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Editoria: oltre Isabella Borghese e Transeuropa, annotazioni a margine di ‘altro’.

Il 29 ottobre 2010, Isabella Borghese su Facebook scrive in uno status pubblico:
Sabella Rose Orghese
Transeuropa decide di non pubblicare più i racconti di Rose. Rose SE NE FOTTE con la stessa eleganza e professionalità che ha avuto l'editore che non la pubblica più perché lei non gli prepara gratuitamente la piazza su Roma. così Rose li risistema da sé e aprirà un blog: UN POSTO PER SOFIA.
29 ottobre alle ore 11.58
 
 
A oggi, 4 novembre, si è arrivati a:
- 78 commenti diretti allo status sopra riportato;
- 93 commenti a una nota riassuntiva (sempre su Facebook) di Seia Montanelli pubblicata il 30 ottobre col titolo ‘il rischio d’impresa e l’editoria’ (link diretto dentro Fb: http://www.facebook.com/note.php?note_id=449547373137&id=1410847838 );
- 303 commenti al post apparso il 1 novembre sul blog di Loredana Lipperini, intitolato Sconcerti
E sicuramente molti altri rumors sparsi tra link, contro link, dichiarazioni singole e gruppi di discussione.
 
Nulla da aggiungere al fiume di interventi nel merito specifico quanto generale che la vicenda pare voler assumere in quanto sapientemente collocata in una realtà italiana che scricchiola e perde materiale cerebrale non dal 29 ottobre 2010 e nemmeno da tempi recenti.
Nulla da aggiungere ai diversi stati d’animo scatenati, tutti legittimi o meno, a seconda del punto di vista di chi legge e ritiene di sentirsi partecipe.
 
Giusto due annotazioni a margine (che non sono accusa diretta a qualcuno in particolare né tentativo di polemizzare oltre).
 
  1. Sul ‘come’ diciamo le cose. Al di là di ‘giusti’ o ‘sbagliati’, ‘verità’ o ‘menzogne’, ‘Male’ e ‘Bene’, per esternare pubblicamente una testimonianza e successivamente per intervenire in proposito sapendo (e lo ripeto: sapendo) che non si tratta del mero giardino di Isabella Borghese e di Transeuropa in quanto capro espiatorio ultimo d’un sistema (o presunto tale): come scegliamo di dire qualcosa che ha una valenza non solo ombelicale ha ancora la sua importanza (o dovrebbe averla). E in questa vicenda si manifestano tutte le asincronie di chi si ritiene dentro il mondo-letteratura in ogni possibile ruolo, declinazione o fruizione. Dire è necessario, urlare anche pare, ma non si articola, non si ascolta, non s’inquadrano i ‘nodi’ piuttosto si scatena un vociare di questioni che prendono poi strade autonome o parallele mischiando contenuti con contenitori, protagonisti con comparse, sentito-dire con certezze, realtà con maschere.
  2. Sull’indignazione e gli sconcerti. Ma anche sull’esternazione di solidarietà (a parole), e sulle espressioni di stupore. La vicenda, nello specifico, tra centinaia di interventi (nei quali fortunatamente si rintracciano anche quelli dei diretti interessati) si è ormai delineata almeno nella sua ossatura. Eppure leggendo, che ci si senta ‘dentro’ o ‘fuori’ il mondo-letteratura italiana resta un retrogusto insopportabile: tutta questa indignazione, questi sconcerti, saranno anche istintivi, tendenzialmente onesti, ma che siano il frutto di ignoranze (nel significato etimologico di non sapere, non conoscere) da parte di chi opera nell’editoria (tra critica, giornalisti, autori, editori, collaboratori, intellettuali e ogni altro ruolo nel mercato) sembra sottintendere un grado di stupidità rilevante (in chi legge). Una stupidità comparabile (giusto per uscire dai compartimenti stagni tematici) a quella attesa in chi dovrebbe apprendere con liberazione, rasserenato quasi, la dichiarazione di Famiglia Cristiana: ‘Berlusconi è malato’ come a sottintendere un qualcosa il cui contagio è evitabile, in quanto malattia, additando e stando lontano, come nelle migliori tradizioni delle pestilenze medievali.

