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"FIRMINO: un topastro sfigato e malinconico" la grande metafora dell’uomo e del diverso

Niccolò Ammaniti lo definisce un topastro sfigato e malinconico, per Alessandro Baricco è "il topo che Walt Disney avrebbe inventato se solo fosse stato Borges", e per Valeria Parrella e Domenico Stanzione come per gli altri due, è il topastro con cui, chi ama leggere, farà subito amicizia e per i quali è stato scritto questo libro. Insomma, il mondo, preso da una mania di amore verso i roditori più comuni, scopre un nuovo eroe, non coraggioso, non dotato di poteri straordinari, non sa volare, né correre veloce come un fulmine. Firmino, questo è il nome del piccolo roditore, è capace solo di leggere ed apprendere dai libri. Una cosa da nulla insomma, se non fosse che lui, è un roditore e non un essere umano.

Anche se a ben pensare sono molti gli umani che seppur dotati di cervello non leggono nulla che non sia il libro di moda (magari scritto in maniera assurda, vedi i "romanzi" di Federico Moccia) o le riviste scandalistiche oramai anch’esse definite indegnamente "giornali".

Firmino (meglio non approfondire oltre la questione sopracitata) è in un certo senso un topo fuori dagli schemi,volendo così raggruppare i topi del momento (pensando ai vari protagonisti dei cartoni animati o fumetti) in un’unica famiglia commerciale e di soli prodotti creati per far cassa.


E’ un perdente di natura, essendo tra gli animali più disprezzati (sinonimo di degrado sociale e portatore di malattie) ma con questa storia, il topo acquisisce una nuova veste, quella del disadattato, dell’emarginato, del diverso. Insomma Firmino non è poi così diverso da tutti noi. Appartiene alla famiglia dei roditori paradossalmente più commercializzati e quindi più amati da grandi e piccini, ma solo se fittizi, se creati da una matita come quella della Disney o se fatto di pixel come quelli della Pixar (sempre di proprietà della Disney) o della Warner Bros, ma non sa farsi accettare né dai suoi simili, i roditori, né dagli umani. Il motivo è presto spiegato: il nostro eroe è stato abituato sin da piccolo a cibarsi di libri, in tutti i sensi. Firmino di fatti divora i libri, leggendoli, è dotato di una capacità unica, riesce a capire ciò che scrivono gli essere umani, ciò che dicono quando parlano tra di loro o inveiscono contro di lui per strada, ma non è in grado di comunicare con loro, e questo, diventa la sua più grande dannazione.

Il romanzo si sviluppa così pagina dopo pagina, mostrandoci il mondo del diverso, che si ritrova ad amare chi lo odia così tanto, e chi lo ignora. Firmino infatti ama gli umani, e non si da pace per questa sua impossibilità a comunicare con loro il suo affetto.

La dott. Fiammetta Ricci (docente presso l’Università di Teramo), durante uno dei convegni tenutisi a Napoli, organizzati dall’Istituto Politeia, ha parlato degli "spazi della parola tra ri - creazione e sterminio linguistico attraverso Winston Smith e Firmino" e a fine dibattito ha voluto gentilmente soffermarsi per descriverci meglio questo insolito personaggio che sta sbancando in tutto il mondo definendo questa storia come una grande metafora, nella quale si può percepire le diverse marginalità dell’uomo, ossia come questi adotti diversi modi e dia diversi giudizi a seconda dell’immagine che gli si proponga dinanzi, senza vedere oltre, e senza ascoltare esprime giudizi. Infatti è proprio su questo problema che l’autore Sam Savage basa lo scritto, l’incomunicabilità nei confronti del diverso da parte dell’uomo. La Dott.ssa Ricci continua affermando che il pregiudizio che caratterizza ognuno di noi è palese dinanzi Firmino, la fantasia viene azzerata se si pensa che un topo non possa leggere, di fatti l’uomo si dimostra ancora una volta discriminatorio in ogni contesto, anche in quello fantastico, dove tutto sarebbe possibile, anche che un topastro diventi un eroe della letteratura e non solo. Non a caso l’autore ha scelto di dare a Firmino le fattezze di un roditore. L’attenzione poi ritorna sulla forma di linguaggio che Firmino non riesce a fare propria, lui che s’interessa di cinema, musica e di jazz (la musica della protesta nera appunto) oltre che della lettura e così precisa la Ricci: l’autore vuole dimostrare come non sia il diverso, l’emarginato a non riuscire a comunicare con il mondo comune, il mondo moderno, ma sia quest’ultimo a non percepire la loro presenza, ad essere sordo ai loro gridi d’aiuto o di amicizia, d’amore. Il mondo è sordo e non l’emarginato ad essere muto. Firmino ha imparato tutto dagli umani meno che a pronunciare le loro parole, e questa è la sua dannazione certo, ma anche una sua fortuna, altrimenti rischierebbe di essere un umano e perderebbe quel poco di naturalezza che il suo essere topo gli ha dato. Una dannata fortuna non essere umano, ed essere diverso.


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