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Disoccupazione, precariato e speculazioni finanziarie sono le nuove basi su cui poggia il nostro futuro

I paradossi dell’economia moderna

Unicredit annuncia 4700 esuberi unitamente a Telecom che si accontenta di soli 3900, nel 2009 l’INPS ha autorizzato ben 918.000 giornate di cassa integrazione pari al 311% dell’anno precedente, la disoccupazione si attesta a circa l’8%, toccando il 30% di senza lavoro nella fascia dei giovani dai 15 ai 24 anni, e Fiat continua il suo braccio di ferro annunciando il trasferimento della produzione all’estero, come se la notizia fosse uno scoop, quando oramai la maggior parte della produzione industriale del marchio Fiat è all’estero. Nel contempo di fronte a tutte queste meravigliose notizie, soprattutto per il settore dell’occupazione, le borse salgono. E’ consuetudine acquisita che la riduzione dei posti di lavoro in una azienda ne faccia salire il suo valore. Piani di ristrutturazione aziendale che vedono al primo posto la riduzione del personale sono quelli più apprezzati dagli analisti, abituati oramai dall’andazzo che questi costi possono essere allegramente scaricati alla collettività attraverso cassa integrazioni e prepensionamenti, tanto c’è Pantalone che paga. 

 

Fusioni, incorporazioni, trasferimenti di produzioni all’estero stanno producendo esuberi di personale rallentando sempre più l’inserimento nel mondo del lavoro dei giovani che a più di qualcuno stranamente con miopia da elefante sa solo definire bamboccioni. Stendiamo un velo pietoso a cotanta perversa stupidità, come se i nostri giovani preferirebbero bighellonare anziché lavorare ed entrare a pieno titolo nella società produttiva del paese. Per non parlare poi della drammaticità dei cinquantenni che stanno perdendo il lavoro. Una strategia perversa che trova terreno fertile in governi scarsamente capaci di fronteggiare con determinazione fenomeni oramai consolidati. Non riesco a capire perché le aziende che non sono più in condizioni di camminare con le proprie gambe non debbano essere abbandonate al loro destino, salvaguardando la forza lavoro, ma non per questo permettere a queste di usufruire di sostegni privi di un qualsivoglia piano industriale capace di pareggiare i conti nel breve periodo, mantenerle in piedi dietro l’alibi della conservazione e tutela dei posti di lavoro innesca un meccanismo perverso che alla fine pagherà solo la povera gente.

La speculazione finanziaria dei mercati in questi ultimi tempi pare stia caratterizzando l’andamento perverso degli indici di borsa senza che alla base delle sottostanti intermediazioni mobiliari ci sia nulla di reale. Si scommette e si indirizzano fiumi di capitali, frutto di altrettante speculazioni per manipolare i listini creando spesso quel panico che fa dell’occasionale risparmiatore, quello che mette in gioco i risparmi della propria vita, il pollo di turno. Si è parlato della necessità di introdurre nuove regole atte a regolamentare le operazioni di borsa, ma come al solito le intenzioni se inizialmente buone, sono ora nei cassetti dei nostri legislatori. Chi sa perché! 

La volatilità e la miopia finanziaria nel non saper o meglio nel voler guardare oltre a dopodomani sta seriamente minando l’equilibrio economico di questo piccolo mondo globalizzato. Si cercano spasmodicamente lauti guadagni immediati, non importa a quali condizioni, l’importante è remunerare il proprio azionariato, guardando solo all’immediato. Quello che un tempo era la pianificazione o programmazione pluriennale, quanto meno quinquennale, è passata di moda. Oggi i risultati vanno ottenuti subito, a qualsiasi costo, del domani non ce ne importa niente. Proprio così, come se il futuro non appartenesse più alla nostra generazione e che a quello ci dovranno pensare coloro che il futuro lo attendono, dimenticandosi che il futuro di cui stiamo parlando è quello che sta dietro l’angolo, cioè dopodomani.

Questa economia così impostata a me non piace. Una economia che si basa sulle “opinabili” opinioni e quel che è peggio sulle “sensazioni” e non sui fatti, denota che il nostro sistema è oramai obsoleto e malato che può solo produrre danni, ovviamente a carico delle fasce più deboli. Si è sempre parlato che la nostra economia si sviluppa attraverso le regole del libero mercato, determinandone il suo andamento dall’incontro (o scontro, fate voi) della domanda e dell’offerta. Io nutro seri dubbi che oggi dette regole siano ancora valide e che i prezzi di mercato siano liberamente determinabili. Queste teorie erano valide sino a quando i mercati erano prevalentemente a carattere nazionale, la globalizzazione e la concentrazione di più aziende in un unico colosso, condiziona oggi il libero mercato. La libera determinazione dei prezzi avviene se si è in presenza di aziende in concorrenza tra di loro, la cui unica battaglia è la ricerca di prodotti qualitativamente migliori ad un prezzo sempre più basso. Elemento quest’ultimo che si ottiene attraverso la riorganizzazione aziendale e la ricerca. Invece spesso si cerca la “copertura politica” che ne favorisca la diffusione di quel prodotto e servizio, mortificando o meglio ammazzando la concorrenza e soprattutto la nascita di nuove aziende.

