• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Mondo > Egitto, domani la sentenza sui "test di verginità" contro le (...)

Egitto, domani la sentenza sui "test di verginità" contro le manifestanti

Domattina, se non ci sarà un rinvio, un tribunale del Cairo deciderà se assolvere o condannare il medico militare accusato di aver costretto un gruppo di detenute a sottoporsi a un “test di verginità”. Se vi sarà una condanna, sarà comunque di lieve entità: l’imputazione iniziale di stupro è caduta e sono rimaste quelle di “atti indecenti in luogo pubblico” (che, peraltro, era un carcere) e “disobbedienza a ordini militari”.

Quest’ultima sarebbe la “colpa” perfetta: significherebbe che le forze armate erano contrarie a usare quella forma di tortura e che un medico, pur sapendolo, si decise a eseguirli ugualmente. 

Quanto accaduto negli ultimi dodici mesi in Egitto non getta però una buona luce sulle intenzioni dei militari egiziani. Soprattutto quando hanno a che fare con le donne. In questo blog, abbiamo seguito passo passo quella vergognosa vicenda. Ricordiamone l’essenziale.

Il 9 marzo 2011, almeno 18 donne che stavano manifestando in piazza Tahrir al Cairo vennero arrestate e portate in un carcere militare. Diciassette di loro vennero detenute per quattro giorni. Alcune di loro dichiararono ad Amnesty International di essere state picchiate, colpite con scariche elettriche e costrette a denudarsi, per poi subire un “test di verginità” ed essere minacciate di un’incriminazione per il reato di prostituzione.

Prima di essere rilasciate, le donne vennero portate di fronte a una corte marziale e condannate a un anno di carcere con la condizionale per un serie di accuse pretestuose.

Di fronte allo scandalo mondiale, le iniziali smentite ufficiali crollarono. Un alto grado dell’esercito egiziano ammise dietro anonimato che, in effetti, quei “test di verginità” erano stati davvero effettuati. Aggiunse parole intrise di rabbia e misoginia nei confronti delle donne che in quel periodo prendevano parte alle manifestazioni.

Una di loro, Samira Ibrahim, 25 anni, sfidando i “lascia perdere” e i “chi te lo fa fare” ma anche vere e proprie minacce, con la sua denuncia ha dato vita all’inchiesta il cui processo dovrebbe terminare domani.

Nel frattempo, il tribunale amministrativo del Cairo ha messo fuorilegge la prassi dei “test di verginità” obbligatori.

Nell’ultimo anno, dicevamo, la violenza contro le donne è stata una vera e propria piaga che ha segnato e scandito lo svolgimento delle manifestazioni in Egitto.

Lo scorso dicembre, nel corso delle proteste di fronte alla sede del governo in cui sono rimaste uccise almeno 17 persone, due manifestanti sono state aggredite dai militari, picchiate, gettate a terra, prese a calci e trascinate via. Le immagini hanno fatto il giro del mondo, gettando ulteriore discredito sullo Scaf, il Consiglio supremo delle forze armate che mantiene il potere in Egitto.

Azza Hilal, 49 anni, intervenuta per difendere un’altra donna che era stata semi-denudata e picchiata, è stata colpita così violentemente alla testa, alle braccia e alla schiena da essere costretta a un ricovero di tre settimane. Soffre ancora le conseguenze del pestaggio: ha subito una frattura al cranio e ha ancora disturbi di memoria. Un mese fa, si è recata alla Procura e ha denunciato lo Scaf.

 Il 16 dicembre Ghada Kalam, 28 anni, esponente del movimento dei “Giovani del 6 aprile”, è stata picchiata e minacciata di stupro mentre stava prendendo parte a una manifestazione in piazza Tahrir. Dapprima i militari l’hanno circondata facendo gesti osceni e abbassando la chiusura lampo dei pantaloni, poi l’hanno picchiata alla testa mentre stava soccorrendo un’altra manifestante che aveva subito un pestaggio. È stata arrestata e trascinata verso il palazzo del parlamento. Una volta all’interno dell’edificio, ha continuato a essere picchiata e minacciata di stupro. Accanto a lei, altre sette donne venivano picchiate, soprattutto sulle parti intime.

Amnesty International ritiene che queste forme di maltrattamento e tortura siano attuate per sfruttare lo stigma associato alla violenza sessuale e di genere e siano usate per screditare, emarginare e dissuadere le donne dal prendere parte alla vita pubblica.

Nonostante le scuse e le annunciate indagini da parte dello Scaf, sulla base delle informazioni in suo possesso Amnesty International ritiene che poco o nulla sia stato fatto per dare giustizia e riparazione alle numerose donne che hanno subito violenza da parte dell’esercito e della polizia.

Domani, la giustizia egiziana ha un’opportunità importante di fronte a sé: dare il segnale che la tortura non rimane impunita e che non rimangono impuniti i suoi autori, anche se appartengono alle forze armate. C’è da sperare che questa opportunità non venga persa.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares