Euro, feudalesimo monetario e caste finanziarie

“Cimiteuro: uscirne e risorgere” (www.ariannaeditrice.it, 2012) è un saggio molto anticonformista di Marco Della Luna, un avvocato atipico e uno studioso indipendente di politica economica.
“La crudeltà è riconosciuta soltanto quando non esiste beneficio”. (Ruth Harrison, scrittrice).
“Il maggior costo che sostiene chi crea denaro dal nulla, è la spesa per impedire che la gente arrivi a capirlo”. (Marco Saba).
Della Luna considera l’attuale sistema finanziario internazionale centrato sul dollaro e sui derivati come un gigantesco “Schema Ponzi” istituzionalizzato, dove gli interessi sui debiti vengono pagati contraendo altri debiti (è una forma di frode finanziaria indiretta molto elaborata). Per lo studioso l’Euro è una moneta troppo dipendente dal potere decisionle tedesco, che determina politiche coercitive e parassitarie nei confronti delle nazioni economicamente e politicamente più deboli.
In effetti “nell’agosto del 2012, l’indebitamento generante interessi passivi, nel mondo, è stimato a 1,2-1,4 milioni di miliardi di Dollari. I titoli tossici sono stimati in oltre 1,5 milioni di miliardi. Gli interessi annui da pagare per sostenere quanto sopra, per reggere quindi il sistema finanziario e bancario mondiale, superano ampiamente i 100.000 miliardi, mentre il prodotto lordo globale, cioè la somma di tutti i Pil nazionali, è di soli 70.000 miliardi” (p. 5). Perciò le burocrazie bancarie e parabancarie (le banche ombra che non documentano gli scambi), stanno solo rinviando lo scoppio di una grande bolla e l’inevitabile fine di un sistema finanziario troppo anziano e corrotto.
Questo saggio fa sorgere parecchi dubbi sulle ragioni della nascita dell’Euro, poiché “per come è stato congegnato, non è fatto per durare indefinitivamente, né per unire: ha svolto, e ora porta a termine, uno “sporco” lavoro: trasferire capitali, industrie, tecnici qualificati, potere politico dai Paesi periferici a quelli forti. Ha funzionato come una pompa economico-finanziaria che trasferisce risorse dai Paesi deboli ai Paesi forti” (p. 9). Di fatto la BCE impedisce la sovranità monetaria.
La Banca Centrale Europea non può comprare i titoli di debito pubblico sui mercati primari, perché non è stata progettata per impedire le speculazioni (il compito fondamentale delle banche centrali). Sembra “sempre più evidente che la speculazione sui titoli pubblici e il fenomeno dello spread sono stati ricercati dai governi, o attraverso i governi, per creare le condizioni di paura sociale che permettono di comprimere salari, welfare e partecipazione democratica”. Questa cosa fa comodo alla Germania, al Regno Unito, agli Stati Uniti e a tutti i grandi speculatori finanziari.
Della Luna apprezza il pensiero dell'economista Keynes, ma ritiene che per riapplicare la sua filosofia al mondo finanziario di oggi è necessario cambiare “certi presupposti patogeni”: bisogna riprogettare la moneta e bisogna rendere “l’economia reale, pubblica e privata, del tutto autosufficiente, in quanto moneta e credito, rispetto al casinò della finanza, così che in questo entri solo chi vuole” (p. 37). Bisognerebbe progettare un sistema monetario innovativo e anche sistemi fiscali più equi: una banca come “Wells Fargo dichiara 69 miliardi di profitti e paga il 3,9 per cento di tasse” (p. 56). E andrebbe severamente limitato il trading algoritmico automatizzato e pilotato dall’alto.
Questa pubblicazione offre perciò molto riflessioni originali sul signoraggio bancario, sui finanziamenti produttivi che non indebitano gli Stati, sull’eliminazione delle tasse, sul grande potere della disinformazione delle classi dirigenti e naturalmente sul grande inganno dell’austerità (ai superricchi e alle banche i soldi arrivano quasi sempre, anche in caso di disonestà estrema).
Infatti Della Luna pensa a uno Stato moderno, che “si finanzia direttamente emettendo moneta, e non con le tasse, che hanno invece la funzione di ridurre la liquidità dell’economia quando essa sia esuberante”. In tutti i casi, “illogico e superfluo è che lo Stato, per finanziarsi, contragga debiti con terzi, con investitori, che paghi interessi su tali debiti” (p. 209). La BCE è quindi una banca centrale ideata per fare gli interessi delle banche private e delle caste della finanza.
Il capitalismo finanziario non rispetta il libero mercato, ma è una forma di pianificazione subdola e parassitaria, paragonabile alla pianificazione fascista e comunista: “è il modo in cui allochiamo il capitale. E non è gratuito. Il settore finanziario dell’economia americana si è preso più di un terzo dei profitti delle imprese nel 2008. Si è preso il sette per cento dei salari e delle retribuzioni” (Timothy Snyder, in Novecento. Il secolo degli intellettuali e della politica, Laterza, 2012, p. 355).
