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Facebook, twitter, google: ghiaccio, vento e mare

Incipit: un giorno speciale

Il 4 luglio 2012 è uno di quei giorni che rimarranno nella storia.
Per la maggior delle persone la storia è passata inosservata, come uno dei tanti servizi di un TG. Per molti è stata una diretta sul web, a lungo attesa. Per alcuni è stato lo spettacolare termine di una fase del loro lavoro, non ancora finito del tutto). Per un’unica persona è stato il giorno della risposta che attendeva da 40 anni.

Tutto è riassumibile in una sola frase: ”Grazie, natura, per avere messo il bosone di Higgs proprio dove lo stavamo cercando.” A quel punto le telecamere avevano già inquadrato il commosso professor Higgs.

Il bosone di Higgs è la particella che “dà la massa” alle altre particelle; questa scoperta aggiunge un altro tassello a quello che i fisici chiamano “modello standard”, ossia il modello che postula che tutte le 4 interazioni fondamentali che conosciamo (elettromagnetica, debole, forte e gravitazionale) sono la manifestazione di una sola interazione fondamentale.

Per dare un’idea di quanto accaduto qualche giorno fa, prima di Higgs a metter bocca sulle questioni che riguardano la massa dei corpi sono stati solo Newton ed Einstein.

Il fisico John Ellis racconta il bosone di Higgs come un fiocco di neve (guarda il video qui).
Quando una particella si muove nel vuoto, può interagire con esso oppure no: le particelle che interagiscono col vuoto acquisiscono una massa, le altre invece ne saranno prive. Se un campo di sci è il nostro vuoto, uno sciatore interagisce poco col singolo fiocco di neve e quindi va veloce (è leggero). Una persona con scarpe da sci affonda un po’ nella neve e procede più lentamente. Una persona con le scarpe normali affonda molto di più nella neve e si muove con difficoltà. Tornando al nostro universo, se una particella non ha massa (ad esempio un fotone) può viaggare alla velocità della luce. Diversamente, il fatto di avere una massa lo rallenta. Andrebbe tutto bene, se non fosse che l’universo, l’intero universo, pare accelerare.
Sarà necessario quindi, per chiudere questa storia, aspettare ancora molto, e tirare in ballo materia oscura e dimensioni nascoste.

Mentre per la materia non sappiamo ancora nulla, perché è appunto oscura e non si vede, per le dimensioni nascoste si può utilizzare qualche rappresentazione semplice come il campo da sci. Il bello è che queste rappresentazioni, o se preferite queste dimensioni, possiamo anche applicarle per esempio a Facebook Twitter!

Ci sono più cose in Cielo e in Terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia (Amleto – Shakespeare)

Molte dimensioni nascoste sono proprio sotto i nostri occhi: i fisici hanno iniziato a prendere in seria considerazione l’esistenza di dimensioni aggiuntive, rispetto alle solite 4 spazio-temporali di Minkowski rese a tutti note da Einstein, perché i conti tra relatività e la meccanica quantistica non tornavano proprio.

La prima domanda spontanea è: ma se ci sono altre dimensioni, dove sono? Immaginiamo di essere in un giardino e di osservare un tubo da lontano: cosi lontano che il tubo ci appare come una semplice linea colorata. Se ci chiedessimo, per quel che vediamo, quante dimensioni ha il tubo, la risposta sarebbe che ha una sola dimensione: la lunghezza.

Avvicinandoci o meglio acuendo la nostra vista, ad un certo punto ci accorgeremo che il tubo ha una dimensione ”aggiuntiva” circolare che non riuscivamo a vedere finché eravamo lontano. Ma c’è di più: noi sul tubo potremmo solo camminare in una singola dimensione, mentre una formica è sufficientemente piccola per camminare su entrambe le dimensioni, quella lineare che vedevamo anche da lontano, e quella circolare che si vede solo da vicino. Il tubo si può quindi vedere come un oggetto che ha una dimensione lunga e una dimensione “arrotolata”, che si vede solo da vicino. Cambiando la distanza da cui si vedono le cose, si possono scoprire molte dimensioni arrotolate, e come si vede dall’ immagine di Escher che ritrae il nastro di Moebius, le formiche sono sempre importanti.

