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Egitto, le notti nelle stazioni di polizia: così vengono puniti gli ex detenuti

Ci sono Alaa Abed El-Fattah (nella foto all’epoca della campagna per la sua scarcerazione), il blogger protagonista della “rivoluzione del 25 gennaio”, e due co-fondatori del Movimento 6 aprile, Ahmad Maher e Mohamed Adel.

C’è “Ahmad” (non è il suo vero nome), l’attivista politico che hanno cercato in tutti i modi di far diventare un informatore della polizia e, di fronte ai suoi continui rifiuti, è stato picchiato e minacciato di essere torturato con l’elettricità.

E ce ne sono almeno altri 400, secondo una ricerca di Amnesty International che aggiorna quella del 2017, costretti a trascorrere anche 12 ore al giorno, dal tramonto all’alba, nelle celle delle stazioni di polizia egiziane.

Sono ex prigionieri usciti dal carcere dopo aver terminato di scontare condanne inflitte al termine di processi di massa gravemente iniqui. Molti di loro erano stati condannati solo per aver preso parte a manifestazioni pacifiche o in relazione alla loro attività giornalistica.

Nella maggior parte dei casi, durante il periodo di reclusione notturna, non sono previste visite né è possibile usare telefoni o computer portatili. Le celle sono sovraffollate, c’è poca aria e l’accesso ai servizi igienici è limitato.

Secondo la legge 99 del 1945, tuttora in vigore, le persone sottoposte a misure cautelari devono trascorrere le ore oggetto del provvedimento in casa, in modo che possano essere presenti in caso di controlli da parte dei funzionari che devono verificare il rispetto di tali misure.

Tuttavia, quella legge conferisce alla polizia ampi poteri di obbligare le persone a trascorrere il periodo in questione in una stazione di polizia qualora controllarle nelle loro abitazioni risulti difficile.

La legge inoltre punisce con un anno di carcere chi violi le misure cautelari, senza specificare cosa esattamente ne costituisca una violazione.

Misure cautelari del genere hanno un impatto assai duro sulla capacità di svolgere una vita normale durante le ore di libertà, limitando il diritto al lavoro, all’istruzione, alla vita familiare e alla vita privata. In alcuni casi, colpiscono anche il diritto a uno standard adeguato di vita.

L’obiettivo è il solito: sorvegliare e punire. Queste misure cautelari sono un ulteriore mezzo con cui le autorità egiziane cercano di consolidare il loro potere e diffondere un clima di paura e intimidazione.

 
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