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Elsa Fornero e la questione patrimoniale

Carsicamente, e stucchevolmente, si torna a dibattere di patrimoniale. Non temete: data la condizione del paese, ne arriveranno molte. Straordinarie e non

Sta suscitando il solito rigurgito pavloviano l’editoriale di Elsa Fornero su La Stampa del 14 gennaio, dove l’economista sostiene la necessità di mettere mano alla tassazione patrimoniale per una molteplicità di obiettivi, alcuni reciprocamente contraddittori: dalla riduzione della disuguaglianza al taglio dello stock di debito e fino al riequilibrio di fonti di gettito, quindi si presume in condizioni di invarianza complessiva del medesimo.

So che è difficile commentare argomenti del genere senza causare coazioni a ripetere. Proviamoci comunque. Intanto, mi pare che Fornero compia un errore da matita blu: la patrimoniale, a suo giudizio, andrebbe posta sul patrimonio immobiliare, “visto che quello mobiliare ne è già gravato”.

SOLO IMMOBILI, MA PERCHÉ?

Anche il patrimonio immobiliare è robustamente gravato da imposizione, a dire il vero. Stupisce che un’economista esperta come Fornero se ne esca con una argomentazione così infondata. Potremmo magari discutere dell’opportunità di tassare l’immobiliare perché, per definizione, non è mobile, a differenza della ricchezza finanziaria.

Il ragionamento fatto da Emmanuel Macron nel 2018 per ridisegnare la patrimoniale francese, da Impôt de solidarité sur la fortune (ISF) a Impôt sur la fortune immobilière (IFI), per spingere i ricchi ad uscire dalle quattro pareti della loro non troppo produttiva comfort zone. Ma Fornero non esplicita questa considerazione, quindi non possiamo attribuirle il relativo pensiero.

Segue indicazione delle cause di aumento dell’indebitamento, che è sempre utile ripassare:

Le difficoltà finanziarie di un Paese nascono dalla compresenza di un debito pubblico elevato (in rapporto al Pil), che occorre rifinanziare, nel frattempo sostenendo gli interessi, oppure rimborsare, trovando perciò le risorse necessarie alla sua (graduale) estinzione; una bassa crescita economica; un disavanzo di bilancio strutturale, risultante da entrate fiscali stabilmente inferiori alla spesa; un tasso di interesse più alto del tasso di crescita dell’economia.

Se manca la crescita, il rapporto d’indebitamento aumenta. Ottimo aver ricordato l’effetto palla di neve: un tasso d’interesse più alto di quello di crescita dell’economia. Il punto è fare un discorso pubblico, di comunità nazionale, per arrivare a stabilire quale è la soglia di spesa pubblica e quindi di entrate che ci si prefigge. Trenta per cento del Pil? Quaranta? Cinquanta? Settanta? Altro? Ecco, direi che queste sono le fondamenta. Ricordando sempre, come fa Fornero, che il debito odierno rappresenta maggiori tasse domani, a meno di ricorrere al default e alla ristrutturazione.

DEFICIT E POPULISMO

Secondo Fornero, il deficit è figlio del populismo. Se vale questa argomentazione, si giunge a inferire che l’Italia è piagata dal populismo da decenni. Ricordate il deficit primario in doppia cifra dei tempi di Bettino Craxi? Ecco, quello. Sappiamo anche come si tende a giustificare quel tempo e i precedenti: c’era il Pci, la Guerra Fredda, poi il terrorismo. E’ sempre tempo di cavallette, nella storia di questo paese. Vere e presunte. Forse è proprio l’Italia ad essere la cavalletta di sé stessa.

Fornero ribadisce che non tutto il debito è negativo. C’è quello “buono”, nella tassonomia di Mario Draghi, che serve ad accrescere la dotazione infrastrutturale e il potenziale di crescita del paese, a beneficio delle prossime generazioni. Senza dubbio. Purtroppo, la natura umana tende a cercare scorciatoie e scappatoie, chiamando “investimenti” quella che è spesa corrente manco troppo camuffata. Quindi, come ho già avuto modo di argomentare, si fa presto a parlare di “debito buono”.

Come detto, per Fornero la patrimoniale servirebbe anche per ridurre la diseguaglianza sulla ricchezza, che negli ultimi decenni è fortemente aumentata ovunque, anche in conseguenza del crollo dei tassi d’interesse. Partendo dalla (fallace) premessa che la patrimoniale deve essere elettivamente immobiliare, Fornero passa a replicare alle obiezioni, anche se mi pare lo faccia in modo non particolarmente analitico né lineare. Mancano valori catastali aggiornati? Fornero risponde che

Si potrebbe però stabilire un imponibile minimo piuttosto elevato o limitare l’imposta al momento della trasmissione ereditaria, così come la si potrebbe usare per alleggerire l’imposizione sul reddito da lavoro o evitare un aumento netto della pressione fiscale.

