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Essere singolari, molteplici, non-essere: il mal-essere della Modernità (Parte II)

Essere Ricardo Montero di Gianfranco Pecchinenda, Lavieri edizioni, S. Angelo in Formis, 2011, pagg. 94, € 8.90. Qui la I parte

 

Avvolto nei suoi dubbi, Montero non riesce affatto – e come potrebbe – a liberarsi dal dubbio ontologico esploso in lui quando ha percepito l’esistenza di almeno un altro Ricardo Montero (un Montero “2.0”?), che il Montero “1.0” teme possa sostituirsi a lui, rubargli gli spazi in cui fino ad allora ha vissuto – ha creduto di vivere. Fino a vedere se stesso, davanti a lui, come in La reproduction interdite di René Magritte, accogliere fra le braccia la figlioletta che esce da scuola… per poi finire per essere sostituito da costui come voce narrante, in una vertigine in cui il gioco di specchi fra i due Montero esplode in un vortice di riverberi e rifrazioni che si conclude in una provvisoria – e illusoria – verità: “essendo stato, non avrei più potuto evitare di essere ancora” (Pecchinenda, p. 90).
 
Certezza effimera – ed evanescente – perché subito, nella Postfazione, negata dalle parole di un terzo personaggio letterario, l’Augusto Pérez – inventato? scoperto? – da Miguel de Unamuno, che ricorda a Montero come, “… ovviamente, non possiamo avere un corpo […] Noi siamo, ma non nel senso in cui gli altri esseri sono […] Ma questo, Ricardo, lo capirà tragicamente solo quando oramai sarà troppo tardi” (ibidem, p. 92). Perché, arrivati a questo punto della vicenda narrata da(i) Montero e da un quarto personaggio, Camillo De Dominicis, ogni essere della letteratura è legittimato a fare irruzione nel testo: la pagina stampata del libro che stringiamo fra le mani diventa un omologo della pagina di Facebook da cui il romanzo ha preso le mosse, riprendendosi un primato, quello del luogo dove sono nate in origine le identità immaginarie, e dove, nello stesso modo, alla maniera di Pasavento, le identità reali (qualsiasi cosa ciò voglia dire) trovano il luogo della propria immortalità mentre si “spossessano”, risolvendo così un dilemma cruciale, denunciato già alle origini della modernità da Amleto: quell’Essere o non essere che trova il suo scioglimento nel diventare immortali come personaggi letterari, liberandosi però del peso dell’esistenza (Carroll, 2009, p. 49).
 
Pure, Ricardo “1.0” ci aveva provato, nella prima parte del romanzo, a documentare la solidità della sua identità, della sua esistenza, della sua biografia, descrivendo la storia della sua stirpe, gli intrecci che la hanno composta, i legami incrociati con le sue origini lontane nel tempo e nello spazio, richiamandola attraverso la ricostruzione meticolosa, quasi biblica, della propria genealogia, delle ascendenze cui doveva la sua esistenza, da parte di madre e di padre, inseguendo i suoi antenati, in questa ricostruzione, attraverso i continenti e le vicende che li avevano separati dalle loro origini per poi ricondurveli per sentieri contingenti e allo stesso tempo fatali. E ancora, attraverso alcuni momenti particolari, “eventi fatali” della sua biografia.
Punti di svolta nella sua vicenda personale che si sono attualizzati fra le infinite possibilità che si presentano ad ognuno di noi continuamente. Per dare corpo a se stesso, alla sua esistenza, alla sua identità, alla sua unicità e riconoscibilità. Narrandosi, insomma, l’unico modo che conosciamo per attribuirci un’identità, legittimarci come soggetti, una delle direzioni in cui si muove la ricerca di Pecchinenda studioso (Pecchienda, 2008).
 
L’autore è un sociologo, che già in passato ha scritto narrativa (2009), e del suo raccontare sono parte integrante le riflessioni sugli oggetti delle sue ricerche: l’identità individuale nella sua dimensione sociale con alcuni suoi corollari come la funzione della memoria, il rapporto col proprio padre, l’atteggiamento degli uomini della modernità nei confronti della morte, la perdita del senso che sembra marcare la società occidentale contemporanea, la narrazione del sé.
Temi che traspaiono apertamente dal testo, attraverso l’intreccio fra il racconto dei fatti, la descrizione degli stati d’animo del protagonista – dei protagonisti – i brevi passaggi saggistici che commentano e contrappuntano la narrazione (p. 26; p. 32).
 
Una nuova interpretazione dell’impianto del romanzo-saggio, quasi, senza inseguire, naturalmente, le architetture monumentali di scrittori come Thomas Mann o Robert Musil che ai loro tempi conclusero l’esperienza del romanzo borghese, ma in forma condensata, breve, puntuale, quasi estemporanea, a non appesantire la fluidità del narrare.
 
Si potrebbe dire una – inconsapevole – traduzione postmoderna della sua forma, per la sua brevità, prima di tutto, ma anche per l’impianto fantastico del testo e per l’uso rigoroso della prima persona, per cui, piuttosto che mettere in scena un alter ego che faccia da intermediario per una narrazione di fatto autobiografica – come nel caso dell’Ulrich Anders di Musil (1962) o degli uomini della famiglia Buddenbrook in Mann (1961) – il rispecchiamento avviene materializzando direttamente un proprio sosia, con cui innescare un doppio confronto: quello fra i due Montero, quello fra i Montero e il lettore.
 
Un tentativo, ancora una volta, di narrarsi, nella molteplicità dei tratti di una identità che diventa sempre più fragile e incerta, e di cui l’immagine di un duplicato che dialoga con l’originale (ma cosa vuol dire?) sembra una delle metafore possibili – fino al rischio dell’annullamento finale, estrema soluzione al malessere della modernità.
 
Letture
Baudrillard J., L’illusione dell’immortalità, Armando, Roma, 2007.
Berger P., Robert Musil e il salvataggio del sé, Rubettino, Soveria Mannelli, 1974.
Borges J. L., Manuale di zoologia fantastica, Einaudi, Torino, 1979.
Borges J. L., Il libro di sabbia, Rizzoli, Milano, 1977.
Campbell F., Padre e memoria, Ipermedium, S. Maria Capua Vetere, 2011.
Carroll J., Il crollo della cultura occidentale, Fazi, Milano, 2009.
Fuentes C., Aura, Il Saggiatore, Milano, 2011.
Manguel A., Tutti gli uomini sono bugiardi, Feltrinelli, Milano,2010.
Mann T., I Buddenbrook Decadenza di una famiglia, Einaudi, Torino, 1961.
Musil R., L’uomo senza qualità, Einaudi, Torino, 1962.
Poe E. Allan, Tutti i racconti e le poesie, Sansoni, Firenze, 1974.
Pecchinenda G., Homunculus, Liguori, Napoli, 2008.
Pecchinenda G., L’ombra più lunga, Colonnese, Napoli, 2009.
Pecchinenda G., La verità è finzione: Manguel e il grande dubbio della modernità, in “Quaderni d’Altri Tempi” n. 29, 11/2010,
http://www.quadernidaltritempi.eu/rivista/numero29/bussole/q29_b01.htm
Rulfo J., Pedro Páramo, Einaudi, Torino, 1977.
Vila Matas E., Dottor Pasavento, Feltrinelli, Milano, 2008.
Walser R., Jakob von Gunten, Adelphi, Milano, 1970.
Walser R., L’assistente, Einaudi, Torino, 1978.
 

di Adolfo Fattori

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