• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

Home page > Tempo Libero > Fame&Tulipani > Dove e quando nasce lo spumante? La storia di un metodo e di un (...)

Dove e quando nasce lo spumante? La storia di un metodo e di un vino

Le bollicine. Un incantevole fenomeno fisico. Una legge, quella dell' equilibrio termodinamico di Henry. Questa stabilisce l'obbligo di un necessario e costante equilibrio tra le molecole di gas - anidride carbonica - presenti nel vino in fase di vapore (cioè quello presente nella porzione di aria sotto al tappo della bottiglia) e quelle disciolte nel liquido stesso. L'applicazione pratica è che quando apriamo la bottiglia il gas presente sotto il tappo si disperde velocemente e l'equilibrio si rompe: nel vano tentativo di ristabilirlo il gas presente nel liquido prende la via di fuga verso l'alto... ed eccole! Le bollicine!

Quanto potere hanno sulla mente di alcuni quelle impalpabili perline ....

Bollicine per eccellenza uguale vino spumante, vino spumante per eccellenza è uguale Metodo Classico, Metodo Classico per eccellenza, nella mente della maggior parte, è lo Champagne. Inevitabile l'associazione. L'unico caso in cui il metodo di produzione si identifica con il vino e viceversa... ma anche le bolle nostrane si identificano oggi solo con alcuni vini ben localizzati dimenticando uve e zone altrettanto nobili da cui si ricavano vini altrettanto eccellenti. I misteri del mondo del vino.

Dove e quando nasce il vino spumante? Difficile da stabilire. Di sicuro non in Francia come credenza vuole. Sarebbe più corretto immaginare che nasca da una scoperta del tutto casuale di qualche ancestrale contadino che nella notte dei tempi si accorse che il proprio vino stranamente riprendeva a fermentare grazie al caldo primaverile che attivava quei lieviti che col freddo autunnale erano caduti in un placido letargo. Una effervescenza quasi eterea ma presente.

Di testimonianze di vini con una qualche effervescenza si perdono e si rincorrono nella storia a partire dalla Bibbia (1000 a.C) che nel salmo 75 recita "... una coppa ove spumeggiava un vin... coppa sostenuta dalle mani del Dio, Javhé!". Le documentazioni passano poi attraverso l'antica Grecia di Omero che nel XVII libro dell'Iliade, descrivendo alcuni contadini che andavano a rifocillarsi, recita "... un uomo che andava e poneva nelle loro mani un nappo spumante di dolcissimo Bacco"; ancora Virgilio nell'Eneide riferendosi a Bizia, dignitario della corte di Didone "Bevve la coppa di spumante senza vacillare".

In Italica terra potevano mancare i Romani? Si narra della perfida e affascinante Cleopatra che offriva ammaliante a Cesare il titillans Falerno reso spumeggiante dall'aggiunta di Meroe, uva di origine etiope, o il Brachetto per irretire, più tardi, Marco Antonio; Colummella nel I secolo d.C racconta di un vino attenuto aggiungendo al mosto, dopo due giorni di fermentazione, altro mosto concentrato col duplice scopo di aumentare la gradazione alcolica e di far rifermentare il vino che conservava in seguito parte delle "bullulae"che si sviluppavano.

I romani da sempre producevano due tipi di vini effervescenti l'aigleucos e il proptropum.

Il primo era mosto conservato a bassa temperatura in anfore chiuse ermeticamente mediante sughero, pece e cenere e immerse in profondi pozzi contenenti acqua fredda. Alcuni tipi di lieviti si adattavano alle basse temperature e iniziavano una lenta fermentazione formando gas che rimaneva imprigionato nel vino e lo rendevano spumante. Il secondo si otteneva in maniera analoga partendo da un mosto fiore mantenuto a basse temperature sempre conservato in anfore.

Quella delle bollicine è una storia molto articolata e con tante sfaccettature tanto che sarebbe troppo lungo descriverla in un'unica tratta per cui procediamo per gradi partendo dai cugini d'Oltralpe.

A voler essere onesti bisogna guardare un po' più dietro la leggendaria fama di Dom Perignon. La fama del vino della Champagne era ben nota anche prima dell'arrivo del monaco, solo che i vini erano fermi, leggeri, aciduli e di poco corpo con una tendenza a rifermentare; rossi, bianchi, "grigi", chiaretti, rosati , apprezzati fin dal Medioevo soprattutto dagli inglesi i quali erano disposti a pagarli profumatamente.

