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Essere umani da paesi diversi: la questione del permesso di soggiorno

Oggi presentiamo un articolo realizzato da Nagi Cheikh Ahmed durante il corso di Citizen Journalism - Laboratorio di Autonarrazioni, realizzato da Traparentesi Aps in collaborzione con Kosmopolis Aps. I partecipanti durante il percorso hanno scelto autonomamente le tematiche su cui lavorare e in molti hanno deciso di raccontare una delle problematiche che maggiormente affligge i cittadini di origine straniera che arrivano in Italia: la questione del permesso di soggiorno. Una questione cara all'autore, che con il video "L'Attesa. La vita nel limbo" ha ricevuto il secondo premio al Concorso di narrazione migrante organizzato da Cidis la scorsa primavera (lo trovate qui). Con questo articolo, Nagi Cheikh Ahmed ha provato a mettere insieme i lavori realizzati durante il corso raccontando le disavventure e le riflessioni di chi fa richiesta di permesso di soggiorno nel nostro Paese. 

Buona lettura!

Essere umani da paesi diversi, sono diversi i colori, il genere e le etnie… ma sono tutti uniti davanti alle difficoltà che affrontano ogni giorno, per la procedura che impone il Ministero dell’Interno e la Questura di Napoli ai rifugiati e agli immigrati. Donne e uomini che vogliono avere l’asilo politico o vogliono rinnovare il loro permesso di soggiorno. 

Suad, una ragazza libica, è stata costretta a lasciare il suo Paese dopo la guerra, lei con la sua famiglia (la madre e due sorelle). Suad ha potuto avere il visto per venire qui in Italia per studiare, dopo gli studi ha cambiato il suo permesso giustificandolo con il lavoro, oggi lavora e vive a Caserta. Ma il suo problema è vivere lontano dalla sua famiglia poiché non è ancora stata in grado di entrare in Italia. L’ennesimo ed ultimo tentativo che ha fatto è stato di andare in Turchia e fare domanda lì per il visto della sua famiglia, ma date le condizioni che le erano state poste (ingenti somme di denaro da avere su un conto in banca, contratti di lavoro per tutti i membri della famiglia, etc.) il permesso è stato loro negato. Tutte queste condizioni impediscono alla sua famiglia di ottenere un visto e rimangono in ostaggio lì. A causa della guerra non possono tornare in Libia, né possono rimanere in Turchia perché lì il permesso viene concesso per solo un anno. Con la storia di Suad abbiamo appreso come i consolati italiani per lo svolgimento delle pratiche burocratiche si affidano a società esterne, i richiedenti di visto o asilo sono costretti a pagare anche cinquecento euro solo per poter proporre la loro domanda. In questo caso l’Unione europea non ha lasciato altra strada sicura che non sia il mare.

Questi disagi non sono sufficienti per raggiungere l’Europa, ma anche per chi è già arrivato le tragedie non finiscono. Come Elisa, una ragazza russa, intervistata da Lourdes Ramirez. Vive a Napoli da due anni, sta cercando di rinnovare il suo permesso di soggiorno per motivi di studio e dopo aver passato una giornata in fila dinanzi l’ufficio immigrazione della questura, alla fine, ha potuto avere un appuntamento dopo quasi un anno. Dopo otto mesi è stata convocata per ricevere il permesso di soggiorno della durata retroattiva di un anno. Durerà solo due mesi quel documento, poi dovrà cominciare di nuovo la lunga trafila. 

Da quando Matteo Salvini nel marzo 2018 con il “decreto sicurezza” ha cancellato il permesso di soggiorno per motivi umanitari, la vita di numerosi rifugiati e immigrati è peggiorata enormemente. Malik Fall, mediatore culturale senegalese dice “le nostre condizioni peggiorano continuamente, donne e uomini che avevano già avuto il permesso di soggiorno umanitario non riescono a rinnovarlo perché anche per quell'istituto giuridico, internazionalmente riconosciuto, lo Stato italiano ora pretende un contratto di lavoro. Queste persone – prosegue Fall – hanno già intrapreso un processo di integrazione ma rischiano di divenire clandestini… e anche il nuovo governo non intende ancora cancellare il decreto “Sicurezza”. Noi come Movimento Rifugiati e Migranti di Napoli abbiamo manifestato davanti la questura e lotteremo finché non obbligheremo la cancellazione di questo ingiusto decreto. Lavoriamo per facilitare la procedura burocratica e le nostre condizioni non consentono ulteriori attese”.

Queste sono parte delle storie raccolte nel laboratorio di Citizen Journalism fatto con le associazioni TraParentesi e Kosmopolis, queste storie impongono a tutti noi una riflessione sulle condizioni patite dai migranti quando si relazionano alle Istituzioni italiane e suggeriscono un cambio di rotta se si vuole continuare ad essere in uno stato di diritto. 

Nagi Cheikh Ahmed 

Napoli, 19 novembre 2021

Questo articolo è stato pubblicato qui

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