La pianificazione oligarchica europea permette alle banche italiane di ricevere la “liquidità dalla BCE pagandola l’1 per cento”, anche se “la prestano a tassi tra l’8,5 e il 21,3 per cento a seconda del tipo di prestito – e questo non è usura per la legge italiana, perché le banche, operando appunto come cartello monopolista, di concerto e nell’interesse comune a se stesse, tengono alti i tassi di riferimento per la determinazione della soglia d’usura” (p. 202).
Purtroppo “La macroeconomia della moneta funziona secondo principi completamente diversi da quelli dell’economia domestica e di quella aziendale. Non è intuibile in base all’esperienza. Però all’opinione pubblica, al contribuente, all’imprenditore e all’elettore si fa credere che funzioni come quest’ultima, e in tal modo si può fargli accettare il paradigma monetarista della scarsità, del debito come colpa e del mercato come giustizia, quindi certe forme di sfruttamento e di frode, senza che protesti”.
Comunque per scongiurare l’ulteriore e fatale aumento degli interessi passivi che causerebbero un collasso globale, c’è la necessità di creare “un tipo di mezzi monetari esente da debito e idoneo a estinguere l’indebitamento. E necessita che questa moneta venga destinata a produzione e infrastrutture utili anziché alla speculazione. Altrimenti non si esce dalla piramide rovesciata di 4 milioni di miliardi di Dollari di debito mondiale”. Qualcuno sarebbe costretto a cercare la guerra.
In ultima analisi, le classi dirigenti tedesche non temono la fine dell’Euro, ma hanno la grande paura di perdere i vantaggi acquisiti all’interno del mercato privilegiato dell’Unione Europea. E l’Italia è diventata la nazione più ingiusta e più assurda del mondo e il cimitero vivente della crescita. Comunque, Euro o non Euro, a mio parere la questione fondamentale è la sopravvivenza di una quota vitale di cultura politica federalista nelle menti dei grandi burocrati dell’Unione Europea. In ogni caso la cultura europea sarà salvata dalle menti e dalle azioni dei giovani.
Nota 1 - Altiero Spinelli e Robert Schuman sognavano l’Europa Federale e non una casta di burocrati che impone commissariamenti economici e finanziari anomali e non agisce quando non si rispettano i diritti umani, come nel caso delle aggressioni e delle torture della polizia al G8 di Genova (www.processig8.org, con servizio multilingue in inglese, francese, tedesco e spagnolo).
Nota 2 - Richard Werner ha dimostrato la ricorrente dannosità dell’antiquato e feudale monopolio dell’offerta monetaria, nel saggio New Paradigm in Macroeconomics.
Nota 3 - La Tobin tax è una tassa che limita gli eccessi delle speculazioni e “graverebbe sui traders, che comprano per rivendere nel brevissimo o all’istante, più volte al secondo, ma non sugli investitori finanziari e industriali, che sono gli unici che interessi trattenere e attrarre. Quindi la Tobin tax sarebbe utile anche se introdotta da un solo Paese”.
Nota 4 - La Germania non è così corretta come vorrebbe far credere e “bara sui dati: il suo debito pubblico è inferiore al 90 per cento del Pil” solo perché esclude dal calcolo il debito previdenziale e il debito degli enti locali. E le banche tedesche hanno i conti impestati dai derivati.
Nota 5 - Lo Stato italiano “potrebbe costituire una banca sua propria, darle come patrimonio i suoi beni alienabili, e farla finanziarie all’1 per cento dalla BCE, a norma del Trattato di Lisbona, e con quei soldi finanziarie i necessari investimenti e il riacquisto dei propri bonds” (i titoli di debito).
Nota 6 - Della Luna propone “la possibilità di procedere alle possibili compensazioni tra i reciproci debiti-crediti tra i Paesi europei -operazione che porterebbe a un notevole alleggerimento della loro mole, e i PIIGS in particolare si libererebbero di circa metà di essa” (p. 353).
Nota 7 - A ben pensare, in qualsiasi nazione, “Se un governo, un ministro, un direttore di ufficio fiscale, per incassare un miliardo in più di tasse, fa perdere al Paese dieci miliardi di capitali, posti di lavoro e aziende produttive, o è incompetente, oppure vuole sabotare il Paese” (p. 352).
Nota 8 - Gli stati anglosassoni non sono mai caduti in default negli ultimi duecento anni, tranne un quasi default del Regno Unito dopo la Seconda Guerra Mondiale e qualche default di un singolo Stato americano. Il Canada, l’Australia e la Nuova Zelanda non hanno avuto problemi. E in genere i default di Stato sono più legati ai debiti domestici e meno al debito estero (Reinhart e Rogoff, Questa volta è diverso. Otto secoli di follia finanziaria, il Saggiatore, 2010). Perciò, dati i grandi debiti domestici degli Stati Uniti e i grandi debiti da carta di credito nel mondo anglosassone, una domanda sorge spontanea, non è che ai padroni occulti delle borse di Londra e di New York piace giocare con i mazzi di carte e i sistemi algoritmici truccati?
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