Per eutanasia si intende un’azione o un’omissione che di natura sua, o almeno nelle intenzioni, provoca la morte mediante l’inalazione di sostanze letali allo scopo di eliminare ogni dolore.
Il problema dell’eutanasia però non è specifico della nostra epoca: da sempre i medici hanno dovuto far fronte all’esigenza dei pazienti di anticipare la propria morte. E fu per questo che nel “giuramento di Ippocrate” si scrisse che “non somministrerò mai ad alcuno, neppure su richiesta, un farmaco mortale, ne suggerirò un tale consiglio”.
L’eutanasia però specifica della nostra epoca è caratterizzata dal profondo mutamento che le condizioni del morire hanno subito a causa del progresso della medicina, e di conseguenza anche della tecnologia. I macchinari moderni infatti consentono il proseguimento della vita anche se il paziente si trovi allo stato di coma vegetativo. La morte però può essere provocata anche dalla sospensione del cosiddetto “accanimento terapeutico”, cioè l’insieme di mansioni sanitarie che consentono a malato di nutrirsi e di svolgere tutte quelle funzioni atte al proseguimento della vita.
Sul piano legislativo in molte nazioni europee tra le quali c’è anche l’Italia l’eutanasia è considerata come omicidio attivo anche se viene effettuata con il consenso del infermo. In Olanda invece è legale solo se è il paziente a richiederlo al quale viene comunque offerto di compilare un questionario con il quale richiede l’attenuazione del proprio stato di sofferenza. Ma se il paziente è nello stato di coma vegetativo, con nessuna capacità di intendere e di volere, e non essendo quindi in grado di decidere se prolungare o no la propria agonia, chi decide per lui? Si sono succedute diverse polemiche a riguardo. In alcuni stati si è pensato di far registrare un “testamento biologico” quando l’individuo raggiunge la maggiore età nel quale si decida esplicitamente sul da farsi nel caso si trovasse in situazioni sanitarie terminali. In passato contro queste decisioni si è schierata l’autorità papale. La dottrina della Chiesa infatti sostiene che il malato non è il padrone assoluto del proprio corpo in quanto dono del Signore e quindi non può disporne liberamente. Viene totalmente annullata la posizione del medico e dei famigliari a riguardo. Pio XII infatti sosteneva che “nessuno al mondo, nessuna umana pietà può autorizzare il medico alla diretta distruzione della vita; il suo compito non è quello di distruggere la vita bensi quello di salvarla".
Tuttora le strutture e i macchinari a disposizione delle strutture ospedaliere sono in grado di mantenere in vita un malato terminale, ma spesso ci si chiede se ne valga davvero la pena dato che potrebbe rimanere in quelle condizioni per tantissimo tempo.
E’ dunque possibile che a legislazione vigente, anche col consenso del paziente, non permette all’infermo di morire con dignità? È forse vita quella che si prospetta dinanzi a lui, costretto a alimentarsi mediante l’utilizzo di sofisticati macchinari come se fosse un qualsiasi vegetale? Sono queste le domande che si pongono continuamente moltissime persone, moltissimi famigliari che su quei letti d’ospedale continuano a osservare in silenzio i proprio cari, privi di ogni forma di vita. Domande che però non hanno ancora avuto risposte.
io penso con tutta franchezza che se i medici intervengano contro la volonta
del paziente,(prima che esso peda conoscenza) non fanno altro che prolungare il dolore
di questa persona.
totalmente daccordo....ma dovrebbero intervenire prima che perda conoscenza facendo il suo volere...non il volere di medici famigliari e quant’altro...deve essere comunque rispettata la persona in se per se...
è una delle tante teorie esistenti...alcuni considerano la vita come un qualcosa di "passaggio"...altri la considerano come ciò che stanno vivendo e che possono testimoniare....per me e come un qualcosa col cui bisogna convivere....condividendo gioia e dolore...e scegliendo da se il proprio futuro..sia esso prosperoso o meno...ma ogniuno deve avere la possibilità di scegliere...grazie per il commento