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Europee 2019: un primo bilancio

Tiriamo le somme di queste elezioni europee 2019: analisi, mappe e flussi di un voto decisivo.

Salvatore Borghese

Sono davvero tanti gli spunti che vengono dai risultati (per molti versi inattesi) di queste elezioni europee in Italia. Ne abbiamo scelti 5: presi singolarmente, ciascuno di questi elementi era stato in qualche modo “previsto” alla vigilia del voto – o quantomeno rientrava tra le ipotesi considerate come possibili; quello che non era stato previsto, praticamente da nessuno, era l’entità, il “peso” specifico di ognuno di essi.

I risultati delle Europee 2019 in Italia

L’affermazione della Lega spazza via le voci della vigilia

Il primo di questi è senza dubbio l’affermazione della Lega di Matteo Salvini. Intendiamoci, tutti gli osservatori – anche i più distratti – si aspettavano che la Lega diventasse il primo partito italiano. Ma nelle ultime settimane, complice il black-out sui sondaggi, si rincorrevano voci su una presunta “stanchezza” di Salvini e su un’altrettanto presunta frenata nei consensi al suo partito. il 34,3% ottenuto nelle urne spazza via tutti questi speranze (per alcuni) e timori (per altri) e certifica in modo incontestabile il primato della Lega e la sua centralità – non più solo mediatica – nello scenario politico italiano. Oltre a tutto ciò, il partito di Salvini assume sempre più le fattezze di un partito nazionale, ottenendo sempre i suoi risultati migliori al Nord (oltre il 40% in entrambe le macro-circoscrizioni settentrionali) ma superando il 20% persino nel Sud e nelle Isole. Complice questa distribuzione territoriale non più troppo sbilanciata verso il Nord, la Lega risulta il partito più votato in ben 5.868 comuni (circa il 75% del totale). Ciliegina sulla torta, Salvini risulta essere – e di gran lunga – il candidato che ha raccolto il maggior numero di preferenze: oltre 2 milioni in tutta Italia.

Lega prima in 3 comuni su 4

M5S deludente oltre ogni previsione (ma ancora forte al Sud)

Il secondo elemento, speculare al primo, è il risultato deludente del Movimento 5 Stelle. A dire il vero “deludente” è un aggettivo quasi troppo benevolo. Anche in questo caso, si sapeva che il risultato delle Politiche 2018 era difficilmente replicabile, e che il M5S sarebbe sceso ben sotto il 30% e sarebbe giunto alle spalle della Lega. Ma nemmeno i più pessimisti avrebbero immaginato di vedere un M5S al 17%, quasi dimezzato rispetto alle Politiche e soprattutto più che doppiato dall’alleato/rivale di governo. I sondaggi della vigilia suggerivano che il M5S fosse riuscito a resistere alla rimonta del PD dopo l’elezione a segretario di Zingaretti, e che grazie alla nuova strategia mediatica adottata (decisamente più “aggressiva”) il margine dalla Lega si stesse riducendo. Al contrario, il 17% è il peggior risultato mai ottenuto dal Movimento dal suo debutto sulla scena nazionale (2013). Di Maio può guardare al bicchiere mezzo pieno: il M5S è ancora il primo partito in tutte le regioni del Sud e in Sicilia, e raggiunge risultati considerevoli in alcune città importanti come Napoli (dove sfiora il 40%).

Il Mezzogiorno è ancora la roccaforte del M5S

Il PD riparte dal secondo posto (e dal primato nelle grandi città)

Il terzo elemento, anche questo sorprendente nel modus ma non inaspettato di per sé, è il risultato del Partito Democratico. Di certo si sapeva – e i sondaggi lo avevano previsto – che il PD avrebbe fatto meglio del disastroso risultato delle Politiche 2018, e molti osservatori avevano giudicato probabile un sorpasso nei confronti del Movimento 5 Stelle. Ma, ancora una volta, a sorprendere è stata la misura di questo sorpasso. In questo caso, più che a una overperformance del PD rispetto ai sondaggi della vigilia, questa sorpresa è dovuta al dato molto deludente del M5S. Ma per il partito di Nicola Zingaretti i dati positivi vengono soprattutto dalle città: e in questo senso viene ribadita – e anzi si rafforza ulteriormente – la natura del PD come “partito delle ZTL”, molto forte nelle città più popolose e soprattutto nei quartieri centrali e meno periferici. Tra le regioni, il PD conserva la palma di primo partito solo in Toscana, ma è il primo partito a Roma, Milano, Torino, Firenze, Genova, Cagliari, Bergamo, e molti altri ancora. Certo, i democratici hanno perso – e non di poco – la palma di primo partito d’Italia (e d’Europa) conquistata alle Europee di 5 anni fa, ma possono dire di aver invertito la tendenza e aver ripreso a crescere dopo aver toccato il fondo un anno fa.

