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Euro-divergenze inquietanti

I dati di febbraio sull’indice dei prezzi al consumo euro-armonizzati sembrano indicare l’emersione di una tendenza che, col senno di poi, appare persino banale. Ci sono paesi dell’Eurozona che sono in deflazione o stanno per entrarvi, ed altri che sembrano viaggiare verso la normalizzazione delle dinamiche di prezzo. Al primo gruppo appartengono i paesi in sofferenza macroeconomica. Purtroppo, tali paesi sono anche quelli col maggior rapporto di indebitamento, e questo è un problema molto serio.

Per l’Italia, il tendenziale finale di febbraio è sceso allo 0,4%, mentre per la Germania è stabile all’1% (ma sul domestico risale all’1,2%), e per la Francia risale dallo 0,8 all’1,1%. Il Portogallo è in deflazione per lo 0,1%, così come per l’Irlanda. La Spagna è a +0,1%. Quindi, leggendo i dati in modo del tutto grezzo ed ipersemplificato, pare avere ragione (in parte) la Bce con le sue previsioni: la situazione di disinflazione in atto in Eurozona è un fenomeno transitorio, almeno per alcuni paesi.

Ovviamente, servirebbe disaggregare tali dati per identificare quanta parte delle dinamiche è imputabile alle componenti volatili di alimentari ed energia, ed anche a tariffe amministrate ed imposte indirette. Guardando le cose dalla superficie (cioè in modo superficiale), appare però che i paesi a maggiore stress macroeconomico (o più propriamente in dissesto) sono quelli che stanno manifestando dinamiche disinflazionistiche o più propriamente deflazionistiche. La cosa non stupisce, visto che paesi in recessione per i postumi di una crisi finanziaria e che stanno anche vivendo un credit crunch bancario non sono attesi avere tassi di inflazione “normale”.

Ma il punto è proprio quello: i paesi ad alto rapporto di indebitamento subiscono un danno maggiore da situazioni di prezzi in frenata o addirittura calanti. Il Pil nominale cresce poco o nulla o addirittura si contrae, il rapporto debito-Pil sale spontaneamente, e rischia di diventare insostenibile. Ovviamente (sempre in prima approssimazione) possiamo anche inferire che i paesi in disinflazione o deflazione stanno recuperando competitività, e questo può aiutare il riequilibrio, ma sono molte le cose che possono andare storte, e comunque una considerazione del genere è valida per paesi che hanno un export molto elevato in percentuale del Pil, per lo più piccole e piccolissime economie aperte. E l’Italia non appartiene a quella tipologia di paesi.

Ora i tedeschi si lamenteranno di avere tassi reali sempre più negativi, situazione che inietta uno stimolo indesiderato nella loro economia, oltre a rendere nervosi i detentori di titoli obbligazionari, compagnie di assicurazione in prima fila.

Problema vecchio come l’euro, in un contesto di economie non particolarmente flessibili e quindi tali da adattarsi con poco attrito al mutare delle condizioni macroeconomiche (sempre entro limiti di fisiologia, comunque, e non certo dopo una crisi finanziaria di portata storica). Quello che è certo è che il nostro paese rischia molto, da una simile congiuntura. E con il nostro rapporto debito-Pil restiamo un grave incidente che attende di accadere.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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