Come saranno le città del futuro?
Il processo di progressiva urbanizzazione è un fenomeno ben noto che l’ex sindaco di Denver in Colorado ha descritto dicendo che “il 19° secolo è stato il secolo degli Imperi, il 20° secolo è stato il secolo degli Stati-Nazione e il 21° secolo sarà il secolo delle Città”. La tecnologia ha un ruolo importante in questo contesto.
La connettività dati ha aggiunto ricchezza allo spazio urbano, facendo sì che persone e cose diventino digitalmente sempre raggiungibili e superino i vincoli dello spazio fisico grazie alla diffusione dei servizi mobili, di interfacce interattive e della presenza diffusa di sensori negli oggetti. Questo “strato” digitale non è separato dallo spazio fisico, ma entrambi coesistono e formano uno spazio ibrido che lega insieme le attività fisiche e digitali.
Cedric Price, architetto inglese e noto docente e scrittore di architettura del secolo scorso, ha detto: “La tecnologia è la risposta. Ma qual è la domanda?”. Questa affermazione fa eco ad una delle questioni centrali che le Smart City si trovano oggi ad affrontare, ovvero come tenere nel dovuto conto la centralità della vita umana nella progettazione e realizzazione delle soluzioni che rendono “smart” le città stesse.
“Noi non facciamo le città al fine di costruire edifici e infrastrutture, ma per favorire l’incontro, creare ricchezza, cultura, e altre persone”, dice Dan Hill, un visionario del design, CEO di Fabrica. Attualmente ci sono due approcci principali per trasformare o rendere le città “smart”. Entrambi sono del tipo top-down, in quanto messi in moto o da un attore industriale o da un’autorità o ente pubblico verso i cittadini e la città stessa. Il primo approccio è seguito principalmente negli Stati Uniti e pone al centro la tecnologia: la “smartness” è una conseguenza dei programmi strutturati di grandi attori industriali, quali ad esempio IBM, Cisco o Siemens. Il secondo approccio trova le sue esemplificazioni principali in Europa e in Asia dove enti governativi nazionali o sovranazionali promuovono politiche in linea con il green e la sostenibilità, per la promozione dell’economia, dell’imprenditorialità e del capitale umano, o scrivono progetti per città completamente nuove, prevedendo il massiccio dispiegamento di infrastrutture e tecnologie ICT per renderle “intelligenti”. I limiti di questi approcci risiedono nel portare a soluzioni applicative verticali separate, i cosiddetti “silos”, e nel perdere di vista l’attenzione agli utilizzatori finali, che non sono presi in considerazione come dovrebbero essere. Di conseguenza questi progetti perdono in termini di efficienza ed efficacia.
Le città sono un mercato enorme. Il progetto CityMart calcola che “ci sono più di 557.000 i governi locali di tutto il mondo, i quali spendono circa 4.500 miliardi dollari ogni anno per fornire servizi importanti ai cittadini.” Inoltre, secondo uno studio di ABI Research, “le tecnologie e i servizi necessari per rendere le città smart sono un mercato in crescita con un valore da 8 miliardi di dollari nel 2010 a 39 miliardi di dollari nel 2016, con una spesa cumulata nel periodo 2012-2016 di 116 miliardi dollari”. Il numero di progetti di Smart City a livello mondiale ha superato il centinaio già nel 2011, secondo la stessa fonte.
L’Interaction Design può contribuire efficacemente a rendere gli investimenti in questo settore più redditizi. E’ ben noto che il successo delle principali aziende in vari settori, come la Apple, deriva principalmente dall’applicazione corretta e consapevole dell’Interaction Design ai loro prodotti. Ci sono dati numerici che testimoniano come il Design può incrementare i ricavi e le vendite netti: ad esempio, secondo una recente ricerca del Design Council del Regno Unito il ritorno percentuale sui ricavi rispetto all’investimento in design per le aziende inglesi è del 15 %.
L’Interaction Design può trasformare un prodotto “stupido” in uno smart. Ne è un buon esempio il termostato NEST, creato da due ex dipendenti di Apple. I termostati sono un elemento chiave per un approccio ecologico al consumo di energia, e costituiscono un buon esempio di prodotti che traggono vantaggio dall’essere connessi a Internet. I termostati classici hanno la nomea di essere scomodi da programmare e utilizzare. Quando una nuova tecnologia e un design user-centric vengono iniettati nel termostato, come è accaduto per NEST, il risultato è migliorare e trasformare radicalmente l’oggetto stesso. Se ne semplifica l’aspetto, rendendolo una manopola con cui impostare intuitivamente la temperatura, e se ne trasferiscono le funzionalità complesse, come la programmazione dei cicli temporali, ad una applicazione mobile su smartphone più semplice da usare. Il dispositivo inoltre insegna ad utilizzare meno energia grazie alla presenza di una icona a forma di foglia verde, che appare sullo schermo quando il consumo si mantiene in linea con quello dei giorni precedenti: questa accortezza cambia il paradigma per il termostato da “passivo” a “intelligente”, con effetti concreti e positivi sulla sostenibilità.
È stato stimato che l’uso di NEST porta a risparmiare 225 milioni di kWh di energia come riportato nel Technology Review del MIT (riferimento all’articolo “Nest’s Smarter Home”). L’esempio fatto fornisce una buona indicazione di come le persone e la tecnologia, avvicinati dall’Interaction Design, possono ottenere vantaggi che vanno oltre il miglioramento dell’elemento funzionale stesso. Se il nostro obiettivo non è quello di creare semplicemente le Smart City, ma di sostenere uno stile di vita “smart”, serve cambiare l’approccio attuale: questo si fa mettendo le persone al centro del processo e lavorando bottom-up nella creazione e innovazione di servizi e prodotti.
Se non riusciremo a guardare alla persona, il risultato potrà essere un mondo urbano altamente automatizzato in cui noi esseri umani non saremo a nostro agio e dove tutto sarà incentrato sulle macchine. Questo timore è chiaramente espresso dalle parole di Dan Hill: “L’idea che il confronto con lo spazio fisico e il tempo finito è problematica potrebbe effettivamente rivelare un problema più profondo che una particolare cultura ha con questi vincoli sull’umanità, una sorta di pensiero derivato dalle macchine. Tutto ciò corrisponde al desiderio di controllare l’esperienza, distruggendo la serendipity”.
Per chi desidera approfondire alcuni degli argomenti discussi, che sono emersi dagli scambi di opinioni e delle attività svolte nel progetto europeo FP7 UrbanIxD (Urban Interaction Design), suggerisco le seguenti letture: il saggio di Dan Hill “City of Sound” sulle Smart City e gli Smart Citizen e il saggio di Adam Greenfield “Beyond the Smart City”.
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