Come accadeva per tutti i vini questi erano bevuti senza bollicine e se una traccia ce ne fosse stata si sarebbe dispersa nell'acqua usata per diluirli - credenza era che il vino facesse male senza acqua, in realtà faceva solo ubriacare come narra la storia di Vinceslao IV, re di Boemia, che bevuto vino della Champagne senza acqua si ubriacò a tal punto da non essere in grado nemmeno di recarsi all'incontro con Carlo VI a Reims. Nel 1410 l'Imperatore Sigismondo di Lussemburgo si recò ad Ay con lo scopo di degustare i vini della regione in loco. È ben nota l'incoronazione di Carlo VII in cui venne composto un inno di lode ai vini di Ay ed Epernay, ancora oggi le zone più vocate. Sulla scia di tanto successo nel 1412 l'enologia divenne l'attività principale a Reims tanto da far nascere la figura dei courtiers en vin, una sorta di mediatori, con il compito di diffondere la fama dei vini della Champagne e fissarne il prezzo.

Con lo sbarco in Francia di Enrico VII Tudor la Champagne visse un periodo molto florido; imperatori, papi e re acquistavano vigneti in questa regione. Con Luigi XIV, il Re Sole, il consumo di vino della Champagne ebbe grande impulso. La fama conquistò il popolo d'oltre manica tanto che a Londra alcuni commercianti iniziarono ad imbottigliare vino giovane, non rifermentato, proveniente dalla Champagne producendo per primi uno Champagne effervescente.

Ed ecco la sorpresa: lo Champagne come lo conosciamo oggi fu una scoperta tutta inglese! Il successo che questo nettare riscosse a Londra convinse i francesi a cercare di duplicare il vino effervescente inducendo la rifermentazione con qualsiasi mezzo usando spezie, acquavite ed altre sostanze, come riferisce Godino nel suo manuale sul modo di fare lo Champagne pubblicato nel 1718; già una decina di anni prima che Dom Perignon entrasse ad Hautvillers, gli inglesi erano già riusciti nello stesso intento: produrre le bollicine, aggiungendo zucchero al vino francese.

Il famigerato Dom Perignon, di cui alcuni negano persino la sua presenza nella Champagne, fu nominato nel 1670 cellario dell'Abbazia di Hautvillers e fu qui che ebbe inizio il suo paziente lavoro di miglioramento qualitativo che riguardò più la cantina e i vigneti che il vino. Pare che addirittura si crucciasse molto del fatto che i suoi vini non rimanessero fermi e sviluppassero invece anidride carbonica e faceva di tutto per evitare che ciò accadesse ma senza riuscirci.

Il primo Champagne firmato da Dom Perignon si ebbe nel 1690. I vini della Chamapgne erano già conosciuti ma egli ebbe un po' di vantaggi rispetto ai suoi predecessori a partire dalla bottiglia di vetro, invenzione dell'inglese Kenelm Digby. L'importanza della bottiglia - che non alterava il gusto del vino come accadeva con il legno delle botti- si manifestò subito. E non fu solo l'unica innovazione introdotta al metodo di produzione dal monaco. Per evitare che le bollicine gassose fuoriuscissero era necessario sigillare bene il contenitore perciò il turacciolo di legno avvolto in uno straccio imbevuto di olio fu sostituito da un'altra vecchia conoscenza: il sughero.

Il monaco non fu né il primo né l'unico ad utilizzare il sughero: già prima lo si faceva a Limoux nell'Abbazia di Saint-Hilarie per la produzione dello spumante. Lui fu però il primo ad utilizzarlo abitualmente. Se lo Champagne deve considerarsi non la geniale scoperta del singolo cantiniere ma il frutto di un progressivo sviluppo negli anni legato a più persone è doveroso riconoscere comunque al cellario Dom Perignon i giusti meriti ad iniziare dalla grande conoscenza dei vitigni, comprese l'importanza della potatura delle viti, la selezione dei grappoli in vendemmia; a lui si deve il riconoscimento della necessaria maturità delle uve - quasi impossibile nella Champagne dato il clima - e la maestria con cui imparò a mescolare le uve in percentuali idonee prima della pressatura; l'intuizione di abbandonare i vini "grigi" e dedicarsi alla vinificazione in bianco, separando raspi e bucce, di uve rose miscelate a seconda di annata.