Il caso di dimensioni spaziali aggiuntive estese è più difficile da spiegare; una maniera è usare la finzione della finzione. Nel film “La rosa purpurea del Cairo” un personaggio all’interno della pellicola in bianco e nero si accorge che una donna tra gli spettatori è innamorata di lui, ed esce dalle tre dimensioni del suo spazio (proiettate sulle due dello schermo) per entrarne in altre tre (qui il video, al 1 minuto 23 sec.). I personaggi del film nel film possono interagire con i personaggi del film, per ovvi motivi di narrazione: nella realtà non dovrebbe essere cosi.

È il momento di vedere le dimensioni nascoste di Facebook e Twitter. Partiamo da Facebook, che è più facile da descrivere. Qui abbiamo detto di come sia Facebook che Twitter sono descrivibili attraverso una matrice. Prima di andare in cerca delle dimensioni nascoste, bisogna chiedersi quali sono le dimensioni “palesi”. Se lo spazio vuoto può essere una pista di sci, facebook allora può essere una festa, in cui ogni utente è un invitato, e noi siamo gli ospiti col compito di rendere la festa piacevole. A una festa ognuno può fare (nei limiti del consentito) come vuole, quindi la buona riuscita della festa dipende proprio dal numero degli invitati, che sono quindi delle variabili indipendenti che interagiscono tra di loro. Ogni variabile indipendente rappresenta una dimensione, quindi Facebook ha 900 milioni di dimensioni (in prima istanza, ed in continuo aumento, ogni volta che qualcuno si iscrive).

È noto che facebook sa molte cose di noi. Quando ci siamo registrati abbiamo iniziato a dare i nostri dati anagrafici, la nostra mail e cosi via. Possiamo allora costruire una colonna sul nostro quadratino nella matrice.

- sesso: M-F-ND
- Città: Roma
- Stato: Italia
….

Questa colonna è la nostra profilazione di base, la nostra “dimensione personale”, che contiene circa una ventina di piani. Ma poi ci sono i like a tutte le pagine… Le dimensioni (e soprattutto la forma) indotte delle fan pages si vedono in due posti: il primo è la URL di creazione delle pagine, che Facebook suddivide in sei macro categorie (impresa locale; Impresa o organizzazione; marchio o prodotto; artista; intrattenimento; causa o comunità). Ecco insomma un altro pezzo di matrice strano, con sei righe e un numero variabile di colonne, i cui valori per una fan page valgono tutti zero, meno uno solo che vale 1 (quello che si è scelto). Ovviamente ogni elemento di questa matrice è anche un ulteriore piano della colonna con le nostre dimensioni personali, e ogni like che mettiamo è una lucina che si accende lungo questa colonna.

Queste lucine che si accendono sono il business di Facebook: stiamo salendo lungo la colonna personale ma se ci fermiamo al piano “I like musica rock” e guardiamo le altre luci che sono accese allo stesso piano, possiamo vedere a chi altro piace la musica rock. Solo che è complicato fare una cernita di questo tipo: molto più comodo andare nella pagina “crea un’inserzione”, dove si possono addirittura contare le persone che corrispondono ai criteri che vogliamo. Una campagna di advertising non è altro che una sezione “orizzontale” opportunamente tagliata (“Stato: Italia”, “Età: 30-40 anni”, “istruzione: laurea”, “situazione sentimentale: complicata”…) lungo le colonne delle nostre dimensioni personali.

In tutta onestà non le ho contate, a spanne saranno un paio di centinaia al massimo, ma queste sono le dimensioni nascoste di Facebook. Essendo state costruite dagli uomini e non dalla natura, se uno sa cosa cercare non sono poi così difficili da trovare.