Che, in tutta franchezza, non capisco cosa c’entri con le difficoltà di valorizzazione della base imponibile. Ignoriamo per ora questo aspetto, come anche quello sulla minore liquidità di questi attivi patrimoniali: il menù offerto da Fornero prevede di usare una franchigia elevata, spostare l’imposizione sulla successione (che è una patrimoniale, ovviamente), e ancora usare il gettito aggiuntivo per mantenere invariato quello complessivo.

Come si nota, si tratta di un discreto mischione tra tecniche di imposizione e destinazione del gettito. Tutto in un paragrafo. Se il gettito deve restare invariato, viene meno la premessa sull’uso della patrimoniale come strumento per ridurre il debito. A meno di sottintendere che l’imposizione patrimoniale, in luogo di quella reddituale o sui consumi, determini effetti meno negativi sull’offerta di fattori di produzione e, per questa via, innalzi la crescita.

CHE FARE?

Giunti a questo punto, come commentare il sasso lanciato dalla professoressa Fornero? Nei soliti modi: un paese con un’evasione come quella italiana avrebbe il dovere morale di risolvere questa piaga, prima di parlare di patrimoniale o anche di aumenti Iva, come invece abbiamo sentito e sentiremo, con la canzoncina di “spostare la tassazione delle persone alla cose”.

Chi mi segue, sa come la penso: se maggior gettito porta fatalmente a più spesa anziché a meno tasse, il percorso dell’inferno è lastricato di buone intenzioni. Segue immancabile l’altra argomentazione: e tagliare la spesa? Questo è lo slogan di Giorgia Meloni: riduciamo le tasse tagliando la spesa. Peccato che le cose non stiano affatto in questi termini: sarebbe “riduciamo le tasse (sul lavoro) aumentando il deficit, ma a voi diciamo che tagliamo la spesa, ad esempio quella del reddito di cittadinanza”. Ribadisco: come i grillini che volevano ridurre il debito pubblico vendendo le auto blu. Che tenerezza, ricordate?

E quindi? Quindi, come già avvenuto in passato, quando ci avvicineremo a un nuovo punto di rottura, arriverà un salvatore della Patria che metterà una patrimoniale straordinaria, proseguendo nella compensazione tra debito pubblico e ricchezza privata.

E allora, appunto, tagliamo la spesa! D’accordo, ma quale? Quella delle pensioni? Sta già accadendo, ma col solo scopo di contenere l’onda di piena che rischia di affogarci tutti, causa demografia. La prospettiva resta quella di avere pensionati che moriranno di fame e, per beffa, senza neppure aver ridotto la pressione fiscale di uno iota. Allora la spesa sanitaria? Certo, come no. Oppure quella per i dipendenti pubblici? Perché no? Ma occorre prima riscrivere un enorme piano strategico per capire che fare della PA, come farlo e con quante risorse e costi.

Alcuni (o molti) tra voi a questo punto diranno: sì ma che ci dici della diseguaglianza? Non puoi cavartela così! E infatti non intendo ignorare il punto. Non servono pensose ricerche accademiche, per comprendere che la regressività del sistema tributario deriva dalla presenza delle cedolari secche sulla ricchezza finanziaria (e immobiliare).

TASSARE (DIVERSAMENTE) I FRUTTI DEL PATRIMONIO

E allora? Allora, direi che potremmo tassare diversamente i frutti del patrimonio, non il patrimonioNe ho scritto quasi quindici anni addietro: proventi finanziari e immobiliari in Irpef, dopo una più o meno generosa franchigia. Oppure, un sistema di cedolari secche ad aliquota crescente in funzione dell’entità dei proventi, magari con una no-tax area per i piccolissimi risparmiatori. Soluzioni di questo genere sono all’opera in molti paesi europei.

Il punto è tuttavia sempre quello: alzare il gettito complessivo per rincorrere e alimentare nuova spesa o per ridurre le aliquote d’imposta, ad esempio sul lavoro? Discorso identico per il recupero di evasione, i cui proventi andrebbero destinati a ridurre le aliquote, con gettito invariato. Altrimenti ci incaprettiamo.

Quindi, tutto futile e inane: un paese morente sta trotterellando verso una (ad oggi) ineludibile serie di patrimoniali straordinarie, al solo fine di restare solvibile e reggere il peso di un debito pubblico che la demografia renderà vieppiù insostenibile, anche se non domattina.

E anche a questo giro, abbiamo dibattuto di patrimoniale. Alla prossima.

Foto di Nattanan Kanchanaprat da Pixabay

Questo articolo è stato pubblicato qui

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