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Emergente sei tu! E le Cronache di un DIY bistrattato.

Parliamone...

Quando si parla di attualità in campo musicale niente è più attuale del discorso sul movimento Do It Yourself, che fin dagli anni sessanta ha portato il movimento controculturale delle sette note dell’epoca a scagliarsi contro l’omologazione delle produzioni. Il tutto sfociò in quell’enorme calderone che era la cultura hippie fino alla nascita dei free festival e del sempre più compianto Woodstock. In Inghilterra il punk, che negli anni settanta vedeva la sua nascita e introduceva pensieri ideologici e politici molto più presenti, sembrava essere l’esatto opposto mentre invece la fusione dei due pensieri risultò molto naturale per comunità d’intenti. Il Do it Yourself in Italia prese piede alla fine degli anni settanta dove fu fisiologica la nascita di autoproduzioni sia in campo cartaceo (con la nascita delle fanzine) che in quello musicale che seguivano le occupazioni e le aggregazioni di massa in grado di portare avanti una filosofia indipendente.
Per questo articolo, per dovere e piacere di cronaca, mi sto ispirando ad un’eccellente tesi disponibile online sull’argomento scritta da Francesco Alunni dal titolo "DO IT YOURSELF- un’indagine su un caso di controcultura underground in Italia" che riporta in modo molto approfondito la nascita e la crescita del movimento, il documento è corredato inoltre da interviste a chi il DIY lo pratica e che non stenta a menzionare le migliorie che si potrebbero attuare per renderla una realtà forte e reticolare.
Il problema infatti sembra essere quello della comunicazione e dell’ingannevole pensiero che la "scena" indipendente, autoprodotta e organizzata sia una sola. Le realtà sono molte e dislocate in tutto il territorio, alcune regioni hanno più possibilità di altre a livello di spazi e opportunità per l’organizzazione di eventi gratuiti o la promozione e coordinamento di band locali e senza i comunque affollati meetting DIY che ancora si riescono ad organizzare poche rimangono le possibilità di un contatto e uno scambio proficuo fra queste realtà. Ultimamente il dibattito si è ancora più acceso da quando un noto conduttore ( e non citerò il nome perchè sono convinta si cerchi su Google almeno tre volte al giorno) di un ancora più noto programma di Mtv ha deciso di rivendicare attraverso il blog sul suo myspace la "creazione" e la diffusione del Do It Yourself, rendendolo un movimento affine al suo lavoro e alla sua carriera personale. Considerando che l’emittente di cui si parla non ha nulla a che fare con la controcultura e che anzi, molto spesso tende a crearne una proponendo un tipo di musica che poco concerne la filosofia del movimento, si può ben capire come alcune affermazioni possano scatenare una rivolta, sì una rivolta internettiana. D’altraparte ci si deve pur adeguare ai tempi e se internet è luogo di informazione purtroppo capita che spesso attraverso la confusione nella mente di alcuni individui si finisca nella disinformazione o addirittura nella propaganda arruffapopoli.
Tenendo presente quindi gli ultimi sviluppi di questo concetto allargherei il discorso anche alle realtà musicali che abitano i sobborghi metropolitani, tanto per renderla più poetica, che a parte il lavoro per campare si dedicano alla propria band o al proprio progetto e che magari vorrebbero vivere di musica, ma continuano ad avere i piedi ancorati al pavimento, che dividono le spese e il tempo tra prove, affitti (di strumenti e di sale), fonici, produzione, spostamenti e quant’altro. L’artista “emergente” rimane emergente a vita perchè non supportato adeguatamente da chi ha il potere di farlo e c’è da ridere se consideriamo che alcuni di questi artisti impiegano anni ad arrivare almeno al primo gradino di una scala scivolosa come quella della diffusione popolare, perchè non si parla tanto di desiderio di notorietà, quanto quello di farsi ascoltare e di far passare il proprio messaggio. Eppure in un’ottica di mercato quello che il musicista vuole, scrive, concepisce, suda e cambia, risparmia e promuove risulta non essere importante tanto quanto l’effettivo potenziale commerciale di un prodotto. A Torino ne ho visti tanti di artisti così, di molti ho scritto e molti li ho conosciuti, sono convinta che però sia un discorso che possa valere per gran parte del territorio italico.
Non solo i musicisti poi, anche chi organizza eventi al fine di spingere avanti il talento viene soffocato da mani più grandi e più forti e la rabbia che ti prende quando puoi constatare che a vincere sono: due accordi, la frangia piastrata e un nome esotico rispetto al vero saper fare musica è indescrivibile.


E dunque parliamone, di chi se la canta e se la suona arrivando a dire che lavorare in un’emittente televisiva come Mtv possa aiutare il DIY (che se potesse se la inghiottirebbe Mtv), dell’emergenza di chi ancora si sente dare dell’emergente, delle orecchie di chi non vuol sentire che generano una sordità colpevole e pericolosamente qualunquista.

Ora è il vostro turno.


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