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Django Unchained: Tarantino sorprende ancora

Come isolarsi dal mondo e vivere un viaggio sorprendente ed emozionante di h 2'45? Basta andare al cinema e comprare il biglietto per Django di Quentin Tarantino.... 

Tarantino stupisce di nuovo. Ha rinunciato alle sirene dei produttori che lo invitavano a spezzare in due film le oltre 50 ore di "girato" e, lontano anni luce da Pulp Fiction o Jackie Brown, ci ha regalato un kolossal in cui i toni drammatici, comici e fumettistici si alternano senza disturbarsi a vicenda, in un amalgama riuscitissima di diversi gradi di emozione. Le scenografie, curatissime, alternano paesaggi quasi lunari a campagne verdissime e dai colori e atmosfere che ricordano (volutamente) Kurosawa. I personaggi si susseguono immersi in scenari che ondeggiano tra il racconto storico e la favola dell'eroe che combatte per il bene.

Django è la storia di uno schiavo che lotta per conquistare la propria libertà e quella di sua moglie, nell'America selvaggia e spietata di metà dell '800. Incontra un cacciatore di taglie, il dott. Schultz, magnificamente interpretato da Christoph Waltz, che lo accompagnerà nell'impresa. Il personaggio, riuscitissimo, è un'evoluzione (cosi ci piace pensare) dello spietato gerarca nazista, con cui l'attore aveva già vinto l'Oscar in Bastardi senza gloria.

Gli omaggi alle grandi produzioni western sono dappertutto, colonna sonora inclusa; non manca un cameo per l'italiano Franco Nero. L'opera segna un punto di svolta nell'uso della violenza in Tarantino; affrontando di petto il tema della schiavitù, relega la morte dei bianchi a effetti splatter di effetto scenegrafico, ma quella dei neri ad un realismo tanto agghiacciante da poter impressionare anche gli spettatori meno sensibili. La volontà (supposta) è quella di mostrare un profondo rispetto per una realtà storica forse dimenticata, invitando nel contempo ad una riflessione sul tema. Dovendo fare una critica, al blasonato Di Caprio è stata assegnata una parte cosi crudele da confliggere con il suo viso angelico; ma forse è solo un pregiudizio mentale, avendolo sempre visto dalla parte dei buoni. Immenso invece Samuel Jackson in un riuscitissimo servo schierato con i bianchi, tanto spaventoso quanto sadico.

Le quasi tre ore passano veloci, anche noi nel ruolo di "prigionieri" (della pellicola), lasciandoci due ricordi indelebili. Il primo, quando alla fine di una scena in cui tutto pare risolversi per il meglio, uno dei protagonisti spara al suo antagonista dicendo, come un bambino che abbia compiuto una marachella: "Scusate, non ho resistito alla tentazione" scatenando un bagno di sangue totalmente immotivato (alla Tarantino, per l'appunto). Il secondo, quando nel classico finale, parte la colonna sonora che gia fu di Lo chiamavano trinità, riportandoci ad atmosfere passate che pensavamo ormai perdute. Grazie, Quentin

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