La cultura (come sistema complesso di menti, contenuti, gesti e divulgazini) che non comunica (o lo fa cercando percorsi indiretti e frammentari) e che s'appoggia in assoluta spontaneità sulla stupidità tutta (interna ed esterna) trova il suo giusto ritorno nel ruolo che gli viene dato, oggi, in Italia. Nessuno. O peggio: la messa in scena di tanti ruoli quanti prevede la struttura della commedia, tra risate spontanee e forzate, sul tema generale del ‘ognun per sé-uno per tutti’.
 
A pochi giorni dal trentacinquesimo anniversario dalla morte di Pier Paolo Pasolini ogni riferimento agli Scritti corsari o in generale alla sua insistente vena polemica, quel mettersi sempre davanti le cose, solo, spigoloso, testardo; parrebbero inutili tentativi di rintracciare un intellettualismo nonché modi di fare ed essere cultura in Italia che non esistono più. Poi i tempi sono cambiati (è l’obbiezione più frequente ormai), le tecnologia si sono evolute, le medialità hanno spostato assi ed equilibri. Tutto vero, probabilmente.
Ma che quel dire diretto (in prima istanza o in risposta ad altro, poco importa) che Pasolini non si negava (con tutti i pro e i pesanti contro che aveva e ha ancora), aleggi anche oggi, andrebbe onestamente riconosciuto. Saremo anche figli (ormai) di tecnologie e divulgazioni di massa alienanti, isteriche e frammentarie; saremo anche divisi tra circoli e gruppi a distinguere generi letterari, regioni o altri criteri di esclusione ed elitarismi; saremo anche sommersi di libri ma in continua, affannosa, ricerca di qualcuno o qualcosa che divulghi un’altra storia, un’altra voce, un altro respiro.
Sarinaga, per dirla come Philippe Forest.
 
Come si dice dipende dal mittente, senza nascondersi tra la confusione indotta, ruoli pubblici, copioni editoriali e l’aspettativa di un destinatario incapace (totalmente o parzialmente) a decodificare il messaggio.
Poi, indubbiamente, anche il destinatario ha le sue responsabilità, nel cogliere il messaggio e nel riformularne un altro come reazione quanto semplicemente nell'assistere silenzioso.
 
Resta il fatto che gli atti comunicativi in cui si denuncia (o testimonia) che esulano dalla dimensione privata, questi atti non possono abdicare alla funzione di responsabilità verso chi 'intercetta' l'atto stesso. Perfino nell'era dei social network dove gli 'amici' sono spesso emeriti sconosciuti o comunque nel web comodo e immediato, dove si finisce per dire di tutto, entrando e uscendo dalla dimensione 'on line' mischiando persone-personaggi-identità.
Ci si dimentica troppo spesso che non si può mettere in off l'interruttore delle altrui capacità di comprensione e rielaborazione.
Finché non si tornerà a ragionare sul 'come', sui 'nodi centrali' e l' 'onestà' (intellettuale restando nello specifico contesto anche se sarebbe più corretto ragionare in termini sociali di onestà individuale come senso di responsabilità verso un contesto noto per pratica professionale o altra esperienza diretta), si continuerà a rimanere bloccati dalle stesse sabbie mobili autoscatenate poi sfuggite al controllo.
 
E quanto di tutto il vociare, ragionare, riproporre, aggiungere e togliere, quanto di tutto questo comunicare asincrono, facilmente autoreferenziale, che scivola anche nel off topic qualche volta, e si dirama tra spazi e contesti; quanto del messaggio ha attraversato i mezzi per passare da mittente a destinatario basterà chiederlo a chi legge. Ammesso che poi, il messaggio avesse concretamente contenuti.
 
Tutto questo, comunque, non è letteratura e nemmeno editoria. Non solo. Ci son anche radici 'altre'.
 
 
 
Link
 
Uno dei tanti articoli sulla posizione di Famiglia Cristiana su ReveNews.
 
 
 
 
L'immagine (non scelta casualmente) è un'opera fotografica di Nan Goldin rintracciabile qui.

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