fase” da Covid-19, è stato accolto come una sorta di domenica dopo «il sabato del villaggio». C’è davvero da festeggiare, leggendo le recenti disposizioni sugli spostamenti del Dpcm del 26 aprile 2020, nel mentre ci si sposta dalla “fase 1” alla “fase 2” dell’emergenza?

di Vitalba Azzollini

 Se ne può dubitare, e non solo perché in concreto, a parte il riavvio di varie attività produttive e industriali, per i cittadini non si ampliano di molto le possibilità di andare in giro; ma perché i profili di incertezza circa le nuove regole sono tanti.

Innanzitutto, quali libertà vengono ora consentite? Tra le altre, visite a «congiunti», con divieto di assembramento pure in luoghi privati, riapertura di giardini pubblici, attività motoria e sportiva svolta individualmente anche a distanza da casa.

Sul significato del termine «congiunti» ci si è interrogati sin dall’annuncio di Conte in conferenza stampa. E, dopo la pubblicazione delle Faq relative al nuovo Dpcm, i dubbi sono – se possibile – aumentati. In esse si dice che la nozione di «congiunti» si ricava «dalle norme sulla parentela e affinità»: dunque, parenti fino al sesto grado e affini fino al quarto grado, oltre a coniugi, partner delle unioni civili e «partner conviventi». E qui sorge la prima perplessità: perché, se il partner è convivente, e a meno che non dimori in un’altra ala del castello ove si convive, la previsione per cui è «consentito incontrarsi» rappresenta una sorta di non-senso.

Ma proseguiamo. Nelle Faq si dice pure che la nozione di congiunti si evince «dalla giurisprudenza in tema di responsabilità civile». Al riguardo, la circolare del Ministro dell’Interno ai Prefetti relativa alle nuove disposizioni fa specifico riferimento a una sentenza della Corte di Cassazione (n. 46351 del 10 novembre 2014), ove si afferma che «si è congiunti in presenza di un saldo e duraturo legame affettivo», il quale comporta non necessariamente una «coabitazione», ma una «duratura e significativa comunanza di vita e di affetti».

Sarebbe tutto più o meno comprensibile e accettabile se, a definire il concetto, non vi fosse un chiarimento proveniente da “fonti di Palazzo Chigi”: gli amici “non rientrano tra gli stabili legami affettivi”. La ratio della scelta – rinvenibile forse nel fatto che gli amici possono essere molti e si volevano evitare giustificazioni di altrettante uscite per incontrarli – desta, oltre che dubbi, irritazione.

E non solo perché è aberrante che non meglio precisate fonti governative siano fatte assurgere a nuove fonti del diritto – alla stregua delle Faq – per dettagliare il contenuto di disposizioni la cui chiarezza dovrebbe essere assicurata dalla mera lettura. Il problema è di merito, e basterebbe richiamare l’importanza degli “amici fraterni” per spiegarlo.

Risulta, infatti, intollerabile che l’uso di una espressione – «stabile legame affettivo» – la quale può essere riempita solo dallo specifico vissuto individuale, venga invece sostanziata dal governo, con la pretesa di delimitarne discrezionalmente la portata, definendo l’estensione della sfera degli affetti personali (e la gente si dia una regolata): dai metodi da Stato di polizia a quelli da Stato etico, il passo è breve.

Al di là di questo, come potrebbe lo Stato valutare la “stabilità” di un affetto? Nella sentenza richiamata, i giudici hanno svolto un esame di circostanze attinenti al caso trattato: invece, le forze dell’ordine che fermino chi stia andando a visitare un “affetto stabile” come procederanno? Ma non basta: sempre a proposito di controlli, chi si muova per vedere qualunque altro «congiunto» come potrà dimostrarne il legame? E le forze dell’ordine come potranno verificare quanto egli indichi nell’autocertificazione, ai fini dell’eventuale sanzione?

Le generalità della persona che si va a trovare non andranno precisate, perché entrerebbe in gioco la normativa privacy (GDPR e non solo), quindi gli adempimenti connessi, e sul modulo di autocertificazione non ve n’è traccia. Allora, qual è il senso di autocertificare la visita a un «congiunto» che nessuno può accertare se sia davvero tale? Non è dato sapere. 

Sempre a proposito di controlli, sorge un dubbio ulteriore. Il nuovo Dpcm vieta l’«assembramento di persone in luoghi pubblici e privati». Come si potrà accertare che non ci si assembri, ad esempio, in un’abitazione? Peraltro, il Dpcm sancisce che il sindaco ha il potere di «disporre la temporanea chiusura di specifiche aree in cui non sia possibile assicurare altrimenti il rispetto di quanto previsto»: dato che, come detto, il divieto di assembramento riguarda pure case private, il corto circuito regolatorio è palese. E di nuovo si resta perplessi, perché una norma il cui rispetto non può essere verificato non solo è inutile, ma concorre a ingarbugliare l’intricata matassa delle norme vigenti, minando la certezza del diritto.

Ancora, prosegue la già rilevata attenzione circa l’attività sportiva e motoria. Ai sensi dell’ultimo Dpcm, tali attività sono consentite, mentre sono vietate quelle ludiche o ricreative: potrebbe essere ardua la netta distinzione, dato che le une spesso si identificano con le altre, e viceversa. Dunque, il rischio è che, sempre in occasione di controlli, vi siano dispute circa la riconducibilità all’una o all’altra categoria di variegate attività che il controllato stia fantasiosamente svolgendo.

Ma vette altissime, in ogni senso, si raggiungono con le “passeggiate”: nelle Faq si afferma che esse sono ammesse «solo se strettamente necessarie a realizzare uno spostamento giustificato» ex Dpcm. Quindi, come spiegato dalla Questura di Alessandria, ad esempio, si può fare una passeggiata «se rientra nell’attività motoria, cioè se si cammina; no, se la nostra intenzione è solo di perdere del tempo fuori casa». Quindi, attenzione: tutto chiaro? 

La Questura di Alessandria ed i processi alle intenzioni: quando la precrimine di minority report sembra il male minore. Vergogna. #COVIDー19 #FaseDue
(Da una segnalazione di @suzukimaruti)

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