Oggi per la stragrande maggioranza dei prodotti e dei servizi in commercio le regole del libero mercato non si applicano più. Le aziende produttrici nel tempo si sono trasformate in multinazionali fagocitando le aziende più piccole e distruggendo così la concorrenza. Sono questi grandi colossi che dominano il mercato condizionando prezzi e condizioni e quel che secondo me è peggio, è che stanno condizionando in modo determinante soprattutto le scelte politiche. Oggi la politica pare abbia dimenticato i suoi ideali assumendo anch’essa connotazioni lobbistiche allontanandosi sempre di più dalle reali esigenze di equità sociale. I soldi per salvare banche e grandi aziende i governi li sanno reperire subito, lasciando peraltro al loro posto gli stessi manager che il dissesto lo hanno procurato o quanto meno vengono invitati ad andare a casa previo pagamento di faraoniche buone uscite. La responsabilità diretta, l’incapacità manifesta, sono tutti elementi che appartengono solo al gergo dei responsabili del personale per colpire i lavoratori delle fasce basse, guardandosene bene di applicare gli stessi metri di valutazione per gli amministratori delegati e direttori generali. D’altronde spesso, soprattutto nelle grandi aziende con partecipazione di capitali dello stato dette posizioni sono dettate più da convenienze politiche che professionali. Un vero e proprio sistema auto tutelante dove i risultati positivi vengono spartiti in pochi ed i costi scaricati alla collettività. Non pensiamo che questo sia solo un male italiano, questo fenomeno è in progressiva espansione in tutto il mondo perché la globalizzazione penso che sia stata l’epidemia più grande che abbia funestato il nostro pianeta. Tengo a precisare che la globalizzazione vista nei termini in cui si è sviluppata è da condannare, in quanto non sono mai state cercate e quanto meno applicate norme che ne regolassero e limitassero la sua spaventosa arrogante voracità.

Sono questi grandi mostri della finanza che attraverso la manipolazione di centinaia di migliaia di posti di lavoro condizionano, oltre che le scelte economiche di un governo, anche lo sviluppo di determinate aree territoriali. Oggi la peggiore iattura per un governo è quella di dover fronteggiare situazioni di crisi di grandi aziende che nelle loro trattative usano l’arma della riduzione dell’occupazione creando malcontento e generando problemi di ordine pubblico. Alla fine l’importante è salvaguardare il posto di lavoro, non importa a quale prezzo, l’importante è non fare la figura di quel governo che non ha saputo trattare nell’interesse primario della salvaguardia occupazionale. Poi non importa se i fondi e le agevolazioni messe in campo siano di gran lunga superiori a quello che sarebbero spesi ad accollarsi quei posti di lavoro. Così nel tempo questa è diventata una moda perversa che consente di scaricarsi dei costi del personale. Se invece sin dall’inizio si facessero serie valutazioni aziendali, basandosi sulla loro reale e concreta capacità di restare e produrre sul mercato della competizione internazionale, arrivando anche al punto di far chiudere queste che altro non sono che cattedrali nel deserto, penso che la situazione economica sarebbe forse un po’ migliore. Questi comportamenti consolidati stanno facendo collassare il sistema Italia dove la reale parte produttiva e trainante non trova più conveniente investire in innovazione, perdendo così la capacità di poter competere sui mercati internazionali.

Infine per concludere in bellezza, affrontiamo la situazione del lavoro giovanile devastato e violentato dall’esasperata applicazione dei contratti a tempo determinato. Da una normale e condivisibile esigenza da parte del settore produttivo di poter disporre di mano d’opera a tempo determinato, per finalità e scopi ben precisi e per periodi di breve durata, si è passati, grazie alla complicità dei governi che si sono succeduti in questi ultimi vent’anni, ad una situazione in cui il precariato da occasionale e di breve durata si è trasformato in “Precariato a vita”. Ciò è dovuto ad una politica che nel tempo ha ceduto le armi agli interessi della grande industria e della finanza, che vede attraverso l’allegra manipolazione dei posti di lavoro un grosso incremento della loro redditività da investire successivamente, non nel settore in cui viene prodotto, bensì in altre avventure, e poi quando qualcosa non va per il verso giusto, basta bussare alle porte della previdenza Sociale o agli incentivi governativi.. In presenza invece di utili questi vengono investiti altrove e nella maggior parte delle volte vanno all’estero, basti solo ricordare il famigerato rientro legale dei capitali esportati all’estero previo pagamento di una tassa irrisoria del 5% .

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