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Divergenze economiche

Il mondo attende la prossima settimana guardando agli Stati Uniti. Oltre alle elezioni di midterm, martedì 2 novembre, il giorno successivo la Federal Reserve annuncerà la misura del nuovo programma di easing quantitativo. Su quest’ultimo, lo scetticismo dei mercati è in aumento.

Dopo aver prezzato un’operazione monstre (anche superiore ai 1000 miliardi di dollari), il mercato sta cominciando a temere che Ben Bernanke adotti un approccio gradualista, con acquisti scaglionati nel corso dei mesi e per importi complessivamente contenuti. Sul piano qualitativo è poi bastato fare alcune comparazioni col recente passato per verificare che, in tutti i casi dieasing quantitativo adottati finora (Giappone, Regno Unito e Stati Uniti), durante la fase di acquisti delle banche centrali i rendimenti di mercato sono in realtà aumentati e non diminuiti.

Vi sono poi osservatori che ritengono che l’operazione sarà del tutto inutile, limitandosi a gonfiare le riserve in eccesso detenute dalle banche commerciali presso la banca centrale. Un effetto-annuncio è però già stato ottenuto: il deprezzamento del dollaro mette pressione sulle materie prime, aumentando i costi di produzione. La debolezza della domanda finale (almeno in gran parte dei paesi sviluppati) impedisce di trasferire i maggiori costi sul prezzo al consumo, e il tutto si traduce in una compressione dei margini aziendali, con ulteriore effetto di freno sul mercato del lavoro. Il risultato finale è quindi una divergenza tra prezzi alla produzione e prezzi al consumo.

Altra divergenza che rischia di prendere corpo nei prossimi mesi è quella relativa alle dinamiche macroeconomiche in Eurolandia. La Germania sta recuperando brillantemente, grazie alla sua ampia e crescente esposizione ai mercati emergenti asiatici ed alla Cina in particolare. Il tasso di disoccupazione tedesco, al 7,5 per cento, è ai minimi dagli inizi degli anni Novanta. Ciò potrebbe dare vigore alle richieste tedesche di una politica della Bce meno accomodante o esplicitamente restrittiva, che finirebbe col creare problemi alla periferia dell’Area. Immaginate cosa potrebbe accadere ad un’Italia che continua a crescere a tassi risibili, se il costo del denaro in Europa aumentasse per effetto della crescita tedesca. Sarebbe un esito non piacevole ma non imprevisto né imprevedibile, dato lo stock di debito del nostro paese e l’incidenza del servizio del debito sui nostri conti pubblici.

Ancora una volta ci sono elementi per ritenere che l’Italia è un disastro che attende di accadere.

Commenti all'articolo

  • Di alessandro tantussi (---.---.---.156) 29 ottobre 2010 03:26
    alessandro tantussi

    però dobbiamo anche domandarci che riflessi avrebbe avuto, sullo lo spread che il debito pubblico italiano paga rispetto a quello tedesco, una politica espansiva basata sulla spesa pubblica. 
    Tra le altre cose non mi pare che le politiche espansive, a cominciare da quella americana, abbiano prodotto un grande sviluppo, comunque non paragonabile alla spesa.
    Noi eravamo con l’acqua alla gola già prima della crisi, non essere ancora affogati non è cosa da poco. 
    Io credo poco nell’intervento pubblico per lo sviluppo e comunque se volesssimo intervenire con la mano pubblica dovremmo finanziarla tagliando spese da qualche parte, liberarci di quelle inutili e improduttive per bilanciare.
    Altrimenti i pesi inutili ci tireranno sott’acqua.
     Ma purtroppo in Italia non brilliamo certo per disponibilità a sacriificare qualche privilegio. 

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