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“Fai un master”, il mantra di mia madre

Mettiamo il caso io sia lo stereotipo del giovane laureato della riforma universitaria: laurea breve in tre anni e qualcosina; laurea specialistica biennale in un corso di studi che sembrerebbe andare proprio a fondo.

Mettiamo il caso io ci metta veramente poco ad accorgermi che questa specialistica, fatti due conti, sia la versione compressa, in due anni, del triennio appena concluso.

Stessi professori... A volte con baffi posticci per non farsi riconoscere… 

Mettiamo il caso che io riesca a concludere questa specialistica nel minor tempo possibile e con il massimo dei voti.

Per molti anni sarò ancora “un giovane”, perché si è giovani fino a 35 anni secondo tutti gli istituti di statistica italiani, mentre molti laureati oltreoceano (e molti calciatori di Serie A) a 25 anni hanno già una moglie e un figlio. Ho quindi la giusta dose di frustrazione per abbassare la testa, pur di smuovere le acque, davanti a:

- stage retribuiti una miseria, se proprio non retribuiti (fino a sfiorare il paradosso di sentirmi fortunato perché sto lavorando gratis);

- contratti a tempo determinato (6 mesi più 6 mesi, più 1 o 2 mesi a casa per aggirare il divieto della seconda proroga, per poi magari poter ricominciare con 6+6);

- contratti interinali, il parco giochi personale del datore di lavoro.

Impari in fretta a capire che il coetaneo col contratto a tempo indeterminato o lavora nell’impresa famigliare o non ha concluso l’università oppure rappresenta l’eccezione: così rara da non convincerti a pensare “il sistema (meritocratico) funziona”, ma almeno da indurti a vederlo passeggiare per la città sotto una specie di riflettore divino.

Mettiamo il caso, ancora una volta, che io faccia buon uso del Web per la ricerca di opportunità lavorative e che reputi l’Italia uno stivale troppo stretto per un piede che ogni anno aumenta la sua taglia e per il quale non vogliono costruire nuove calzature su misura. Supponiamo che ad un certo punto mi imbatta in un’università che mi proponga i suoi 49 master tramite social network e video su Youtube e Ustation, e che mi dica: è necessario “realizzare se stessi e far crescere il paese”. Mi saprebbe molto di ventata d’aria fresca, anche se la finestra aperta è quella sul desktop.

Qualora il tutto venga accompagnato per giorni da una specie di sottofondo mantrico di mia madre che recita “fai un master, fai un master”, ecco, in una società fatta di link – o semplicemente fatta di mantra materni – l’Open Day del 30 settembre in via Carducci a Milano potrebbe essere una data da segnarsi sul calendario.

Mettiamo il caso che io non sia di Milano. Il viaggio potrei sempre pagarmelo con un lavoretto interinale. L’ultimo, spero, della mia vita.

Commenti all'articolo

  • Di vituzzo (---.---.---.83) 17 settembre 2010 19:59

    Ciao Luca, è strano che nessuno ti abbia mai proposto contratti a progetto, che ad esempio, in ambito informatico sono la norma.
    Sarebbe molto importante sapere in che facoltà e quale corso di laurea hai seguito, perché parecchie cose dipendono da questo.
    Per quanto riguarda la scelta di fare un master o meno, mi regolerei in base agli annunci di lavoro: se più della metà richiedono esplicitamente il master in X, oppure se durante il colloquio chiedono spesso delle conoscenze nell’ambito Y, e c’è un master che è veramente formativo, allora lo farei. Se avessi la possibilità di acquisire quelle conoscenze studiando o facendo un vero tirocinio, non un lavoro mascherato, le sfrutterei. Secondo me i master sono abbastanza cari, dovrebbero darmi un vantaggio notevole nel mercato del lavoro per essere appetibili.
    Il fatto che tra le mamme facciano a gara su chi ha il figlio/la figlia che ha più master è una cosa che mi ha sempre dato un grande fastidio.

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