Introdusse il concetto di Cuveé cioè il mettere insieme mosti provenienti non solo da uve differenti ma anche da zone differenti. Il suo cruccio rimasero però sempre le bollicine, anche perché fino al 1834 il vino della Champagne restava rosso e fermo ma soprattutto non era amato dai francesi i quali consideravano l'effervescenza come appartenente a birra e panna; solo quindici anni dopo la sua morte iniziò la commercializzazione del vino Champagne spumante anche in Francia. Dopo la sua scomparsa molti courtiers en vin si accorsero dell' incapacità di alcuni vignaioli e produttori francesi così alcuni di loro decisero di sostituirli nella coltivazione e nella produzione. Ruinart, Krug, Mumm, Chanoine, Delamotte,Chandon, Cliquot... nascono le grandi Maison dello Champagne.

Fino al 1728 il vino era venduto sfuso o a fusti ma il giorno 8 marzo del 1735 il re di Francia decretava che le bottiglie per lo Champagne avrebbero dovuto pesare 28 once, un po' più degli attuali 750 cl, ed essere fissate, una volta riempite, con tre giri di spago passato a forma di croce e fissato al collo della bottiglia... una sorta di antica gabbietta. Lo Champagne conquistò tutti, dai nobili regnanti ai popolari rivoluzionari passando attraverso i grandi Imperatori.

Dopo la caduta del'Impero napoleonico il vino monopolizzò il mercato russo. Ammaliò persino lo zar Alessandro II che nel 1876 acquistò tutta la produzione di Roederer pretendendo che fosse imbottigliato nel cristallo, ancora oggi "Cristal" è sinonimo di Champagne Roederer. Dalle 300.000 bottiglie del 1780 si passa ai 15 milioni del 1900.

L'unico problema restava lo scoppio delle bottiglie sotto la pressione, problema che fu risolto solo nel 1850 con il brevetto dei vetrai inglesi Holden e Colent per la produzione di un vetro più solido che reggesse la pressione durante la seconda naturale fermentazione del vino. Nel 1776 il chimico Antoine-Laurent Lavoisier scoprì che le bollicine altro non era che "acido carbonico"; nel 1859 Pasteur scoprì che a trasformare gli zuccheri in alcol e gas sono dei microrganismi: i lieviti saccaromiceti. Per cui solo dopo questa data possiamo parlare di un Metodo Champenoise nel senso odierno; prima di allora, infatti, non c'erano aggiunte di zucchero e lieviti per indurre la fermentazione, né per la prima né per la seconda, ma solo un vino la cui fermentazione era bloccata dal freddo e riprendeva a primavera.

Lo zucchero si aggiungeva alla sboccatura per correggerne i difetti e l'acidità rendendolo dolce. Una pratica che da molti era considerata fraudolenta e pericolosa per la salute fino all'invenzione nel 1836 di André François del sucreoenométre, uno strumento capace di misurare la quantità di zucchero in qualunque momento prima e dopo la fermentazione.

Nel 1818 Antoin Muller, cantiniere di Veuve Cliquot, inventò le pupitre destinate ad accogliere le bottiglie per rimuovere i residui della fermentazione e renderlo limpido. Nel 1848 un commerciante inglese Burners chiese alla Maison Perrier_Jounet uno spumante secco senza aggiunta di zucchero dopo la sboccatura. La strada non si profilava certo agevole perché i consumatori erano abituati al gusto dolce del vino; inoltre, uno spumante secco avrebbe costretto i produttori ad una sosta maggiore del vino in cantina per consentire che si smorzassero i caratteri un po' rudi con conseguenti ingenti immobilizzazioni di capitali. Perrier- Jounet aderì alla richiesta ma senza grande successo.

Un secondo tentativo fu fatto con Louis Roderer da cui ottenne risposta negativa. Nel 1860 la richiesta fu inoltrata a più aziende e nel 1865 Bollinger spedì a Londra una partita di Champagne very dry e da allora le richieste furono sempre maggiori. Il Novecento fu il secolo della tecnologia e del perfezionamento. Grazie al botanico Hansen si è riusciti a riprodurre i lieviti in coltura pura cioè ad avere ceppi monoclonali usati per la rifermentazione e che rappresenta l'inizio di un metodo abituale di produzione dello spumante.

Le bottiglie non esplodono più, i tappi assicurano una tenuta perfetta, i metodi di analisi consentono di miscelare cuveé in modo preciso; le bottiglie possono riposare in pace al buio delle cantine amorevolmente accudite senza più l'incubo delle sperimentazioni.

E in Italia? Ve lo racconterò prossimamente....

di Pia Martino

 

Foto: Roger Nelson/Flickr e Waldo Jaquith

Questo articolo è stato pubblicato qui

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares