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Dolcenera: “Un invito a non aver paura della paura”.

Il 27 marzo, è uscito il suo ultimo singolo “Wannabe” in duetto con Laioung. Il brano, composto due anni fa, è emerso alla luce della drammaticità dei fatti attuali che stanno avvenendo. Parla del volersi sentire tutti uniti e realmente connessi. Un dramma che deve essere guidato dalla lotta perenne di combattere qualsiasi ombra di depressione per il futuro di tutti noi, di non avere paura della paura. È questo è stato il motivo per cui Dolcenera ha deciso di farlo uscire.

L'artista salentina ne parla in questa intervista, ponendo grande attenzione alla situazione che stiamo vivendo, alla capacità di far fronte alle difficoltà della vita con la forza e la creatività e di tirar fuori dalle negatività un pensiero positivo che, non sempre, è facile da generare.

Un focus sulle sue partecipazioni sanremesi, al brano “Siamo tutti la fuori” che l’ha consacrata con la vittoria a Sanremo Giovani nel 2003, sulla necessità di vita che la musica ha comportato nella sua personalità di artista eclettica, alla costante ricerca di sperimentazione e di fare musica nel segno dell’innovazione, in continua evoluzione con sé stessa.

 

 “Wannabe” è il tuo ultimo singolo in duetto con Laioung. Questo brano è stato scritto nel 2018. Come mai hai deciso di farlo uscire in questo periodo?

“Il testo sembrava adattarsi al momento storico e ne era rispettoso, perché parlava del valore della paura che ci salvaguardia. Racconta del non aver paura della paura. Invita alla presa di coscienza della propria personalità a vivere con sentimento, con senso di giustizia. Mi sembrava adatto. Poi, è stata una reazione al coronavirus, al fatto di voler lavorare. Tirare una parte del mio lavoro che era vera, reale”.

 

In Wannabe, dici: “Viva la paura che mi tiene in vita. Sono quel che sono, fuori da ogni gioco. Eppure, me la gioco”. Come ti appresti ad affrontare un momento di particolare gravità sociale?

“Siamo tutti un pò allibiti, in una terra di mezzo, in un limbo, per cui non abbiamo capito come mai sia successa proprio a noi questo nuovo tipo di realtà, di problematica della pandemia. Viviamo l’incertezza del non sapere né quello che è successo veramente, né cosa accadrà. Abbiamo soltanto dei dati a cui appoggiarci, che non riusciamo a interpretare bene. In questa incertezza, vivono contrasti emotivi, come voglia di ritornare alla normalità, voglia di non tornare alla stessa normalità di prima. Provare a essere migliori. Quando c’è, nella tua vita, uno scossone, speri che quello scossone ti porti a migliorare, a prendere il buono della negatività. Tante cose stanno migliorando a livello sociale, organizzativo. Vedo tante persone e amici che adoperano il telelavoro. È un qualcosa che risolverebbe la vita di tantissime persone. In questo momento, il telelavoro sta continuando e sta avendo dei buoni risultati, perché la gente riesce a organizzarsi la giornata, a lavorare e a vivere. A non vivere stressato, non intasare, se si possono risparmiare i soldi. Si può migliorare la qualità di vita. Ci voleva questo scossone, per provare a fare dei piccoli miglioramenti, per farci sentire il senso di nazionalità, ma, al contempo, il senso di unione con le altre nazioni. Il nazionalismo assieme al senso di unione può diventare un sentimento positivo dalle conseguenze positive di una pandemia”.

C’è un tuo brano “Un altro giorno sulla terra” che, quando l’hai scritto, ti ha dato molta speranza, sottolineando come la canzone voglia mettere in risalto la bellezza del mondo. In un momento particolare come questo, è fondamentale ricordarne l’importanza. Che cosa ti senti di dire in merito?

“Un altro giorno sulla terra, per me, ha un valore particolare, perché l’ho scritto influenzata dal Brasile, una terra che mi ha affascinato tantissimo e che, adesso, sta patendo, data l’incompetenza di chi la governa. È un pezzo che amo tanto, sia perché è ispirato al Brasile, sia per come viene interpretato. È una soddisfazione. suonare quel riff in quel modo, e per il testo, perché è un semplice ringraziamento al fatto che, ogni giorno, possiamo provare a godercela. Non è una cosa che ha a che fare con la religione o con la misticità di ringraziamento nei confronti della vita. È una sensazione che ha a che fare con la propria condizione giornaliera. Si può provare a pensare positivo, quando meno te lo aspetti. È una sensazione che viviamo tutti i giorni. Anch’io vivo dei momenti che vorrei cancellare, perché negativi e sostituirli con un pensiero positivo. Questa è una delle cose più difficili da fare nella vita. Provare a pensare sempre positivo, come provare a sognare”.

 

In tutti questi anni di carriera, è rintracciabile una profonda e consapevole ricerca evolutiva e sperimentale. Che cosa ti induce a proporre questa diversificazione musicale?