Chi sale e chi scende: il confronto con il 2014 e il 2018

L’altro centrodestra: male Forza Italia, bene FdI

Una considerazione va certamente fatta anche su quello che possiamo definire “l’altro centrodestra” (visto il peso preponderante della Lega in quel campo). Nel centrodestra, Forza Italia ottiene un risultato (8,8%) decisamente sotto le aspettative, considerato che l’obiettivo dichiarato era di star sopra il 10%. Al contrario, è certamente positivo il 6,5% di Fratelli d’Italia: pur restando il terzo partito del centrodestra (l’ipotesi del sorpasso su Forza Italia è rimasta teorica, tranne che nella circoscrizione Italia Centro) il partito di Giorgia Meloni raddoppia il risultato delle precedenti Europee e migliora quello, già buono (4,3%) delle Politiche 2018. La suggestione, a questo punto, diventa inevitabile: con Lega e FdI che insieme arrivano oltre il 40%, è sempre più difficile resistere alla tentazione di andare alle urne con una coalizione di centrodestra al 100% sovranista, senza Forza Italia, che sarebbe pienamente in grado di conquistare la maggioranza assoluta dei seggi.

A sinistra ennesima occasione persa: tanti voti dispersi per le divisioni

Che dire invece delle forze minori di centrosinistra, al centro e a sinistra del PD? Cominciamo da Più Europa, che anche stavolta, sia pure in un’arena teoricamente congeniale (le elezioni europee) non riesce a superare la soglia di sbarramento. Il rifiuto di formare una lista unica con il PD – come suggerito dal manifesto “Siamo Europei” promosso da Carlo Calenda – ha finito così per dividere le forze degli europeisti italiani, come era facilmente prevedibile alla vigilia. Stesso discorso potrebbe farsi per le forze più di sinistra, come Europa Verde e La Sinistra, che messi insieme raggiungono il 4% ma singolarmente (2,3% e 1,75% rispettivamente) rimangono al di sotto della soglia e non eleggono alcun rappresentante. La storica incapacità della sinistra di presentare un’offerta politica unitaria per evitare di disperdere le forze a vantaggio degli avversari trova in queste Europee un’ennesima, clamorosa conferma.

Come si sono spostati i voti?

Grazie ai dati dell‘instant poll realizzato da Quorum/YouTrend per SkyTG24, siamo anche in grado di analizzare i flussi elettorali: in particolare, il comportamento di voto in relazione alle Politiche 2018. Grazie a queste analisi, ben raffigurate dal grafico “alluvionale” realizzato da Giovanni Forti, scopriamo che il più grande dei flussi di voto in uscita dal Movimento 5 Stelle è andato verso la Lega, ma tra le destinazioni più “gettonate” dagli ex elettori M5S troviamo anche l’astensione e il voto al Partito Democratico. Dal grafico possiamo apprezzare anche come Forza Italia si sia elettoralmente “dissanguata” verso il voto alla Lega, quello a Fratelli d’Italia e (anche qui) l’astensione.

In generale, nei flussi di voto troviamo l’ennesima conferma di un’importante lezione: per fare bene alle elezioni, bisogna prima di tutto rimobilitare i propri elettori. Questo è esattamente ciò che hanno fatto Lega, PD e FdI (ossia i 3 partiti che hanno guadagnato consensi rispetto al 2018), i quali fanno registrare un “tasso di fedeltà” che oscilla intorno all’80-90% dei loro elettori 2018. Al contrario, i partiti più penalizzati da questa tornata elettorale, ossia M5S e Forza Italia, risultano avere un tasso di fedeltà estremamente più basso, che non arriva al 50%.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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