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 Home page > Attualità > Economia > Draghi: "Quale futuro per l’Europa?"

Draghi: "Quale futuro per l’Europa?"

Come altre volte abbiamo fatto, l’occasione del discorso tenuto da Mario Draghi dopo la riunione del board della BCE diventa buona per sezionare e tradurre la conferenza stampa in linguaggio corrente e comprendere i significati nascosti tra le righe.

“La crescita va rimessa al centro dell’agenda europea“

Il passaggio chiave sembra questo, una ulteriore spinta ad uscire da una logica di Europa Teutonica tutta rigore e austerity, in ossequio a ciò che chiedono la maggioranza dei Paesi Europei, tra cui l’Italia, e a breve forse anche la Francia se il vincitore sarà François Hollande.

Ma a ben guardare il passaggio chiave pare un altro:già la settimana scorsa aveva invocato un “patto per la crescita”, nel discorso di ieri Draghi ne ha definito gli aspetti principali:

  1. riforme strutturali (liberalizzazioni e riforma del lavoro)
  2. investimenti in infrastrutture, incrementando le disponibilità della BEI
  3. “fare chiarezza sul nostro futuro europeo comune dei prossimi dieci anni”

Vi siete accorti quale punto manca? No? Guardate bene: mancano riferimenti ad una BCE vista come “prestatore di ultima istanza”. La struttura del “patto per la crescita” non prevede una BCE più interventista, più simile alla Fed. In questo Draghi tende la mano alla Germania e all’idea che la BCE deve comportarsi come una grande BundesBank.

Ma il “patto per la crescita” sembra anche chiaramente indicare la via: più Europa, più coordinamento, “futuro comune europeo“, proprio come già illustrato dal predecessore di Draghi, ovvero Jean-Claude Trichet: un ministro delle Finanze Europeo.

Il famoso “fiscal compact” sarebbe quindi solo il passo iniziale e necessario a creare condizioni di maggiore uniformità fra i Paesi per poter poi incamminarsi sul lungo percorso della trasformazione dell’unione monetaria in unione fiscale, così da poter poi diventare anche un soggetto capace di emettere gli Eurobond.

E questo ci fa capire che il giudizio di fondo di Mario Draghi sia che la fragilità dell’Europa dipende dalla mancanza di coesione politica, non dalla mancanza di interventismo della banca centrale. La politica é troppo farraginosa nelle decisioni, che non trovano un coordinamento perché schiacciate dagli interessi delle singole nazioni, e questo genera la sfiducia degli investitori esteri, che si sentono poco invogliati ad impiegare i loro capitali. Comprare i titoli al loro posto non cura il problema, ma il suo sintomo.

Occorre quindi, secondo Draghi, trovare un nuovo equilibrio fra austerity e crescita e avviare alla svelta ulteriori passi verso l’approdo finale: gli Stati Uniti d’Europa.

Il tutto sperando che il sistema finanziario, vero anello debole della catena europea, tenga lungo questo tortuoso tragitto (e abbiamo anche l’indicazione temporale: 10 anni).

Ai cittadini europei resta da gestire lo spread delle condizioni sociali che -tra l’austerity e la fortissima recessione in corso- è destinato ad allargarsi ancora.

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