“La sfida con me stessa, prima di tutto, cognitiva, per conoscere quanti più ampi settori musicali possibili, come generi e radici. Da dove viene la musica che ascoltiamo oggi. È questo lo studio che, in qualche maniera, migliora una persona. Il fatto che non mi accontento di sentirmi sempre uguale a me stessa. Mi vedo come una persona in continua evoluzione che, per essere felice, deve mantenere intatti i valori saldi, ma deve provare a sorprenderti”.

 

Tanti i successi, come “Siamo tutti la fuori”, che ti ha consacrata al Festival di Sanremo nelle Nuove Proposte, “Ci vediamo a casa”, “Com’è straordinaria la vita”. C’è un singolo o il verso di un brano che ti appartiene e verso il quale ti identifichi e quando hai capito che la musica sarebbe stata la tua necessità di vita?

“Ho capito che la musica sarebbe stata la mia necessità di vita quando ho percepito che i momenti più felici della mia vita erano quelli della scrittura. Lì, mi sono detta: Manu, non potrai mai fare a meno di scrivere e di provare l’ebbrezza di sfiorare un sogno, il sogno di scrivere qualcosa sempre più comunicativo. Questa è una certezza che ho dentro di me. Mi porto dietro diverse frasi dalle mie canzoni. Tutte queste frasi hanno dentro un senso di comunità. Sono delle frasi che mi legano alle altre persone. “Amaremare” è un titolo dell’ultima canzone dell’anno scorso, in cui sento un legame profondo con tutte le persone che chiedono il rispetto per il mare. “Siamo tutti la fuori” è la canzone con cui ho vinto Sanremo Giovani diciotto anni fa. Anche quella, “siamo tutti là fuori, in attesa di un sogno”, mi lega agli altri e alle altre persone ognuno con il proprio individuale sogno. Ognuno nella sua ricerca, ma connessi. Le frasi che più mi restano dentro sono quelle che mi danno la sensazione di estrema condivisione”.

 

Nell’album, “Evoluzione della specie” affronti tematiche che ruotano attorno alla voglia di vincere la paura del futuro, nonostante la sensazione di precarietà provocata dalla crisi economica mondiale. Sembra quello che stiamo vivendo attualmente a causa del coronavirus, con la sola differenza che è un nemico sconosciuto, rispetto alla crisi mondiale, nota e ramificata nella nostra quotidianità. Con quale approccio, ti relazioni a queste tematiche sociali?

“L’unico approccio che ho adesso è la creatività e la fantasia che abbiamo come popolo, come persone, come italiani. È un periodo in cui dobbiamo inventarci di nuovi modi di lavorare, senza paura di innovarci. È l’unico modo per approcciarsi a questa nuova problematica che include un’aggravarsi della situazione socio economica”.

 

Il tuo nome d’arte è legato ad un bellissimo brano di Fabrizio De André, tratto dall’album “Anime Salve”. Com’è maturata l’idea di scegliere per la sua musica una canzone così importante, e quanto ha influito la musica cantautorale e, in particolare, quella di De Andrè, nella tua vita?

“Il primo album che comprai di De André fu Anime Salve, mentre i precedenti me li faceva ascoltare mio padre. Questa non è l’unica spiegazione che mi ha portato a scegliere il nome d’arte Dolcenera. Anche per il contrasto che c’è nella parola stessa, che esprime molto come sono caratterialmente. Sono una persona che può essere definita sia dark che solare. Non sono bipolare. Vivo di questi momenti all’opposto. Per me, non esiste il grigio e, poi, corrispondeva al mio modo di suonare e di cantare che ho sempre avuto dentro, tanti chiari scuri e piani forti. La musica cantautorale mi ha condizionato molto stilisticamente nella scrittura dei testi, meno dal punto di vista musicale, perché sentivo, in qualche maniera che, in alcuni cantautori, la parte musicale veniva in secondo piano, rispetto a quella testuale. Invece, io ho cercato di sperimentare quella parte musicale”.

 

Se dovessi rintracciare un verso di un suo singolo, che cosa ti sentiresti di dire a chi, in un momento particolare come questo, si sente onnipotente di infrangere le regole, senza avere la misura di valutare le eventuali conseguenze?

“Riguardo alle ultime proteste che ho visto a Milano e in altre città, mi domando il motivo per cui non l’abbiano fatto a marzo, quando c’erano seicento morti al giorno solo in Lombardia, con le bare che viaggiavano con l’esercito. È una vergogna, anche per il solo fatto dire che questo coronavirus non sia esistito, come ho sentito dire in queste proteste. È una situazione indegna. È un periodo difficile a livello economico, di sopravvivenza, per tante famiglie. Bisogna tenere duro. Non aspettarsi che arrivi una soluzione sempre dall’altro. Bisogna ingegnarsi a livello individuale, come esseri umani. Guardiamo quello che è successo nelle spiagge attrezzate dell’Emilia Romagna, che è stata molto avanti nel turismo. Non sta succedendo così in altre regioni, perché si aspettano una soluzione dall’altro. Bisogna trovarci. Non aspettare che arrivino sempre aiuti”.

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