Già che ci siamo: una volta messo un like, è per sempre (come i diamanti): per Facebook siamo imprigionati in quella profilazione e solo un nostro atto volontario può eliminarci da qual cluster di utenti, come se fossimo un mammut sotto ghiaccio.  Facebook è costruito sulla domanda: “chi sei?”, ha una profilazione forte ed è un solido. Infatti Facebook ha di noi memoria con tempo infinito, è talmente rigido, nella struttura matriciale che ha costruito, che perfino i punti di accumulazione della profilazione sono dei veri punti fissi (ossia non si muovono e non possono muoversi: il numero degli utenti nel paese “Italia”, quelli a cui piace “musica Rock”, quelli a cui piace “pizza” ….. possono cambiare i numeri, ma quei “luoghi” della matrice son sempre lì), e con un po’ di pazienza si possono contare. Ma una persona potrebbe semplicemente avere cambiato gusti musicali, magari perché è cresciuta o cambia stile di vita. Se dovessimo definire la “musica di Facebook” potremmo insomma prendere i Draft Punk di Technologic (quarda il video qui). Può piacere, ma è difficile sostenere in continuazione il proprio ritmo cardiaco a quel ritmo.

Twitter ci chiede invece quali sono le cose di cui parlano le persone che ci interessano e di cosa parlano le persone in un determinato momento. Del fatto che la sua matrice è asimmetrica, della sua dinamica fluida e dei suoi vortici se ne è già parlato qui. Poiché anche il modello di business di Twitter è basato sull’advertising, anche le sue dimensioni nascoste hanno a che fare con la capacità di profilazione. A differenza di Facebook, Twitter di noi sa di base solo la nostra mail, la nostra localizzazione se glielo concediamo, e la nostra rete asimmetrica. Subito dopo la nostra iscrizione la sua è insomma una profilazione debole, poiché ha bisogno di collezionare molti eventi per “scattarci una foto”: ecco perché parte da subito a cercare di collezionare dati, proponendoci account di persone famose appartenenti a qualche categoria. Twitter può inoltre interpretare solamente le conversazioni a cui si partecipa attivamente, sempre se è in grado di attribuire un senso agli hashtag (ad es #euro2012 per i campionati europei di calcio). Essendo un news-network, Twitter ha una ulteriore possibilità di profilazione rispetto a Facebook.

I punti fissi di Facebook, riconducibili in ultima istanza alla natura delle fan pages, possono essere una soluzione anche sui Twitter: se su Facebook la fan page di Vasco Rossi è fonte di informazioni per l’advertising mirato, per Twitter un fan di Vasco su Facebook su Twitter è un suo follower. Ecco a cosa servono le twitstar: ad aiutare Twitter a profilarci!!!!

Twitter ha però anche dei meccanismi aggiuntivi, che Facebook non possiede perché lavora con i broadcast pubblici: nel caso che un hashtag sia noto, chiunque partecipi attivamente ad uno stream può avere una probabilità di essere profilato in relazione all’argomento dello stream (es: se ho postato 30 tweet su #euro2012, si può immaginare che io sia uno sportivo che si interessa di calcio, e dovrei rispondere bene quindi ad un tweet sponsorizzato da Nike o Adidas). Se Facebook è deterministico (fan o non fan, 0 oppure 1) Twitter è probabilistico: 0 se non si è mai twittato su un argomento, un numero x compreso tra 0 e 1 se si è twittato, 1 se si è follower.

Per effettuare questo tipo di profilazione è necessario collezionare molti eventi ed esistono rischi di errore soprattutto umani (rientra nella piccola storia di Twitter l’hashtag #vascomerda intepretato come una rivolta verso il Blasco nazionale, quando invece erano solo dei tifosi brasiliani contro il Vasco de Gama).
A regime però, la natura di Twitter e la sua capacità di essere sempre sul pezzo del momento porta a una profilatura più efficace di quella attuale di Facebook, soprattutto in virtù delle partnership che Twitter sta effettuando con alcune reti televisive americane. E se le conversazioni su Twitter sono fluide come il vento, musicalmente non possono essere che le rigorosità classiche delle 4 stagioni di Vivaldi a rappresentarlo.

Infine Google. Riuscire a sintetizzare cos’è Big G è veramente difficile, perché dopo 15 anni il suo è l’ecosistema tecnologico meglio costruito finora. Google è una di quelle aziende che ha già cambiato il mondo e se ne è già scritto tanto. Brevemente, per quelli che sono gli scopi di questo articolo, è sufficiente ricordare che rispetto agli altri due sistemi di cui si è parlato, BigG continua ad essere la più furba di tutte.
Se la feature di Facebook è partire da noi come ci dichiariamo, ed è un problema sapere cosa vogliamo in un determinato momento, se Twitter deve cercare di interpretare le conversazioni ed il nostro comportamento, Google ribalta la situazione: o meglio essendo arrivata prima degli altri, bisogna dire che Brin e Page si erano fatti la domanda giusta ed hanno dato la risposta giusta.

Google ci chiede: cosa stai cercando? E la manifestazione di questa essenza è la sua home page perfetta. Google non è partito catalogando le persone, è partito catalogando il web. E il web continua ad essere il suo centro, sempre. Il paragone tra la pagina di inserimento inserzioni di Google e l’equivalente di Facebook è impietoso e rispecchia tutte le differenze filosofiche che hanno delle conseguenze dirette nel business: il Big Problem di Facebook è riuscire ad arrivare con la sua pubblicità in mezzo a tutto il rumore di foto scattate con gli amici, sperando di trovare il momento giusto per l’acquisto tra lolcat e link esterni. Google piazza la sua pubblicità in cima alle ricerche per le chiavi che NOI abbiamo inserito. E se Facebook ha una memoria statica, fissata dai nostri like, e Twitter ha una memoria effimera, Google ha una memoria selettiva. Se Facebook è una prigione di ghiaccio, e Twitter è il vento, Google è il mare, che con le sue correnti fa emergere solo le informazioni che ci sono più utili in un determinato momento (come poi lo faccia e in che modo lo presenti, è un altro discorso).

Raccontare la struttura di Google come quelle di Facebook e Twitter non è per niente semplice, perché finora ho parlato del motore di ricerca di Google. E tutti sappiamo che Google è molto di più. Ripartiamo dalla forma della matrice di Facebook, in cui “al piano terra” ci sono le interazioni tra le persone (che su facebook sono guidate dall’algoritmo di edge ranking) e salendo in verticale ci sono prima “le dimensioni personali” e poi le “dimensioni di marketing” dei nostri like, Google ha una struttura simile per la prima parte (email, telefono e tutti i dati che da essi derivano) e poi ha i nostri dati di navigazione attraverso i cookies del nostro browser. Se su Facebook l’altezza della colonna sul nostro profilo è data dal numero delle fan pages presenti in tutta Facebook (anche se nella maggior parte dei casi non interagiamo con esse, quindi hanno valore zero), su Google una struttura equivalente comprende l’intero Web.

Su Google l’altezza sul nostro profilo è un pò più alta (J) e mentre su Facebook non c’è legame tra una fan page e l’altra, visto che tranne rarissime eccezioni esse sono tutte separate, su Google la struttura che ci sovrasta è quella di tutti i siti Web (anche se sulla maggior parte di essi noi non ci andremo mai) con tutti i loro link.

C’è solo la nona sinfonia di Beethoven, e neanch’essa basta in realtà per rendere la musica di Google.

A meno di vent’anni quindi da quando è partita la Internet for the masses, nella Rete si incontrano tre grossi mondi con diverse strutture, una solida, una liquida ed una gassosa. I fisici direbbero che stiamo in un punto triplo, luogo dove succedono sempre cose molto interessanti.

Dopo la pausa estiva potremo iniziare a parlare di quegli animaletti che abitano questi luoghi, convinti di possedere una cosa chiamata “libero arbitrio”. Nel frattempo, quel gruppo di italiani che hanno partecipato all’eroico agone di Ginevra contro il bosone di Higgs, dopo essere stato ringraziato dal presidente Napolitano per il fulgido esempio per noi tutti, si è visto tagliare i fondi di ricerca: è l’Italia, bellezza!

Di Rosario di Girolamo

Questo articolo è stato pubblicato qui

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